Intelligenza artificiale: Think. Again

Red Hat accelera lo sviluppo di applicazioni AI grazie a nuove funzionalità per Red Hat Developer Hub

Quando la giovane ma già autorevole premier di una importante nazione europea indirizza l’assemblea dell’ONU invitando il mondo a ragionare sul rischio, per l’uomo, di sacrificare la propria centralità sull’altare dell’utilitarismo di una tecnologia tutto sommato “comoda”, vuol dire che questa tecnologia, l’intelligenza artificiale, ha davvero fatto breccia nella percezione collettiva.

Facendo la tara dei possibili influssi della politica sovranista perseguita dal nostro presidente del Consiglio, il suo richiamo rientra in un contesto decisamente trasversale e diffuso. Un contesto segnato quest’anno da eventi importanti come il cosiddetto AI Act, la regolamentazione proposta dal Consiglio europeo e distillata in un testo approvato per la discussione lo scorso giugno dal Parlamento dell’Ue.

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E ancor prima di questo, la lettera aperta con cui Max Tegmark, fisico del MIT e presidente del Future of Life Institute, invita i suoi colleghi esperti di AI a prendersi una pausa di riflessione prima di rilasciare il successore del modello GPT-4, ritenuto già potentissimo. Tra le decine di migliaia di firmatari della lettera c’è il miliardario proprietario di Tesla, Twitter (oggi “X”) e Starlink, che guarda caso Giorgia Meloni aveva incontrato due mesi prima a Roma.

Il problema – scrive Tegmark –  è che l’intelligenza di GPT e compagnia, artificialmente pensando, pone rischi seri su almeno due livelli: il controllo sulla veridicità dell’informazione (che oggi può essere falsificata in maniera molto convincente) e su quell’insieme di decisioni che l’uomo prende costantemente quando vive, lavora, si diverte, o fa politica con l’aiuto, sempre più pervasivo, delle tecnologie digitali e del software. Insomma, l’intelligenza artificiale starebbe diventando sin troppo generativa.

Se sul piano della qualità dell’informazione gli effetti delle fake news sono già ampiamente visibili e preoccupanti, essi sono anche, per certi versi, più familiari. Dopo tutto falsifichiamo le informazioni dai tempi dell’editto di Costantino e anche prima. Ciò ovviamente non ci deve consentire di abbassare la guardia, soprattutto perché la tecnologia ha accelerato oltre misura certi processi e la loro scala. Ma non è un fenomeno nuovo, sappiamo già che è problematico e disponiamo di strumenti, intellettuali e no, per reagire in qualche modo.

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Ma che dire del ruolo dell’AI e della robotica in tanti aspetti fondamentali della vita, soprattutto lavorativa, dove non ci sono precedenti? Dobbiamo davvero temere un pericoloso effetto “sostitutivo”, in grado di minare la nostra giurisdizione più preziosa, il libero arbitrio? O imporre dei limiti a certi strumenti è solo segno di un altrettanto rischioso luddismo?

Un atteggiamento eccessivamente scettico nei confronti della tecnologia è un paradosso che Data Manager non può, non vuole permettersi. Ma esiste un piano di discussione su cui qualcosa da dire c’è: il marketing dell’intelligenza artificiale. Proprio in questo periodo – lo si legge anche su questo numero della rivista – molti vendor sono impegnati a rilasciare le loro implementazioni. Microsoft Copilot, integrato all’interno delle suite professionali, promette di alleggerire il compito degli utenti, e persino degli sviluppatori di software, in molte circostanze. Il mantra della promozione di questi tool è invariabilmente: «Lasciate che l’AI svolga le mansioni noiose per poter dedicare più tempo ad attività a valore aggiunto».

Uno slogan efficace, ma ambiguo davanti a un software che riesce a fare cose sempre più complicate, a produrre contenuti sempre più “umani”. Ricordando il celeberrimo motto di Thomas Watson Sr. (NCR prima, IBM poi) di un secolo fa, sarebbe forse più opportuno insistere sulla necessità, specie in fabbrica e in ufficio, di affiancare l’AI con una robusta dose di cultura e di Human intelligence.