Australia: bollino blu per i PC

Come ricorderanno i patentati ultradecennali residenti in molte metropoli nazionali, per tutelare l’ambiente circostante e tenere sotto controllo le emissioni dei gas di scarico, da alcuni anni è stato introdotto l’obbligo di sottoporre la propria automobile all’esame del “bollino blu”.

Stessa sorte sembra toccare agli internauti australiani.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

La spinta propulsiva però non è quella di contenere l’inquinamento e le strade percorribili non sono sterminate distese di asfalto ma un’intricata struttura di cavi di rame e fibra ottica.

La possibilità di circolare nelle sconfinate autostrade di Internet potrebbe essere preclusa agli utenti che non diano dimostrazione di aver adottato adeguate misure di protezione sulla loro postazione informatica.

È questa una delle trentaquattro raccomandazioni suggerite dalla Commissione Permanente Comunicazioni e IT australiana per contrastare il dilagante fenomeno del cyber- crime che sta investendo il Paese con particolare e crescente interesse.

Dopo un anno di indagini nel mondo della criminalità informatica, la Commissione ha prodotto una corposa relazione di quasi trecento pagine dal titolo “hackers, fraudsters and botnets: tackling the problem of cyber-crime“ nella quale il problema viene osservato da diversi punti di vista.

Alcune incombenze verrebbero assegnate agli Internet Service Provider che, prima di fornire connettività, dovrebbero conoscere lo stato di salute del computer dei propri clienti, ovvero sapere se sulle macchine vi siano installati anti-virus e firewall.

Ma il controllo non finirebbe qui: qualora il fornitore di connettività accertasse la presenza di un qualsivoglia malware sull’elaboratore dell’utente, dovrebbe apportare graduali restrizioni fino al blocco totale della navigazione se non si provvede tempestivamente alla sua bonifica.

Tra le altre raccomandazioni vale la pena sottolineare l’ipotesi della previsione di una responsabilità in capo alle aziende che immettono sul mercato software “difettato”, che si potrebbero vedere chiamate a risarcire i consumatori che a causa delle specifiche vulnerabilità sono cadute nella rete dei pirati cibernetici.

Leggi anche:  Commvault: trend, regole e sfide della resilienza informatica

Tutti questi accorgimenti, secondo la Commissione, riuscirebbero a diffondere una maggiore sensibilità ad ogni livello tale da rendere più arduo l’operato dei criminali informatici.

Per quanto riguarda l’intervento delle istituzioni è stata evidenziata la necessità di valutare l’eventuale sottoscrizione della Convenzione sulla criminalità informatica del Consiglio d’Europa tenutasi a Budapest il 23 Novembre 2001 – ratificata anche da noi con la Legge 48/2008 –, in quanto – si legge nel rapporto – il celere scambio di informazioni tra i vari Stati aderenti e la costante cooperazione sono stati visti come efficaci strumenti per osteggiare e reprimere questa tipologia di crimini, connotati dalla tipica transnazionalità della manifestazione degli eventi.