Lo strano concetto di democrazia di Apple

Costantino Brachini, amministratore delegato 3WLab, ci parla di quelle che, secondo lui, sarebbero le zone d’ombra della politica Apple. Dopo aver ascoltato le sue obiezioni al modello Apple, abbiamo scambiato qualche domanda…

Cosa sta succedendo nell’Information Technology? Questo settore è generalmente considerato trainante per lo sviluppo socio-economico globale. Parlare di Ict significa parlare di ricchezza, sviluppo economico, progresso, ma anche di evoluzione sociale, fino ad arrivare, nelle estreme conseguenze, alla democrazia diretta. Sembra che nelle nostre orecchie si sia consolidata l’equazione libertà=comunicazione=informazione=internet.

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In uno scenario di progresso come questo si inseriscono storie bizzarre, al limite del paradosso, che fanno riflettere. Quando non si fa altro che parlare di liberalizzazioni ecco che un privato, e sottolineo un privato – Apple, per la precisione – pensa bene di realizzare un ambiente chiudendolo in maniera eccezionale, cercando di controllare tutto quello che succede intorno alla propria piattaforma.

L’annuncio di lancio di questa piattaforma suonava come la liberazione da tutte le filiere di distribuzione del software. “I programmatori potranno vendere direttamente agli utenti i loro prodotti”, si diceva, “Le idee circoleranno in maniera più veloce senza costrizione marketing”.

Una cosa Apple non aveva detto in modo chiaro, ed è più o meno questa: “se vuoi utilizzare la nostra piattaforma devi rispettare le nostre regole” (che è condivisibile) “che possono cambiare nel tempo secondo i nostri interessi” (che è del tutto scorretto).

Così oggi chi ha investito su questa piattaforma si trova a dover condividere i propri profitti con il fornitore, in un rapporto unilaterale che può solo accettare senza discutere. Ma la cosa più anomala è che l’utente, che poi è il vero perdente, per accedere a questo fantomatico mondo di libertà deve acquistare, e a caro prezzo, il proprio hardware, inconsapevole che chi glielo vende deciderà esattamente cosa potrà farne in base ai propri interessi. Proprio il contrario di ciò immagina di comprare, ossia la libertà di comunicare.

Apple infatti con il suo negozio online (AppStore, unico canale di distribuzione di contenuti) decide insindacabilmente cosa può essere pubblicato e impone che tutto ciò che viene commercializzato e visto attraverso i terminali sia tassato, a suo favore, del 30%. È come se ogni volta che acquistiamo qualcosa tramite computer dovessimo girare una percentuale a Microsoft.

E’ un modello che non sta in piedi. Sarebbe accettabile – ma lo dico chiaramente a mo’ di provocazione – solo se Apple cedesse a titolo gratuito i propri terminali agli utenti: in quel caso, rimanendone proprietario, avrebbe il diritto di decidere come utilizzarli!

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DMO: Un marketplace e’ un marketplace, se gli sviluppatori godono di immensa visibilità per  le loro App non e’ forse corretto che Apple abbia una percentuale sulle transazioni? Altrimenti rimarrebbero App “anonime” ( pensiamo alle migliaia di applicazioni consumer, magari sviluppate da appassionati o comunque da piccole società unipersonali con scarso potere commerciale)

Brachini:  Il mio disappunto non è sul marketplace, che funziona egregiamente. Trovo invece assolutamente sbagliata l’impossibilità di distribuire applicazioni con altri mezzi. Gli sviluppatori professionisti non sono nelle condizioni di creare applicazioni da distribuire in maniera alternativa e non possono usare l’Applestore a meno di essere tassati sia sul prezzo di vendita 30% (che sarebbe anche sopportabile) che su tutte le transazioni eseguite con le proprie applicazioni (insostenibile).

DMO: Se paragoniamo i prezzi delle applicazioni iOS con quelli di altri software ci accorgiamo che  non sono certo equiparabili  e a determinare un abbassamento così significativo di software per piattaforme Apple sono certamente la larga diffusione e disponibilità tramite App store.

Brachini:  Come già detto il sistema del marketplace è efficace per abbattere i prezzi del software, ma non deve essere l’unico, altrimenti tutti quei servizi che richiedono ulteriori costi oltre allo sviluppo dell’applicazione risultano fuori mercato. Comunque, se parliamo di applicativi che svolgono la loro funzione senza ulteriori costi dovuti al loro utilizzo (wordprocessor, fogli elettronici, etc) il modello è eccezionale per abbattere i costi. Rimane comunque deprecabile il comportamento di Apple quando censura la pubblicazione di applicazioni che potrebbero essere in concorrenza con le proprie.

DMO: Parliamo dell’utente finale. Gode di una immensa disponibilità di programmi. Piccoli, leggeri, o pesanti e professionali. Ma soprattutto accessibili, facili da reperire in modo immediato.Tutto cio’ e’ certamente reso possibile dalla immensa quantità di sviluppatori che ogni giorno Apple accredita e alla condivisione. Certo non siamo all’open source puro, ma forse un nuovo, diverso modello di business nel mondo del software e’ possibile ( per lo meno per certo tipo di mercato) proprio grazie a questo approccio

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Brachini:  Se si analizzano i software messi a disposizione su Applestore sono, per la maggior parte, applicazioni senza nessun valore per il mondo business, proprio perché il modello non premia investimenti significavi in questa direzione.

Ringraziamo Costantino Brachini, amministratore delegato 3WLab, per la sua disponibilità ad approfondire la tematica.