I CFO italiani sono sempre più “integratori di valore”, ma richiedono strumenti di analisi più efficienti
IBM annuncia i dati relativi al campione italiano dello studio condotto dall’IBM Institute for Business Value sulla figura del Chief Financial Officer (CFO), che ha coinvolto nel mondo oltre 1900 intervistati, provenienti da 81 Paesi e 35 settori di attività. In Italia sono stati 34 i CFO intervistati, appartenenti a differenti settori industriali.
Lo studio IBM rappresenta la più grande raccolta di opinioni realizzata durante la recessione economica; i dati che emergono dalle interviste ai CFO italiani sono generalmente in linea con quelli dei pari ruolo stranieri e sottolineano la necessità di pianificare sostanziali cambiamenti in risposta al mutato clima economico (secondo oltre il 60%), con l’obiettivo esplicito, indicato da oltre l’80% dei CFO, di “fornire input alla strategia d’impresa”.
In termini generali, i CFO di tutto il mondo rivestono un ruolo sempre più significativo sulle questioni strategiche e operative, fungendo da vero e proprio fulcro del cambiamento aziendale. Secondo gli intervistati italiani, in particolare, il compito prioritario dei CFO è duplice: selezionare gli indicatori delle key performance (88%) e gestire il capital asset management (84%). Ne risulta un generale incremento dell’influenza dei CFO all’interno dell’azienda e la consacrazione ad un ruolo strategico dei dirigenti finanziari più marcato rispetto alle scorse edizioni dello studio (61% nel 2005 e 71% nel 2008).
I CFO italiani individuano, nell’analisi della situazione in cui si trovano ad operare, trend per il futuro simili rispetto alle previsioni dei colleghi: il 74% ritiene, infatti, che dal top management giungerà la richiesta pressante di ridurre i costi d’impresa di base (contro il 78% a livello globale), seguita dall’esigenza di prendere decisioni più accurate e più rapidamente (76% in Italia e 74% nel mondo) e dalla necessità di fornire più trasparenza agli stakeholder esterni (69%).
Di fronte a tali sfide, lo studio IBM indica senza dubbio qual è il profilo del CFO capace di rispondere in maniera concreta ed efficace alle richieste della direzione e navigare in un clima economico incerto: i cosiddetti value integrators.
Sono costoro, infatti, a rappresentare l’eccellenza in termini di efficienza finanziaria e capacità di analisi delle informazioni, essendo in grado di rendere più rapidi e validi i processi decisionali del business, con una maggiore sicurezza nelle previsioni. Essi rispondono, ugualmente, alla necessità delle organizzazioni di disporre di analisi dei dati, pianificazione degli scenari e capacità predittive più avanzate, per contrastare la crescente complessità, incertezza e volatilità del mercato.
Ciò appare cruciale alla luce di uno degli aspetti che emerge con più evidenza dalla survey, cioè che le funzioni Finance meglio posizionate per integrare valore a livello aziendale sono quelle che eccellono in due aree sinergiche e complementari: l’efficienza finanziaria (ossia il grado di uniformità e coerenza di dati e processi all’interno della funzione Finance) e la capacità di analisi delle informazioni (il cosiddetto business insight, cioè il livello di maturità di talenti, tecnologie e profondità analitica della funzione Finance, con particolare riguardo alle attività di ottimizzazione, pianificazione e previsione).
Segmentando gli intervistati sulla base di queste due dimensioni, si è arrivati alla creazione di quattro profili di Chief Financial Officer: gli “Scorekeeper”, caratterizzati da un basso livello di efficienza finanziaria e capacità di analisi delle informazioni, i “Disciplined Operator” che eccellono in termini di efficienza finanziaria ma sono caratterizzati da una bassa capacità di analisi delle informazioni, passando per i “Constrained Advisor”, in cui le ottime capacità di analisi delle informazioni non sono affiancati da analoghe performance in termini di efficienza finanziaria, per concludere con i “value integrators”.
I dati raccolti dimostrano chiaramente che il gruppo di CFO, denominati “Integratori di Valore”, supera costantemente in termini di prestazioni i propri pari in tutte le metriche finanziarie: l’EBITDA è superiore di ben 20 volte (11,3% rispetto allo 0,5% delle altre realtà), la crescita dei ricavi supera del 49% (14% rispetto al 9,4%) e ROIC del 30% (posizionandosi al 12,1).
Anche in Italia il dato è eclatante: i value integrators sono in grado di migliorare tutte le metriche considerate, per un totale del 34% di performance superiori rispetto a tutti gli altri.
Per quanto riguarda la suddivisione dei responsabili finanziari nelle diverse tipologie, i dati italiani sono in linea con quelli globali: gli Scorekeepers sono risultati essere il 30% (33% globale), i Disciplined Operators il 37% (32%), i Constrained Advisors il 13% (12%), mentre i Value Integrator il 20% (contro il 23% a livello complessivo ).
I “Value Integrator” non sono, quindi, semplici punti di smistamento delle informazioni ma rappresentano, grazie al loro punto di osservazione privilegiato, i soggetti più indicati a valutare le opportunità di business e il rischio in un contesto end-to-end, oltre a suggerire efficaci compromessi tra unità, mercati e funzioni di business.
Tale scenario è però complicato e messo a rischio dalla mancanza di strumenti adeguati, come sottolinea il 40% dei CFO italiani, costretti a produrre manualmente le metriche di analisi. Un ulteriore ostacolo alla trasformazione del patrimonio di informazioni finanziarie e operative in business insight, in modo che le decisioni non si basino più sulle intuizioni, ma sui fatti, è rappresentato dalla mancanza di disponibilità di dati condivisi, come lamenta ben il 50% dei CFO italiani.