La matita di Friedman è sottile, elegante e funzionale. Ma non scrive tutta la verità

 “Nessuna singola persona può fabbricare questa matita”. La famosa metafora della matita di Milton Friedman è stata utilizzata come argomento a favore del libero mercato e della cooperazione internazionale.

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​Per molti economisti come Paul Krugman, i dazi sulle importazioni introdotti dagli USA spezzerebbero le catene di approvvigionamento che hanno favorito la globalizzazione, con conseguenze significative su tutta l’economia.

Le barriere commerciali interrompono le complesse catene di fornitura globali, aumentando i costi di produzione e limitando l’efficienza economica. In un’economia interconnessa, il protezionismo può avere effetti negativi non solo sui paesi esportatori, ma anche sui consumatori e sulle imprese nazionali che dipendono da componenti e materiali provenienti dall’estero.​

Tuttavia, il mondo non può essere ridotto a una catena di montaggio, ignorando i rapporti di potere, sfruttamento e diseguaglianza tra i nodi della supply chain.

Il legno della matita? Magari viene da una foresta tropicale disboscata illegalmente. La grafite? Estratta da minatori sottopagati in condizioni disumane. Il metallo della ghiera? Potrebbe arrivare da fonderie ad alta emissione in zone con leggi ambientali deboli.

La matita è reale, il mondo che la produce è imperfetto. La matita di Friedman è sottile, elegante e funzionale. Ma non scrive tutta la verità. Come possiamo comprendere le conseguenze sistemiche e multilivello della Politica dei Dazi USA? Proviamo ad applicare la Teoria dei Giochi.

Nella sua formulazione di gioco non cooperativo a somma zero (Von Neumann-Morgenstern), La Teoria dei Giochi fornisce un modello per analizzare le interazioni strategiche tra gli Stati Uniti e gli altri attori internazionali (Cina, Giappone, Unione Europea, Canada, Messico…).

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Gli USA introducono dazi come mossa strategica per massimizzare il proprio payoff economico: rilocalizzazione industriale, protezione dei settori domestici. Se gli esportatori colpiti, dal punto di vista della teoria dei giochi, rispondono con rappresaglie (dazi reciproci) o con concessioni strategiche (es. nuove aperture commerciali), il rischio principale è quello di una escalation verso un equilibrio di Nash subottimale, dove nessuno dei giocatori guadagna davvero: guerra commerciale, stagnazione economica globale.

Effetti sui mercati azionari

I mercati azionari stanno reagendo con elevata sensibilità. Gli aumenti dei dazi generano volatilità e spesso correzioni nei settori più esposti all’export-import (tecnologia, auto, agricoltura…). Le aspettative di rottura delle supply chain globali inducono vendite, specialmente nelle multinazionali con catene produttive integrate. Tuttavia, in alcuni casi i titoli di aziende “protette” dai dazi (es. produttori interni USA) possono beneficiare nel breve termine.

Effetti sui paesi esportatori colpiti

Paesi come Cina, Germania, UE, Corea del Sud, Messico soffrono a causa della riduzione dell’export verso il mercato USA. Lo spostamento della produzione e la delocalizzazione inversa da parte delle aziende USA, possono generare disoccupazione industriale e pressioni sociali interne.

Dal punto di vista della Teoria dei Giochi, questi paesi hanno due opzioni: cooperare (concessioni bilaterali commerciali o valutarie) o mettere in atto rappresaglie, cercando nuovi mercati alternativi.

Effetti sulla supply chain e logistica

I dazi generano distorsioni significative alle catene di fornitura globali: l’aumento dei costi logistici per il sourcing alternativo; la necessità di ristrutturare reti di produzione, spingendo verso la regionalizzazione (es. Nearshoring); l’effetto domino su componentistica, just-in-time, scorte e flussi globali.

Questi effetti possono essere interpretati come perdite collaterali sistemiche in un gioco a somma non-zero dove nessuno ottiene un vantaggio netto nel medio-lungo termine.

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Debito pubblico USA e detentori esteri

Molti dei paesi colpiti dai dazi (es. UE, Giappone, Cina) sono grandi detentori di Obbligazioni del Tesoro USA a lungo termine. In un’ottica di gioco strategico, possono minacciare dismissioni o riduzione degli acquisti futuri. Tuttavia, una vendita massiccia sarebbe controproducente anche per loro, essendo legati al dollaro per stabilità e riserve. Qui si configura una mutua dipendenza strategica, simile al concetto di “Mutually Assured Destruction” (MAD), dove ogni mossa estrema danneggia entrambi.

La trappola dell’escalation

Nel contesto attuale, con le Borse in fibrillazione, i dazi possono innescare una escalation simile al Dilemma del Prigioniero. Entrambe le parti in gioco starebbero meglio se cooperassero per l’azzeramento reciproco dei dazi reciproci. Tuttavia, il clima di sfiducia reciproca potrebbe spingere verso la defezione. Risultato: guerra commerciale o stagnazione, invece che crescita condivisa.

Il nuovo gioco che non conosciamo (ancora)

La tensione tra nazionalismo economico e globalismo liberale potrebbe essere il vero cuore del nuovo “gioco”, in cui la razionalità economica non è più l’unico criterio dominante.

La politica dei dazi USA, letta attraverso gli strumenti della Teoria dei Giochi, rivela un gioco ad alto rischio in cui il guadagno immediato atteso per gli USA (protezione dell’industria nazionale, rilocalizzazione di produzioni strategiche, aumento momentaneo dell’occupazione in certi settori, pressione negoziale su paesi rivali) sarebbe compensato dai rischi associati ai costi sistemici globali (ritorsioni commerciali. disorganizzazione delle supply chain, aumento dei prezzi per i consumatori USA stessi ,instabilità finanziaria globale). Le contromosse dei paesi colpiti (soprattutto detentori del debito USA) pongono vincoli strategici.

Mentre, la supply chain globale entra in una fase di ristrutturazione forzata, con costi logici ed economici notevoli. L’escalation può generare un equilibrio perdente per tutti, tradendo l’ideale di fine conflitto teorizzato anche da Fukuyama, nella Fine della Storia.