“Cemento armato” e “Siamo morti a vent’anni” sono i due singoli che hanno spalancato le porte alla brillante carriera musicale di Lorenzo Cilembrini, in arte Il Cile. A vederlo sembra il compagno di scuola che tutti abbiamo avuto, quello con l’aria del classico cantautore. E’ vero, ma c’è dell’altro: Il Cile è anche uno che nei live usa l’iPad, che registra provini sull’iPhone, che tiene vive le sue pagine social aggiornandole personalmente
«L’iPad è uno strumento musicale vero e proprio: lo uso nei miei live»
La grande platea televisiva l’ha visto in gara tra i giovani all’ultimo Festival di Sanremo, dove ha cantato “Le parole non servono più”. Il Cile non ha vinto ma ha incassato due riconoscimenti lusinghieri, il premio Assomusica e il premio Sergio Bardotti per il miglior testo. Con lui, che nel periodo del Festival ha pubblicato un’edizione speciale del suo album, eravamo rimasti qui.
Data Manager: Perché scegliere “Siamo morti a vent’anni” come titolo del disco?
Il Cile: Sono toscano, e noi toscani a volte abbiamo una certa ironia agrodolce – penso ad “Amici miei” di Monicelli. E poi volevo anche provocare. Ho scelto una frase forte per dire che certe visioni spensierate della vita che tutti abbiamo ‘muoiono’ con il passaggio dell’adolescenza all’età adulta.
Mettiamo un punto fermo sull’esperienza di Sanremo.
E’ stato bello, nonostante il peso della competizione. Perché la gara si sente eccome, ti arrivano addosso una serie di angosce quando ti eliminano… ma la mia vittoria sono stati il premio Assomusica e il premio Bardotti, che è stato dato in passato a Nina Zilli, Raphael Gualazzi, Arisa. Per me significa molto un riconoscimento così.
Quali sono i tuoi prossimi impegni? Sarai presto in tour?
In primavera ed estate sicuramente farò dei concerti. A breve sarà tutto spiegato sul mio sito, su Facebook e Twitter. Intanto sto anche lavorando sul mio secondo disco. Vorrei far vedere che c’è un’altra mia faccia musicale. “Siamo morti a vent’anni” è un disco arrabbiato, vorrei fare qualcosa di più ironico.
Tu sei molto attivo su Facebook e Twitter…
Oggi le pagine sui social network non sono un vezzo, ma un canale importantissimo per il lavoro. Tramite Twitter sono entrato in contatto con i Club Dogo (con conseguente collaborazione sui rispettivi dischi, nda), con Jovanotti, che mi ha molto sostenuto, e anche con dei produttori importanti con cui sto lavorando. E’ chiaro che non si può diventare schiavi dei social, altrimenti si perde il contatto con la vita reale.
Anche su YouTube sei molto presente, rispondi spesso ai commenti che ti lasciano…
Internet è un’arena; a volte arrivano fiori, a volte letame. Provo sempre a dialogare, poi se c’è quello che vuole solo rompere le scatole, capita che risponda a tono: sono un essere umano.
Cosa pensi di Spotify e Deezer (servizi di streaming musicale, nda)?
Ne parlavo con Jovanotti: mi diceva che probabilmente sua figlia non ha mai comprato un cd in vita sua. Molto facile che sia così, se sei adolescente oggi. Il rischio è che avendo un giga a disposizione e scaricando tutto facilmente, si accumulino canzoni che nemmeno si ascoltano. Spotify e Deezer, invece, rendono più sensato il formato ‘etereo’. In più, oggi vedo che i ragazzi investono volentieri 99 centesimi su iTunes per un brano che interessa.
Ti possiamo considerare un cantautore tecnologico?
Uso molto l’iPad, è uno strumento musicale vero e proprio e ha un’immediatezza che una tastiera non ti dà: è ottimo per i concerti, permette soluzioni sonore interessantissime. Lo uso io direttamente nei live acustici e lo utilizza sempre anche il mio tastierista. Ho Garage Band (programma per comporre, nda) sia sul Mac sia sull’iPad: sul tablet compongo un demo toccando solamente delle corde immaginarie. Dieci anni fa era impensabile, come lo era registrare un provino con l’iPhone.
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