Con 900 milioni di euro nel 2013, la rete degli oggetti italiana si piazza al secondo o terzo posto in Europa, secondo l’Osservatorio IOT del Politecnico di Milano. Auto ed edifici connessi tirano, ma per la smart city la strada è ancora lunga
Tre ore di discussione serrata per inquadrare una materia high-tech – la Internet of Things – che come ha osservato Maurizio Decina, è indefinibile, ma che per una volta vede l’Italia in una posizione di testa nella classifica dei valori europei. Giovedì 6 febbraio, al Politecnico Bovisa, Decina è stato uno degli oratori del convegno che ha presentato i dati 2013 sui valori della Internet degli oggetti in Italia elaborati da Osservatori.net. «Parlare di IoT – ha detto Decina in apertura di un intervento dedicato alla delicata questione infrastrutturale -è come parlare di Internet. Non è un caso se un provider come Cisco preferisce ricorrere a un termine come Internet of Everything».
Un apprezzabile tentativo definitorio arriva da Alessandro Perego, direttore scientifico di un Osservatorio sorto come evoluzione dell’esperienza maturata dalla School of Management del Politecnico di Milano nel campo della Rfid. «Il nostro obiettivo – dichiara Perego – è analizzare un mondo fatto di oggetti intelligenti, che conoscono il loro stato e posizioni e possono misurare varie grandezze, connessi da una rete intelligente, aperta, multifunzionale». In un mondo che sfida le classificazioni e offre stime e proiezioni molto diverse (se IDC – ha ricordato Perego – prevede una economia di quasi 9mila miliardi di dollari nel 2020, Gartner nello stesso periodo si ferma a meno di 2mila miliardi), Osservatorio IoT monetizza l’economia IoT italiana intorno ai 900 milioni di euro generati da sei milioni di “oggetti”.
Di quali oggetti stiamo parlando e quali sono le applicazioni? Queste valutazioni sono affidate a Giovanni Miragliotta che spiega alla platea come la cifra di 6 milioni derivi dal censimento delle Sim card che rappresentano oggi il grosso di quello che potremmo definire “ultimo miglio” delle cose – «il resto, per esempio i pali attrezzati e connessi che secondo le stime sarebbero 400mila, è molto difficile da contare». «Nel confronto con il 2012, i volumi attuali rappresentano una crescita del 20% in quantità», ha precisato Miragliotta.
Il 47% del mercato, in termini applicativi, è riferibile al comparto smart o connected car e un altro 21% riguarda lo smart metering del settore energia, seguito dai servizi di logistica e asset management e lo smart building e connected home. Per i primi due segmenti, ha concluso Miragliotta, è prevedibile una ulteriore espansione anche nel breve-medio termine. Una grossa mano verrà dal fronte regolatorio, con l’introduzione per esempio della direttiva europea eCall per le chiamate di emergenza in auto e con alcune direttive mirate al mercato dell’energia e del gas.
Dopo una prima parte tutto sommato incoraggiante, che ha visto anche l’intervento di Antonio Capone sugli aspetti tecnologici – in particolare l’importanza di standard come Bluetooth Low Energy per l’affermazione di un modello di servizio centrato sullo smartphone come gateway verso lo sconfinato universo delle app server-side – il convegno ha affrontato la questione smart city, l’area forse più promettente della IoT, ma sicuramente la più immatura in Italia (solo il 7% del mercato 2013), per una serie di ragioni che gli oratori milanesi hanno inquadrato con precisione, contestualizzandole all’interno dei case studies che i responsabili dei progetti smart city dei Comuni di Verona, Pavia, Lecce, Milano e L’Aquila, hanno presentato al pubblico.
Affinché le città dei servizi intelligenti possano dispiegare tutto il loro potenziale bisogna coordinare gli sforzi in almeno tre aree. Occorre, ha ricordato lo stesso Miragliotta, una progettualità coordinata e orientata non a servizi monofunzionali e ad hoc ma a piattaforme di servizio multifunzionali. Decina e Capone hanno invece esaltato il ruolo fondamentale di infrastrutture standardizzate e condivise, che mescolano reti di comunicazione primarie e secondarie (per la raccolta dei dati) a una governance finora rivelatasi il vero punto debole delle tante sperimentazioni effettuate negli ultimi anni. E infine Mario Calderini, docente del Politecnico che presiede il comitato Comunità Intelligenti nell’Agenzia per il Digitale, si è soffermato sulla criticità del supporto finanziario, ribadendo la necessità di adottare modelli di partenariato pubblico-privato a regolamentazione “leggera”, gli unici in grado di poter supplire ai drammatici problemi di budget delle amministrazioni locali.