Oramai è un “al lupo, al lupo” con le società più famose che annunciano nuove misure e strumenti per la sicurezza e la privacy. In molti non ci credono più e all’estero si evitano i contatti con gli States
La mancata standing ovation per Yahoo all’annuncio della più grande revisione dei sistemi di sicurezza del gigante statunitense è l’emblema maggiore dell’attuale stato degli utenti della rete. Gli attivisti della privacy sono stati molto schietti a riguardo, chiedendo come è stato possibile che l’Intelligence americana abbia bucato i server aziendali senza che nessuno se ne accorgesse, mai. La sensazione è che oggi, gli utenti che navigano su internet abbiano altre esigenze oltre a quelle di avere un’app sullo smartphone o tempi più veloci di caricamento. Vogliono la sicurezza che i loro dati non vengano utilizzati per altro, che vengano protetti adeguatamente, senza incorrere nel monitoraggio globale avviato dalla NSA, o almeno che venga fatto il possibile per evitarlo.
Embargo sulla nuvola
La mancato risposta di aziende come Google, Facebook, Twitter e Mozilla e l’estremo gesto di altre tra cui Microsoft e Yahoo di calmare gli animi dicendo che nessuno spia niente, ha suscitato una serie di iniziative a dir poco eclatanti, capaci di erodere fette del mercato informatico a stelle e strisce. Un esempio? In india i funzionari governativi hanno bloccato l’utilizzo di servizi di posta elettronica con server negli States.
Il danno
in Brasile il governo sta spingendo diverse leggi che costringono le imprese straniere hi-tech, che fanno business con il paese, a ridisegnare le loro infrastrutture, con l’obiettivo di far installare server interni e non più nel Nord America. Secondo Forrester Research la ricaduta sul sistema statunitense potrebbe costare all’industria del cloud computing fino a 180 miliardi di dollari, ovvero un quarto delle entrate totali, entro il 2016.