Guerrieri si o Guerrieri no?

Ecco la versione di Enel nelle parole di Laura Giovannini, Responsabile Advertising di Enel ed il contributo di un esperto del settore Paolo Iabichino – Executive Creative Director di OgilvyOne e OgilvyAction Italia

 

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Un vecchio adagio dice “bene o male basta che se ne parli”, di sicuro dell’ultima campagna di Enel, #guerrieri, lanciata il 26 agosto scorso si è parlato molto negli ultimi giorni. L’obiettivo dell’azienda era di dare voce alle storie degli italiani che ogni giorno affrontano e superano le difficoltà della vita quotidiana. Negli ultimi giorni su Twitter,  si è sviluppato un picco di mentions caratterizzato per lo più da critiche negative. Qualcuno addirittura parla di epic fail. Cosa è successo realmente?

Ne abbiamo parlato con Laura Giovannini, Responsabile Advertising  di Enel e con  un esperto del settore Paolo Iabichino – Executive Creative Director di OgilvyOne e OgilvyAction Italia  

Laura Giovannini – Responsabile Advertising  di Enel

Qual era lo scopo della vostra  campagna?

Si tratta di una campagna di tipo istituzionale e cioè volta a sostenere l’immagine della marca ed i suoi valori che, in continuità col percorso di condivisione e vicinanza al fianco degli italiani che già aveva caratterizzato la precedente campagna “Milioni di attimi”, vuole raccontare le storie di gente comune. E’ a coloro che non mollano mai di fronte alle grandi e piccole sfide quotidiane che la campagna si rivolge sottolineando il ruolo di Enel nel dare energia a tutti i “guerrieri” e invitandoli a raccontare le loro storie.

Anche in campo commerciale avevamo già declinato questa modalità di colloquio con il pubblico: ricordo  #spenderemeno con la quale abbiamo comunicato la recente offerta di Enel Energia, rappresentandone i vantaggi e suggerendo similitudini con altri esempi sullo “spendere meno”. In Rete si raccoglievano anche gli ulteriori  consigli della gente  per spendere meno. Hashtag “guerrieri” continua questa strategia di condivisione e vicinanza. In questo caso chiediamo ai singoli di raccontare le loro storie e le sfide quotidiane, uno spaccato della vita di tutti noi in un momento di crisi economica.

Sembrerebbe che in Rete ci sia stato un effetto boomerang per ENEL e la sua campagna #guerrieri, cosa è successo?

Facendo una campagna così coraggiosa e dirimente, usando anche un  linguaggio forte come la stessa parola  “guerrieri”, ci attendevamo effetti polarizzanti, con reazioni anche estreme a favore o a sfavore ma che sicuramente non avrebbe lasciato indifferenti. Alcuni target si sono fortemente identificati in questa campagna riconoscendosi e altri invece ne sono rimasti più estranei. #guerrieri è una campagna di grande apertura e onestà, di condivisione dei tempi che viviamo. Ad oggi contiamo già 2000 iscritti al sito e 1000 storie, numeri parziali poiché è ancora in corso l’iniziativa di storytelling.

La reazione negativa a cosa è stata dovuta secondo voi? Se errore c’è stato, quale pensa sia stato? Forse la scelta dell’hashtag era troppo forte ed evocativa?

Abbiamo riflettuto a lungo prima di decidere sul termine “guerrieri”. Ne percepivamo la forza ed era proprio quello che volevamo trasmettere. Infatti anche i toni della campagna tv sono abbastanza incisivi, descrivendo varie scene di vita comune in modo molto determinato (i guerrieri sono coloro che si alzano alle sei di mattina, il lavoratore che rischia in proprio per la sua attività, e così via). Insomma la condivisione di alcune situazioni che sono comuni a milioni di italiani.

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Come mai avete scelto di centrare la campagna su Twitter, una svolta comunicativa, ma che allo stesso tempo ha offerto il fianco a un pubblico avvezzo alle critiche?

Twitter è uno strumento immediato e di conseguenza liberatorio. La sua diffusione ci ha persuasi a lavorare su più fronti, sia con i mezzi tradizionali come la stampa e la tv, sia con i nuovi media.

Twitter è stato scelto perché meglio di tutti rappresenta la condivisione e la capacità di interazione e di espressione degli utenti. Abbiamo aperto una piattaforma dove raccogliere le storie degli italiani e quindi era giusto sfruttare i mezzi migliori per dare la giusta visibilità sui social media.

Una campagna contemporanea anche nei mezzi che usa.

La scelta di fare lo spot tradizionale in TV è stata giusta? Si parla molto di second screen ma forse in Italia siamo ancora indietro.

I giovani in realtà guardano tutti la TV avendo in mano uno smartphone e interagendo con i social, i target più anziani chiaramente no, ma trattandosi di una campagna istituzionale suun ampio target, c’era la necessità di utilizzare anche il mezzo più diffuso che è ancora la TV.

Enel ha strumenti con cui analizzare la Reputation in Rete?

Monitoriamo la reputazione in Rete così come i risultati delle nostre campagne e lo facciamo anche in questo caso. La nostra campagna è in corso da circa un mese e mezzo: ovviamente ci sono opinioni critiche. Noi ascoltiamo tutti i commenti mantenendo allo stesso tempo l’attenzione sulle storie che abbiamo ricevuto e che rappresentano  il vero valore per noi.

Avete avuto coraggio ad aprire la vostra campagna all’interazione con gli utenti, forse prestando il fianco a organizzazioni come Greenpeace che non aspettavano altro?

Non sono d’accordo: diciamo che potevamo tranquillamente rimanere in una zona di comfort come molte aziende fanno. Abbiamo invece pensato che fosse necessario dare un segnale di vicinanza e prossimità alle persone e che non fosse sufficiente un messaggio di puro entertainement. Anche nelle campagne commerciali abbiamo privilegiato il focus sulle famiglie rispetto all’approccio tradizionale con i testimonials. Proprio dalla proposta di un engagement con il nostro pubblico su un terreno reale nascono le campagne #spenderemeno e #guerrieri.

Enel fa pagare le bollette, forse c’è un percepito di brand molto negativo in un periodo di crisi come questo?

Sicuramente il difficile momento di crisi economica acuisce il problema dei costi. Ma il percepito del brand non è negativo, abbiamo un altissimo livello di conoscenza e di valore della marca. Ci confrontiamo con le criticità ogni volta che facciamo una campagna pubblicitaria: vendiamo un servizio che è percepito spesso mediante la sua  assenza, cioè quando l’elettricità viene a mancare o quando la si deve pagare. Questa è una costante del nostro business e della nostra comunicazione, ci sono periodi poi di maggiore o minore attenzione mediatica su questi argomenti. È un elemento che teniamo sempre in considerazione.

Paolo Iabichino – Executive Creative Director di OgilvyOne e OgilvyAction Italia

È una campagna che mi è piaciuta molto dal punto di vista esecutivo, una campagna perfetta stilisticamente parlando. Ha applicato i codici dell’advertising più belli: grande copywriting, cura della fotografia, regia ricercata e un’attenzione particolare nella realizzazione del sito internet. Inoltre, mi è sembrato che partisse da un’intenzione sana da parte di Enel, la voglia di coinvolgere gli italiani in una campagna di storytelling nella sua forma meno top-down, non uno storytelling tradizionale legato alla narrazione di impresa. E questa intuizione di partenza di solito è da valutare positivamente, è sana, attuale e contemporanea.

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Perché allora non ha funzionato?

Ha sollevato una serie di critiche in Rete. La valutazione di un’iniziativa come questa non è da ascrivere all’efficacia intesa nella sua forma più convenzionale. Se funzionerà o meno, dipenderà solo e soltanto da come Enel si comporterà in relazione alle reazioni che ha suscitato. Questa è una campagna che non avrà funzionato se Enel subirà la conversazione negativa. Enel invece può avere il merito di aver sollevato una conversazione e di aver mostrato il fianco rispetto al suo percepito di marca. Perché, attenzione, la risposta che c’è stata è caratterizzata soprattutto dalla percezione di una marca “antipatica”, perché rappresenta ancora un vecchio monopolio, perché ha un heritage legato alle istituzioni, rappresenta una tassa… In un momento in cui le persone fanno fatica ad andare avanti, una campagna come questa viene letta come una strumentalizzazione della pubblicità, poi mettici una potenziale antipatia per la marca e il cocktail è perfettamente riuscito.

Si sono infilati in un territorio minato, quello della lotta in un momento in cui la lotta è vera ed è ben poco pubblicitaria.

Da utente ho trovato la parola Guerrieri e il concetto che c’è dietro molto forti, forse troppo?

Sì. forse sì, però probabilmente anch’io – da creativo – avrei approvato questa campagna, questo titolo, questo atteggiamento e il modo di comunicare. Forse non avrei affidato a un hashtag il messaggio (certo che a posteriori è più facile l’analisi), non avrei fatto dei Promoted Tweet o quantomeno non avrei usato come epicentro questo canale, dove l’utente per sua natura è più sensibile un punto di vista digitale ed è, insomma, un utente più critico.

Twitter è la piattaforma dove più velocemente si diffondono i movimenti e le campagne di controinformazione; andare a “sfruculiare“ quel tipo di utenti è stata un’ingenuità. Si poteva forse fare in maniera un po’ più leggera, con il tema della lotta un po’ più addomesticato, un po’ meno aggressivo e combattivo. Avrebbe perso molto della sua spinta creativa, ma forse sarebbe stata accettata con meno problemi.

Ogni volta che si prende posizione ti devi aspettare che qualcuno sia dalla parte contraria alla tua. Il punto vero è rispondere con intelligenza anche a chi non sta dalla tua parte, generando una conversazione reale e stimolante. Non difendersi solo, ma imparare e forse scoprire che Enel in un momento come questo una campagna così non poteva permettersela, perché ha ancora dei coefficienti di reputazione da colmare.

Il contesto culturale all’interno del quale si sono inseriti c’è ed è un contesto vibrante, attuale, che le persone sentono in maniera vivida. Forse però quando si lanciano queste iniziative, se davvero vuoi sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema come quello della lotta quotidiana, il brand deve saper fare un passo indietro. Il vero errore formalmente parlando è quello di aver brandizzato questa campagna in maniera importante, nell’aver affidato all’account Twitter di Enel (@enelsharing) l’hashtag #guerrieri, l’aver usato i propri canali sociali e aver creato una piattaforma digitale proprietaria.

Quando hai l’ambizione di generare dei movimenti di opinione intorno a temi particolarmente sentiti, invece, è più prudente non muoversi sugli owned media, ma guadagnarsi (earned media) giorno per giorno uno spiraglio di attenzione nel palinsesto personale delle persone.

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Queste sono delle lezioni che anch’io ho imparato durante la campagna Internet for Peace; quando lanciammo il sito dedicato all’iniziativa, sentimmo che non potevamo brandizzare quell’iniziativa, e tantissime persone in tutto il mondo condivisero e sottoscrissero la nostra campagna. Non appena questa prese un corpo anche sulle pagine di Condè Nast, in maniera più “pubblicitaria” partirono anche le critiche e la campagna venne accusata di strumentalizzazione. Noi restammo coerenti alle intenzioni di partenza, Riccardo Luna allora Direttore di Wired rispose punto per punto a chi muoveva le sue critiche e le conversazioni che si scatenarono furono intorno all’oggetto della campagna, alle sue modalità di comunicazione, molte analisi erano sane e costruttive. Anche in questo caso potrebbe succedere la stessa cosa.

La scelta di fare lo spot tradizionale in TV è stata giusta? Si parla molto di second screen, ma forse in Italia siamo ancora indietro.

Vero, perché nonostante noi addetti ai lavori parliamo di second screen, abitiamo ancora un paese spaccato a metà; da una parte c’è chi guarda la televisione e dall’altra c’è chi sta su Internet. L’atteggiamento televisivo di questa campagna mi è sembrato molto maturo, perché in fondo usa questo tipo di comunicazione per raccontarti un mondo di riferimento. Questo è un atteggiamento che si sta diffondendo molto, soprattutto all’estero, dove molti brand usano la tv per dichiarare il proprio “credo”. Ritengo che da noi la maggior parte delle persone non sia ancora abituata a un linguaggio pubblicitario rinnovato. Lo spettatore medio, quando vede uno spot in TV, si chiede (peraltro giustamente) “Cosa mi vogliono vendere?”. Ecco, probabilmente è questa la domanda che si è fatta la maggior parte delle persone di fronte al film di Enel, perché siamo ancora prigionieri di una pubblicità che vende e non di una pubblicità che prova a interpretare il mondo che viviamo e a raccontare storie intorno a questo.

 

Laura GiovanniniDopo la laurea in Lettere e un Master in Marketing e Comunicazione, ricopre diversi incarichi manageriali nell’agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi. Dal 2007 in Enel assume prima il ruolo di responsabile della Comunicazione Istituzionale Internazionale, poi della Comunicazione Energie Rinnovabili e, dal 2009, della Comunicazione Energia Nucleare.  Dal luglio 2011 è Head of Advertising – Enel Group.

Paolo Iabichino  – è Executive Creative Director di OgilvyOne e OgilvyAction Italia, le agenzie del Gruppo Ogilvy specializzate nel digital e one-to-one marketing, e nel consumer & trade activation. Con il suo team gestisce campagne e strategie di comunicazione per importanti marche italiane e internazionali ed è convinto che la pubblicità non abbia più bisogno di un target, ma di un interlocutore con il quale marche e prodotti devono mettersi in relazione, superando la logica del bisogno per sposare l’etica del servizio.  Docente di un master post laurea di advertising presso la Scuola Politecnica di Design di Milano, Paolo Iabichino è anche autore di Invertising, un saggio edito da Guerini & Associati che analizza le trasformazioni in atto nel mondo dell’advertising. Il saggio è giunto alla terza ristampa, è adottato da numerose facoltà universitarie ed è oggetto di diverse tesi di laurea.