Il Governo Monti, al di là delle misure contingenti previste per il risanamento del debito, dovrebbe riuscire a impostare delle politiche e dei provvedimenti che siano una premessa per una ripresa dello sviluppo economico.
Speriamo, ce lo auguriamo tutti. Eppure, la questione della banda larga, sembra rimanere, sempre e comunque, un argomento di second’ordine, una questione unicamente da addetti ai lavori. Nulla di più sbagliato. La modernità di un Paese e le potenzialità di crescita vanno ormai di pari passo con lo sviluppo di infrastrutture digitali all’avanguardia, disponibili a tutti su tutto il territorio.
Massimo Sideri, sul Corriere della Sera, ricorda che, “secondo le più recenti analisi di McKinesy, l’industria del Web in Italia rappresenta ormai il 2% del Pil, cioè oltre 30 miliardi di euro, e che per Marc Vos, managing director di Boston Consulting Group, si stimi un solido 4% entro il 2015”. Oggi l’Agricoltura, osserva Sideri, rappresenta il 2,63% del Pil (dati Istat). Il che vuol dire che, tra breve, l’economia trainata da Internet potrebbe rapidamente superare il valore di economie tradizionali, come appunto il valore generato dall’Agricoltura.
Perché, ci si chiede, non iniziare a pensare a un ministro di Internet, anche senza portafoglio? Siamo sicuri, ahimé, che nessuna iniziativa di questo genere verrà messa in cantiere da Monti. Ma è necessario guardare in prospettiva: il nodo di internet, non può essere eluso. Il gap, o spread digitale, usando un termine più allineato all’attualità, ovvero il differenziale tra l’indice di penetrazione della banda larga del nostro Paese, rispetto a quello di altri Paesi europei, per esempio quello tedesco, è un fattore che compromette le potenzialità di sviluppo dell’Italia.
Le infrastrutture digitali, così come l’evoluzione di una pubblica amministrazione dematerializzata, in grado di bonificare la palude burocratica, rappresentano delle condizioni irrinunciabili. Come sottolineato sulle pagine della Stampa, “Contrariamente a quello che pensano ancora in molti, il digitale non è solo un comparto dell’economia, per quanto importante. Il digitale, infatti, permea ogni settore economico e ogni attività, dall’agroalimentare alla cultura, dai trasporti all’energia, dall’istruzione ai media. Questa trasversalità va compresa a fondo se si vogliono cogliere i frutti della rivoluzione digitale. Così stanno facendo tutti i Paesi avanzati… L’Italia ha, invece, finora latitato. È ora di risalire dal fondo della classifica europea, per superare uno «spread» digitale che rischia di azzoppare i nostri sforzi quasi quanto lo spread finanziario.
In questo momento di transizione è quindi essenziale che la politica capisca l’importanza di dare subito un’agenda digitale all’Italia: banda larga in tutto il Paese, superamento dell’analfabetismo digitale, azioni mirate per portare il digitale in settori trainanti come turismo, cultura, artigianato, piccole imprese”.