Il percorso verso l’intelligenza artificiale onnicomprensiva. Svelate le ambizioni di Meta, OpenAI e Google AI. La battaglia per i talenti non è mai stata così feroce
Era il 2022. Ed era ottobre. Ed ero in Arabia Saudita, in veste di speaker per la Future Investment Initiative e parlavo di intelligenza artificiale. Il moderatore mi fece una domanda e mi chiese se l’intelligenza artificiale sarebbe mai potuta diventare senziente. Ora, come allora, ritengo che non sia possibile. E non perché provando e riprovando Chat GPT o Google Bard abbia trovato diversi bug, quanto piuttosto perché dovremmo replicare di fatto il funzionamento del nostro cervello. E qui viene il punto. Non sappiamo come funziona di fatto il nostro cervello, come facciamo a simularlo o a replicarlo interamente? Un’idea sarebbe quella di creare davvero un cervello artificiale, magari fatto di silicio? Ma è davvero possibile? Sembra proprio di no. Eppure, non si parla che della possibilità che le AI possano non solo replicare o sostituire gli umani ma soprattutto che riescano a essere migliori o più pericolose di noi. L’ho detto circa due anni fa e sono convinto ancora oggi che sono migliori nel risolvere alcuni compiti, ma non tutti.
Succederà mai in futuro? E soprattutto, perché negli Stati Uniti non si fa che parlare della necessità di limitare la tecnologia AI e soprattutto perché a farlo sono gli attori più grandi del settore? E perché abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci salvi? Non è forse la tecnologia essa stessa uno strumento evolutivo? Più o meno le stesse domande se le pone Mark Zuckerberg in un’intervista per The Verge. Ma andiamo con ordine. Erano i miei primi anni di università e chiunque, ovunque andassi, mi parlava di Zuckerberg. Del film “The Social Network”. Dei gemelli Winklevoss. E poi di startup. Anzi, erano i primi anni dove effettivamente si cominciava a creare una sorta di ecosistema di startup in Italia. Si cercava continuamente di emulare o replicare il modello statunitense. Di creare un prodotto effettivamente scalabile, tuttavia, quasi tutte le startup che si riteneva potessero sbancare in quel periodo oggi sono scomparse.
Forse perché l’Italia non aveva investimenti a sufficienza per supportare una crescita intensa come ad esempio quella di Facebook o per il fatto che i venture capital erano pochi e si faceva affidamento per lo più a denaro raccolto da famigliari e amici. Insomma, c’era tantissima euforia, forse troppo narrativa ma pochissimi investimenti. La verità è che l’idea vale solo in minima parte, poi viene tutto il resto. E il resto è facile osservarlo. Quante app sul telefonino che avete installato sono italiane? E quante americane? Ecco la risposta.
METAVERSO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Ma torniamo a parlare di intelligenza artificiale e poi di Zuckerberg. L’euforia è ai massimi e non si fa che parlare di questo. Facebook, ora Meta, ha dedicato considerevoli risorse durante e dopo la pandemia per lo sviluppo del Metaverso, basando la sua strategia sull’ipotesi che le persone avrebbero consolidato l’abitudine di vivere prevalentemente in casa. Attualmente, Meta continua a investire massicciamente nell’iniziativa, con un impegno finanziario stimato di circa 15 miliardi di dollari. Ma poi cosa è successo? Gli esseri umani hanno preferito la vita e le esperienze reali a quelle virtuali. Si sa la vita è fatta anche di cicli, quindi chissà. Di recente, Mark Zuckerberg è tornato a parlare di intelligenza artificiale e di Metaverso, ma sotto un’altra veste. Senza fare nomi, contrappone l’approccio di Meta a quello di OpenAI, iniziato con l’intenzione di rendere Open Source i propri modelli ma diventato man mano sempre meno trasparente. «C’erano tutte queste aziende che erano aperte, pubblicavano tutto il loro lavoro e parlavano di come lo avrebbero reso open source. E poi? Quando si sono accorte che aveva un enorme valore hanno improvvisamente scelto di cambiare strategia».
Mentre Sam Altman e altri sostengono i vantaggi in termini di sicurezza di un approccio più chiuso allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, Zuckerberg vede un’astuta mossa commerciale. Nel frattempo, sostiene, che i modelli utilizzati finora non hanno ancora causato danni catastrofici. «Le aziende più grandi, che sono partite con vantaggi significativi, spesso sono anche quelle che richiedono maggiore rigore nella definizione delle linee guida su come gli altri dovrebbero sviluppare l’intelligenza artificiale». E prosegue: «Sono certo che alcune di queste aziende abbiano legittime preoccupazioni per la sicurezza, ma è sorprendente quanto questa posizione sia allineata con la loro strategia».
LA SFIDA DELLA INTELLIGENZA GENERALE ARTIFICIALE
Sembra piuttosto chiaro che ad alimentare la mania dell’intelligenza artificiale generativa resta la convinzione che l’industria tecnologica sia sulla buona strada per raggiungere un’intelligenza sovrumana e divina o per così dire semplicemente senziente. La missione dichiarata di OpenAI è di creare questo tipo di intelligenza generale artificiale (AGI). Demis Hassabis, il leader di Google AI ha lo stesso obiettivo. Ora, il CEO di Meta Mark Zuckerberg sta entrando nella sfida. Al momento non si conoscono le tempistiche. Ma il gruppo di ricerca sull’intelligenza artificiale di Meta è già al lavoro.
Scrive Alex Heath di The Verge: «La battaglia per i talenti dell’intelligenza artificiale non è mai stata così feroce. Le aziende più attive nel settore sono in lizza per accaparrarsi un gruppo estremamente ristretto di ricercatori e ingegneri. Quelli che possiedono le competenze richieste possono ricevere pacchetti di compensi straordinari, che superano il milione di dollari all’anno. I CEO come Zuckerberg sono regolarmente impegnati nel tentativo di attrarre una recluta chiave o impedire a un ricercatore di passare a un concorrente». E continua: «Dopo il talento, la risorsa più scarsa nel campo dell’intelligenza artificiale è la potenza di calcolo necessaria per addestrare ed eseguire modelli di grandi dimensioni. Su questo argomento, Zuckerberg è pronto a esibire i muscoli. Entro la fine di quest’anno, Meta avrà a disposizione più di 340mila GPU H100 di Nvidia, il chip preferito dal settore per la creazione di AI generativa».
Sì. Proprio Nvidia. Questa società, specializzata nella costruzione di chip, ha visto crescere il valore delle azioni negli ultimi cinque anni del 1540% circa. E pensare che ha reso più del Bitcoin, sempre nello stesso arco di tempo. A questo punto, possiamo già affermare che tra tanti contendenti, c’è qualcuno che ha già vinto. E non si tratta di un’azienda di software. Infatti, il software, e in particolare l’intelligenza artificiale, ha bisogno necessariamente di una struttura materiale su cui basarsi. Spesso, questo dettaglio sfugge a molti.