Ogni volta che si sente parlare delle tendenze e delle evoluzioni del crimine tecnologico il concetto di fondo è sempre lo stesso: strategie sempre più raffinate finalizzate al conseguimento di maggiori guadagni in danno dei soliti malcapitati di turno.
In questi giorni una ricerca condotta da Trend Micro ha sottolineato come ciascun furfante digitale – singolo o in gruppo – abbia maturato una specifica abilità in un determinato settore piuttosto che in un altro: dai veri smanettoni che si occupano di creare malware per poi rivenderli anche per 10.000 dollari a copia fino ad arrivare a chi si cimenta nel trafugare identità virtuali, credenziali di accesso, numeri di carte di credito degli utenti per poi offrirli nei forum dell’underground della Rete per pochi spiccioli.
L’elemento che li accomuna, secondo gli esperti, però è il sofisticato modello di business su cui si basano gli specialisti della truffa.
E’ sempre e comunque lo scopo di lucro il fine ultimo di tutti i malandrini digitali.
Quello che ha fatto un trentunenne californiano, come buona norma vuole, è l’eccezione che conferma la regola generale.
A Luis Mijangos non interessano i soldi, o, forse, non tanto quanto si potrebbe immaginare.
Atteggiamenti sexy e filmati piccanti sono ciò che vuole questo consulente informatico.
I fatti contestati dagli investigatori riguarderebbero l’accesso abusivo a postazioni informatiche, l’utilizzo delle informazioni riservate e personali rinvenute nelle memorie per estorcere alle vittime – tutte donne e di cui molte giovanissime – video ed immagini di sesso esplicito.
Le indagini avrebbero permesso di accertare l’impiego di un trojan dato in pasto ai canali P2P in un file eseguibile camuffato da noto brano musicale.
Una volta acquisito il controllo di alcuni PC, attraverso servizi di messaggeria istantanea il sig. Mijangos propagava l’infezione anche ai contatti presenti nel profilo dell’utilizzatore, che, ingannati dall’affidabilità del mittente, non avevano alcuna esitazione a fruire dei contenuti ricevuti.
In una circostanza emersa dagli atti avrebbe richiesto ad una donna, che aveva avuto la sola sventura di conservare alcune immagini compromettenti, un filmato pornografico appositamente realizzato per lui concedendole – in un atto di contorta gentilezza – la possibilità di offuscare il viso; in caso contrario avrebbe pubblicato quanto sottratto dal PC.
Anche per coloro che nulla avevano da nascondere, però, c’era comunque qualcosa da temere; dall’analisi del elaboratore sequestrato all’uomo, infatti, sono venuti alla luce numerosi file di riprese effettuate attraverso la webcam dei computer infetti di ragazze, che ignare di tutto, ad esempio, venivano immortalate mentre si accingevano a rivestirsi dopo una doccia.
Anche a queste toccava la sorte di essere contattate e dietro la minaccia della divulgazione di quanto registrato illecitamente veniva proposto il medesimo “patto”.
A sua discolpa il sig. Luis Mijangos durante la perquisizione dichiarava agli agenti di aver tenuto tale condotta sotto la supervisione di mariti e fidanzati dubbiosi della condotta morale della propria compagna.
Ammetteva pure di aver fatto parte di una gang di hacker coinvolta in frodi con carte di credito.
Ma le prove in mano dei detective hanno portato a contestare al voyeur digitale esclusivamente il reato di estorsione e non episodi relativi ad altri raggiri il cui profitto fosse il denaro.