Lo rivela una ricerca dell’Università di Milano-Bicocca presentata al convegno “Digital Learning. Scuola, apprendimento e tecnologie didattiche”. Gli studenti intervistati sottovalutano la gravità del fenomeno. Grandi assenti l’educazione all’uso corretto di internet e il ruolo degli adulti.
Negli episodi di cyber bullismo la linea che separa vittime e persecutori è labile e le parti si invertono con molta più facilità rispetto al bullismo “tradizionale”. Mentre le tipologie di attacco maggiormente in voga sembrano essere la diffusione di fotografie e video imbarazzanti, la creazione di “hate page”, ed il furto di identità virtuale, usate per creare falsi profili sui siti di social network o inviare messaggi compromettenti a nome della vittima.
A rivelare questi dati è la ricerca “Cyber-bullismo e uso delle tecnologie tra i giovani”, presentata in occasione del convegno “Digital Learning. Scuola, apprendimento e tecnologie didattiche”, organizzato dall’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con il Comune di Cinisello Balsamo che si conclude oggi a Cinisello presso la Sala Consiliare e il Centro di Alta formazione QUA_SI/Universiscuola.
Lo studio è stato realizzato, in Italia e in alcuni paesi in via di sviluppo (Brasile, Colombia, India, Turchia) dai ricercatori del Centro QUA_SI/Universiscuola Davide Diamantini e Giulia Mura, ed è stato svolto, per la parte italiana, su 862 studenti di istituti pubblici (sia licei sia istituti Tecnici o scuole medie), di età compresa tra gli 11 e i 19 anni, di cui 51 per cento maschi e 49 per cento femmine, dell’area di Milano e provincia. Per la parte internazionale, il questionario è stato sottoposto a un campione di 623 studenti di Brasile, Colombia, India e Turchia, 58,7 per cento maschi 41,3 per cento femmine, di età compresa tra i 13 ed i 19 anni. Si tratta di un campione di estrazione socio-economica medio/alta, con un’alta percentuale di laureati sia tra i padri sia tra le madri.
L’obiettivo della ricerca, centrata su tutte le parti coinvolte: vittime, cyber bulli e bystanders, è stato quello di ottenere una valutazione non solo della diffusione degli episodi di cyber-bullismo, ma anche della rappresentazione che i ragazzi hanno del fenomeno, delle differenze nella netiquette adottata, del peso che gli eventuali attacchi subiti hanno avuto nella loro esperienza personale, della distanza tra quanto i ragazzi ritengono lecito fare in Internet o utilizzando il cellulare e ciò che viene considerato illecito per la legislazione nazionale.
Che faccia ha il cyber-bullismo
In Italia solo il 18 per cento del campione dichiara di non aver subito nemmeno un episodio di aggressione virtuale negli ultimi sei mesi, il 37 per cento è stato attaccato una o due volte, ed il 45 per cento tre volte o più. Tra gli atti di cyber bullismo più diffusi gli scherzi telefonici si collocano al primo posto (23 per cento), seguiti da diffusione di pettegolezzi via web (15 per cento), pubblicazione di profili denigranti sui social network (12), pubblicazione di messaggi privati e e-mail cattive (10), pubblicazione di foto (8), furto di identità (4), esclusione da forum (2).
Alla domanda se abbiano mai commesso atti di cyber bullismo il 16 per cento degli intervistati ha risposto di no, almeno negli ultimi sei mesi, il 36 per cento dichiara di averlo fatto una o due volte, il 48 tre o più volte.
Nel confronto tra maschi e femmine, il 45 per cento delle ragazze dichiara di praticare la diffusione di pettegolezzi via web, mentre il 79 per cento dei ragazzi utilizza gli scherzi telefonici per infastidire le proprie vittime. Tuttavia, le ragazze dimostrano maggiore consapevolezza dei danni che possono fare con azioni di cyber bullismo.
A livello internazionale, almeno nei paesi oggetto dell’indagine, il 15 per cento del campione dichiara che non ha mai subito un episodio di attacco virtuale. Il 50 per cento ha subito minimo 3 attacchi negli ultimi sei mesi.
Gli scherzi telefonici, i “nonni” del cyber-bullismo, rimangono anche all’estero l’attacco denunciato più spesso. Seguono la ricezione di messaggi offensivi o aggressivi su una pagina di social network e la diffusione online di pettegolezzi e, solo leggermente più in coda, la pubblicazione di messaggi privati. Meno frequenti la ricezione di e-mail o sms cattivi e la pubblicazione di foto imbarazzati, mentre solo in pochissimi casi viene segnalata l’esclusione dai forum online o il furto di ID virtuale.
Se si guarda ai comportamenti attivi, solo il 22 per cento del campione non ha mai fatto alcuna delle azioni indicate come cyber bullismo, mentre il 42 per cento ha lanciato tre o più attacchi negli ultimi sei mesi.
Il fenomeno, che raggiunge il picco di diffusione tra i 15 ed i 17 anni, colpisce in modo abbastanza equilibrato i due sessi, anche se nel campione presente si riscontra una leggerissima propensione al cyber bullismo nei maschi più che nelle ragazze (potrebbe essere dovuto ad una diversa possibilità di accesso alle tecnologie).
Il confronto Italia/estero
Uso tecnologia. Il campione italiano ha maggiore accesso alla tecnologia rispetto ai paesi in via di sviluppo presi in considerazione; tutto il campione ha comunque in media accesso a cellulare e internet almeno una volta al giorno.
Vittimizzazione. Tranne che per il furto di ID e la pubblicazione di messaggi privati (più frequente nel resto del campione), i ragazzi italiani e quelli di Brasile, Colombia e India riportano simili frequenze nell’aver subito aggressioni online. Anche per quanto riguarda la valutazione dell’esperienza come più o meno negativa, non ci sono differenze significative.
Bullismo. Non si riscontrano grandi differenze tra il campione italiano e quello straniero. L’unico evento significativamente meno frequente è l’esclusione dai forum online, che in Italia non sembrano essere particolarmente diffusi. Per tutti gli altri fenomeni l’andamento è molto simile. Anche la valutazione di tali esperienze è significativamente più positiva nel campione italiano.
Valutazione Cyberbullismo. Gli italiani generalmente valutano gli episodi come meno gravi, rispetto al resto del campione, sia quando si tratta di giudicarli in astratto sia, in modo più marcato, quando rispondono sulla base della loro esperienza diretta.
«I genitori – hanno detto gli autori della ricerca Davide Diamantini e Giulia Mura, commentando i dati – hanno abdicato, riconoscono nei figli una “autorità” superiore in materia di computer e sono rassicurati dal fatto che i figli restino in casa. Invece l’esperienza di vita deve poter essere trasposta anche nel mondo virtuale e il genitore deve mantenere vivo l’interesse su quello che è un momento di socializzazione importante per i ragazzi. Non farsi rassicurare dai filtri imposti a priori all’hardware, ma chiarire il fatto che le regole di buona educazione e convivenza civile vanno estese anche alle relazioni in Internet è l’unica strategia per restituire un ruolo educativo ai genitori e per rendere più sicuri i ragazzi».