Trasformazione data-driven? Servono cultura e change management

Etica, privacy e organizzazione, le sfide dell’intelligenza artificiale

Tutti vogliono sfruttare dati e analytics per ricavare valore di business. Pochi riescono a farlo veramente. Il ruolo del chief data officer per costruire una cultura dei dati all’interno dell’organizzazione

Una buona data strategy è tutto ciò che serve per garantire nel tempo il successo di un programma di trasformazione basato su dati e analytics? Quali sono i fattori critici che, se opportunamente affrontati, porteranno a vittorie sostenibili per l’azienda? Una solida data strategy è il primo passo. D’altra parte, lo stesso Peter Drucker, padre del management e leggendario consulente aziendale, ha detto che “la cultura si mangia la strategia a colazione”. In altre parole,  la cultura aziendale non si coltiva a colpi di slogan. In pratica, quando manca una cultura aziendale che sia funzionale al contesto competitivo, qualsiasi strategia alla fine si rivela inefficace. E questo vale anche quando si parla di cultura dei dati. Studi recenti hanno dimostrato che la cultura e la gestione del cambiamento organizzativo sono fondamentali almeno quanto l’adozione della data strategy. Solo il 20-30 per cento dei chief data officer riesce a raggiungere l’obiettivo di mettere in equilibrio le diverse componenti della trasformazione.

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Le opportunità perse

Da una ricerca di NewVantage Partners (Big Data and AI Executive Survey 2020) emerge che c’è ancora poca attenzione alle iniziative dedicate al cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti nei confronti dei dati e questo nonostante il fatto che oltre il 90% dei senior manager dichiari “che le sfide per diventare data-driven risiedono nelle persone, nei processi e nella cultura, non nella tecnologia”. Secondo gli analisti di Gartner, una delle sfide chiave nella creazione di un’organizzazione data-driven chiama in causa i responsabili di dati e analytics, sia quelli che apertamente non riconoscono la necessità di “diventare un motore aziendale per la creazione di valore” sia quelli che pur riconoscendone la necessità, affermano di non avere gli strumenti o l’esperienza per farlo.

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Se la cultura dei dati rappresenta il principale ostacolo per i responsabili di dati e analytics allora è necessario dare la priorità al cambiamento culturale, promuovendo un approccio al cambiamento basato sui dati. Già dieci anni fa, McKinsey (“Mobilizing your C-suite for big-data analytics”) raccomandava ai team senior di aggiornarsi continuamente, promuovendo seminari incentrati sulla domanda: “Dove l’analisi dei dati può fornire salti quantici nelle performance?” Questo tipo di confronti sono ancora molto attuali.

La discussione dovrebbe essere guidata da un membro della C-suite dotato di autorevolezza, con il supporto di un esperto di change management  al fine di stimolare all’azione l’intera comunità degli stakeholder, proponendo una visione delle leve di cambiamento necessarie per garantire il successo dell’organizzazione. La convinzione è che la sponsorizzazione da parte del top team costituisca una motivazione sufficiente per garantire che i cambiamenti si realizzino e durino nel tempo. Ma cosa succede nei casi in cui il cambiamento non sia completamente abbracciato dal resto delle persone in azienda? Esistono approcci alternativi? Stando alle evidenze, in questi anni la comunità dei chief data officer nel suo insieme ha trascurato un approccio globale alla cultura e alla gestione del cambiamento organizzativo basato sull’intreccio permanente dei cambiamenti nel tessuto operativo.

La cultura è un fenomeno dinamico

La cultura rappresenta l’elemento fondante di un’organizzazione. Secondo Edgar Schein, esperto di organizzazione aziendale e professore della Sloan School of Management del Massachusetts Institute of Technology, per capire un’impresa è necessario partire proprio dalla sua organizzazione. Edgar Schein definisce la cultura organizzativa come l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha sviluppato imparando ad affrontare problemi di adattamento esterno e di integrazione interna. La cultura organizzativa può essere analizzata sostanzialmente attraverso tre livelli: pratiche e comportamenti aziendali; dichiarazioni esplicite di valori e credenze; assunti e credenze di base profondamente radicati. Qui è dove risiede la vera essenza della cultura organizzativa.

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L’ambiente culturale di un’organizzazione è un fenomeno complesso, in molti casi guidato da credenze e presupposti condivisi che influenzano i valori fondamentali e che a loro volta guidano i modelli di comportamento (per esempio, percezione, pensiero, feeling e azione). In alcune organizzazioni, gli aspetti della cultura sono esplicitamente codificati. In altri contesti, non lo sono e si nascondono sotto la superficie. La cultura di un’organizzazione può essere omogenea, oppure al contrario essere la somma di molte sottoculture differenti, come ha messo in evidenza Joanne Martin nel suo “Organizational Culture: mapping the Terrain” (SAGE, 2002). Tuttavia, se le sottoculture possono essere una fonte di apprendimento e innovazione, allo stesso tempo possono ostacolare o bloccare l’adozione dell’innovazione, a volte a causa semplicemente di un atteggiamento di tipo “non è stato inventato qui”, o semplicemente a causa di una diversa prospettiva culturale. Questo è particolarmente vero dove c’è una storia di sfiducia. In tali casi, i leader devono concentrarsi sull’interazione sociale, sulla fiducia e sulla motivazione. La cultura di un’organizzazione è troppo complessa per tentare di cambiarla a livello macro. È meglio concentrarsi su un problema organizzativo specifico e apportare modifiche ai suoi filoni culturali associati.

Alla ricerca di un nuovo modello

In passato sono state condotte ricerche e sono stati sviluppati diversi modelli per aiutare le aziende a diventare data-driven. Tuttavia, la maggior parte di questi studi sembra essersi concentrata solo sulla strategia, con un’attenzione molto scarsa alla cultura e alla gestione del cambiamento organizzativo. L’esperto CDO è alla ricerca continua di un framework completo che possa essere utilizzato come strumento di riflessione per mappare il percorso di trasformazione dell’organizzazione per essere veramente data-driven. Questo framework deve essere incentrato sul valore aziendale e deve includere un approccio incrementale alla gestione del cambiamento organizzativo e alla cultura. Consiglio vivamente che un tale approccio includa i servizi di un consulente esperto di gestione del cambiamento organizzativo per sistemare le cose a favore della generazione del ROI desiderato.

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Derek Strauss

Fondatore, CEO e principal consultant di Gavroshe. È stato per cinque anni chief data officer di TD Ameritrade. Con una carriera ultratrentennale in data management e information resource management, Derek Strauss ha gestito numerosi programmi e iniziative nei settori Big Data, advanced analytics, business intelligence, data warehousing, data quality improvement e IRM. È stato vice president di DAMA Software. Membro attivo della Roundtable e del Forum dei CDO del MIT. Fondatore della International Society dei CDO. Infine, è co-autore con Inmon e Neushloss del libro “DW 2.0: The Architecture for the next generation of Data Warehousing”, pubblicato nel 2006 da Morgan Kaufman.

Derek Strauss presenterà per Technology Transfer i seminari “Chief data officer master class” che si terrà online live streaming per quattro pomeriggi il 17-20 aprile 2023 e “Intelligenza artificiale, machine learning e data management” insieme allo speaker Hamid Benbrahim il 15-16 giugno 2023 per due pomeriggi.