Intervenire sui processi con il supporto delle tecnologie digitali non è più un’opzione, ma una necessità per le imprese che vogliono rimanere competitive. Molte aziende, invece, continuano a resistere al cambiamento, sottovalutandone rischi e costi. Ecco come affrontare questa delicata sfida

Una definizione che mette tutti o quasi d’accordo è la seguente: la “Digital Transformation” è il processo di integrazione delle tecnologie digitali in tutte le aree di un’organizzazione e rappresenta un cambiamento sostanziale che non coinvolge solo il modo in cui quella realtà opera, ma anche la cultura e la strategia aziendale, al fine di renderla più agile e orientata all’innovazione. Per attivare questa trasformazione non basta quindi adottare soluzioni allo stato dell’arte e applicare la tecnologia all’esistente, bensì occorre rivedere i modelli di business per migliorare l’efficienza interna e fornire maggiore valore ai clienti in una logica data-driven. Una vera e propria rivoluzione, insomma, che nasce e cresce all’interno dell’azienda (attraverso il lavoro quotidiano del management e di tutti i dipendenti) e che oggi ha nell’intelligenza artificiale (in tutte le sue diverse forme) un potenziale e formidabile acceleratore.

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IL VALORE DELLA TRASFORMAZIONE

La digital transformation è quindi sinonimo di aggiornamento, riprogettazione e automazione dei processi, con la consapevolezza – in molti casi trascurata – che accelerare un processo inefficiente non fa altro che amplificare le sue criticità. Al tempo stesso, la digital transformation rappresenta anche l’opportunità di sviluppare nuovi prodotti e servizi resi possibili dalla digitalizzazione. La prima apparizione di questo concetto, o per meglio dire la sua prima teorizzazione, risale agli anni Novanta, quando Internet e strumenti come la posta elettronica entrarono negli ambienti di lavoro e iniziarono a cambiarne i connotati operativi. Tre decenni dopo, le imprese (quasi tutte) hanno finalmente assunto la consapevolezza che, per aumentare la propria competitività, intraprendere un percorso di modernizzazione dell’IT è un passaggio obbligato. E non procrastinabile. Eppure, per molte imprese, soprattutto quelle di medie e piccole dimensioni, rimane tutt’ora ancora complesso capire come applicare la trasformazione digitale alle esigenze del proprio business e trarne reali vantaggi. Le difficoltà che ancora incontrano diverse realtà italiane sono di varia natura e riguardano un po’ tutti gli aspetti (persone, organizzazione e tecnologie abilitanti) che caratterizzano il percorso di cambiamento. Entrano in gioco quindi dinamiche di change management che devono ovviare alle resistenze a modificare metodi e sistemi di lavoro consolidati e che devono aprire a un modo di fare impresa “diverso”, che punta a produrre innovazione incentrata sul cliente e sulla sua user experience e a progettare prodotti, servizi e soluzioni con la mentalità che anima il mondo digitale.

Ma perché la trasformazione è così importante per le aziende? Una risposta che dice già molto può essere questa: un’azienda digitale è di norma più competitiva rispetto a un’impresa ancorata a modelli operativi tradizionali per diverse ragioni, che spaziano dalla maggiore efficienza/produttività alla migliore qualità della customer experience, dalla possibilità di generare risparmi di risorse (in termini di tempo, spazio e costi) alla capacità di essere più agili e resistenti. Una delle componenti della trasformazione è proprio la resilienza, intesa come abilità di adattarsi rapidamente, di mantenere la continuità operativa e, non in ultimo, di sfruttare il cambiamento come un’opportunità di sviluppo. La componente di cybersecurity è altrettanto importante.

La questione è nota: le aziende che non investono in strumenti e protocolli digitali avanzati si espongono a rischi enormi che possono causare gravi perdite in termini economici, di reputazione e di fiducia dei clienti. Se c’è un vantaggio finale associabile alla trasformazione digitale, questo è la futura crescita dell’azienda, proprio perché è solo attraverso la digitalizzazione che si pongono le basi per lo sviluppo dell’organizzazione (e del modello di business) a lungo periodo. Le imprese che non investono (e non investiranno) nel cambiamento, sono destinate a diventare rapidamente obsolete e perderanno progressivamente competitività. Difficile stimare il costo nascosto della “non trasformazione”, ma questo valore può diventare estremamente significativo perché è la sommatoria di tanti fattori: l’inefficienza operativa, una customer experience insoddisfacente, processi rigidi ed esposti agli attacchi informatici, tecnologie impropriamente applicate, persone non adeguatamente valorizzate e formate.

PARTENZA COL FRENO TIRATO

Erica Spinoni, senior research analyst di IDC Italy, ha infatti inquadrato lo scenario in cui sono chiamate a muoversi le aziende italiane quando si parla di trasformazione digitale partendo proprio dalle persone. «Fra le sfide da affrontare, al primo posto troviamo una problematica legata alla carenza di competenze e abilità, sia puramente tecniche che relative all’utilizzo di strumenti digitali».

I dati che sorreggono questo assunto, estratti dalla ricerca “Digital Executive Sentiment Survey” pubblicata dalla stessa IDC a ottobre 2023, sono assai espliciti: un’azienda italiana su due lamenta carenza di skill e questa mancanza va a impattare la capacità aziendale di eseguire e portare a termine progetti di trasformazione digitale. A causa dell’assenza di competenze dedicate, più precisamente, oltre l’80% delle organizzazioni italiane presenta ritardi nello sviluppo e nell’implementazione dei progetti che variano fra i tre e i dodici mesi, fino a superare l’anno in un’azienda su dieci.

Un tema, quello dello skll gap, che trova riscontro anche nell’osservazione di Adriano Ceccherini, chief business officer di SAP Italia, che conferma come il problema dell’adozione di soluzioni digitali di frontiera non risieda nella tecnologia in sé, che è sempre più semplice da adottare e usare. «Una delle difficoltà che riscontriamo più frequentemente quando parliamo con i nostri clienti – precisa Ceccherini – è legata alla mancanza di competenze e alla scarsa cultura di change management. Da una ricerca che abbiamo condotto in Italia su oltre 330 medie aziende emerge che per un terzo dei rispondenti l’assenza di processi per la gestione e l’implementazione dei piani di trasformazione e la resistenza al cambiamento da parte di dipendenti e manager sono tra le sfide più significative che un’impresa si trova a fronteggiare quando avvia un percorso di business transformation».

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Tocca un altro aspetto della problematica, invece, Sergio Boaretto, Region South director, Technology Product Management di Wolters Kluwer, che sposta l’attenzione sulla componente tecnologica della trasformazione. «Moltissimi tra i nostri clienti, studi professionali e PMI, hanno già effettuato la migrazione all’ambiente cloud che costituisce il primo gradino da salire. Tuttavia, non esiste mai una singola causa che può ostacolare l’adozione completa di soluzioni innovative adeguate. Si tratta sempre di un intreccio di fattori». A rallentare un progresso inevitabile, concorrono ancora carenze formative e culturali. «Dal nostro osservatorio – precisa Boaretto – possiamo dire che il mondo professionale è a buon punto. Le piccole e medie imprese sembrano essere leggermente più indietro, sebbene la consapevolezza dell’assoluta utilità del cloud sia ormai ampiamente diffusa. In generale, sarebbe utile una maggiore formazione per apprendere appieno la potenzialità sia dell’ecosistema sia delle soluzioni, ma ci stiamo arrivando e per fortuna sempre più velocemente. Gli investimenti collegati alla trasformazione digitale devono guardare oltre all’immediata funzionalità. La trasformazione digitale, combinata con l’attenzione alla cybersecurity, alla sostenibilità e alla protezione dei dati, permette ai professionisti di operare in modo più efficiente, rispettando le normative e mantenere, a loro volta, la fiducia dei clienti garantendo loro la massima sicurezza».

FATTORE COSTI E FORMAZIONE

Un altro tema forte, in tema di ostacoli alla trasformazione, è quello dei costi. Sempre Erica Spinoni di IDC Italy fa notare in proposito come le imprese riscontrino ancora oggi un eccessivo costo legato ai progetti di digitalizzazione, soprattutto in un momento di perdurante incertezza economica dovuta a inflazione e tassi molto elevati che si associa spesso alla difficoltà nel valutare l’effettivo ritorno di tali investimenti. «In molte occasioni – precisa l’analista – le aziende si ritrovano senza le adeguate capacità per misurare il ROI, sia a livello di competenze che di soluzioni e dati, e non meno frequenti sono i casi di inadeguatezza dell’infrastruttura già esistente in azienda, in quanto troppo datata, difficilmente aggiornabile ed integrabile con nuove soluzioni e costruita in una logica a silos, e quindi con scarse capacità di comunicazione tra un sistema e l’altro. Questa problematica è seria perché va a minare la possibilità delle imprese di progredire velocemente nello sviluppo di nuovi progetti e nell’adozione di nuove tecnologie». E non meno importante è infine la mancanza di coordinazione della leadership, soprattutto quando vi è la necessità di investimenti coordinati tra funzione IT e altre funzioni e dipartimenti aziendali. «Attualmente – spiega Spinoni – sempre più manager esecutivi non afferenti al dipartimento IT hanno potere decisionale e capacità di spesa per investimenti tecnologici e digitali e per questo motivo è assolutamente di vitale importanza il coordinamento dipartimentale e tra executive».

Sul tema degli ostacoli che limitano l’adozione delle soluzioni digitali e sulla natura di questi ostacoli – mancanza di budget, competenze e cultura aziendale – si esprime anche Mauro Maniforti, chief experience officer di EOS Solutions, secondo cui la resistenza culturale è senza dubbio la barriera più significativa. «La trasformazione digitale – spiega Maniforti – viene percepita più come un costo che come un’opportunità, e questo influisce negativamente sul budget destinato a tali iniziative: si tratta di una percezione errata ma ancora radicata in una cultura aziendale che tende a privilegiare i metodi tradizionali rispetto all’innovazione. La mancanza di una visione chiara sui benefici a lungo termine delle soluzioni digitali – continua il manager – porta a una riluttanza nell’investire risorse significative e la paura del cambiamento e l’incertezza riguardo ai risultati raggiungibili contribuiscono a rafforzare questa resistenza». Per superare questi ostacoli, i system integrator giocano un ruolo decisivo e nel caso di EOS le soluzioni da mettere in campo rispondono a un approccio olistico che coinvolge tutti i livelli dell’organizzazione, partendo dalla promozione di una cultura dell’innovazione attraverso programmi di formazione che evidenziano i vantaggi concreti della trasformazione digitale e dimostriamo come gli investimenti iniziali nelle nuove tecnologie possano tradursi in risparmi e guadagni a lungo termine. «Affrontare la resistenza culturale – conclude Maniforti – richiede un cambiamento di mentalità che riconosca la trasformazione digitale non come un costo, ma come un’opportunità strategica per il futuro dell’azienda. Solo così possiamo superare le criticità e facilitare l’implementazione delle soluzioni digitali».

Sulla stessa lunghezza viaggia anche il pensiero di Luisa Ferrari, solution director di Formula, che evidenzia le stesse due direttrici di resistenza al cambiamento, una di natura culturale e l’altra di taglio economico. «In diversi casi – spiega Ferrari – il personale teme che le nuove tecnologie comportino una modifica delle proprie mansioni o di processi consolidati. Per ovviare a questo problema è necessario mettere in atto un piano di trasformazione graduale e condiviso, con interventi formativi e di supporto continuo in fase di implementazione delle soluzioni tecnologiche, al fine di garantire che ogni fase sia accolta dai team aziendali». La seconda resistenza è la valutazione dell’investimento certo e del relativo total cost of ownership per aggiornare i sistemi esistenti. La ricetta di Formula per superare questo ostacolo si concretizza nell’offerta di soluzioni modulari, scalabili e facilmente integrabili, nell’adozione di best practice per industry, di processi secondo le metriche dell’operational excellence e di piani di progettualità di tipo Agile per ridurre l’impatto del cambiamento e facilitare il raggiungimento di un risultato certo in tempi brevi.

Secondo Andrea Di Filippo, direttore divisione Servizi Finanziari di Sopra Steria Italia, l’adozione di tecnologie trasformative non riguarda solo l’IT, ma richiede una misurazione dell’adozione stessa, focalizzandosi su dimensioni come formazione e motivazione del personale per massimizzarne l’uso e il beneficio. «Per coprire tutti gli aspetti legati al cambiamento – spiega Di Filippo – è fondamentale saper coordinare i budget tra diverse strutture aziendali. Negli ultimi tempi, abbiamo visto in tal senso una rimodulazione delle spese, con una riduzione del budget cosiddetto running per finanziare l’evoluzione digitale». La partita si gioca dunque su più livelli: rinnovamento delle competenze e cultura aziendale naturalmente compresi, e si rende necessario un coordinamento trasversale per garantire coerenza e obiettivi condivisi nelle iniziative di trasformazione.

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«La formazione degli utenti, in molti casi sottovalutata, è essenziale per favorire l’adozione di nuove soluzioni e accelerarne i benefici» – continua Di Filippo. «E crediamo di conseguenza possa essere vincente un approccio integrato che combina soluzioni tecnologiche con il change management, l’upskilling del personale e l’ottimizzazione operativa». Un approccio che deve trovare concretamente espressone nelle figure aziendali maggiormente coinvolte nel guidare e facilitare il processo di trasformazione digitale: tutti gli executive, in altre parole, devono essere coinvolti e devono giocare un ruolo attivo nel cambiamento, abbracciano tutti gli aspetti dell’azienda, dall’HR alle Operations, dal commerciale alle funzioni di compliance, dall’IT al Procurement. «Lo stesso CEO – conclude Di Filippo – deve fungere da elemento propulsivo verso la trasformazione».

Per riuscire a vincere la resistenza al cambiamento – secondo Giovanni Nubile, country leader di Oracle, per le applicazioni SaaS (ERP, HCM, CX, SCM…) destinate alle imprese private di prodotto e servizio – non sempre basta portare le “prove” dei costi di una non-trasformazione. «Con il mio team mi occupo di aiutare le grandi aziende private del settore manifatturiero, finanziario, retail e di altri comparti ad adottare la migliore soluzione cloud per trasformare i processi di business interni e renderli più fluidi, veloci ed efficienti. Un caso di trasformazione di successo è proprio il nostro, come società utente delle nostre applicazioni: in Oracle riconciliamo automaticamente il 97% di tutte le transazioni bancarie e impieghiamo solo 5-7 giorni lavorativi per chiudere il trimestre fiscale e rilasciare i risultati finanziari. In ambito HR, inoltre, abbiamo raddoppiato il numero dei candidati qualificati validi per ogni job posting aperto e risparmiato 1,3 milioni di ore di lavoro e abbiamo infine ridotto del 75% il ciclo temporale di pianificazione della supply chain».

L’AVVENTO DELL’AI

L’intelligenza artificiale cambia le carte in tavola nel processo di trasformazione? La domanda ha una risposta scontata e il dibattito si concentra sulla portata degli impatti che va a generare e sulle modalità attraverso le quali sta entrando nelle aziende modificandone i modelli operativi. «L’avvento dell’AI e dell’AI generativa – conferma Erica Spinoni di IDC Italy – sta rimodellando l’approccio delle aziende alla trasformazione digitale, andando ad accelerare l’esecuzione di progetti già in essere. Bisogna tuttavia considerare l’alto tasso di fallimento dei progetti basati su questa tecnologia, visto e considerato che solo un progetto su otto che è stato avviato in ambito enterprise vede la luce. Uno dei problemi principali legati all’alto tasso di mortalità è la mancanza, l’incompletezza o la scarsa pulizia/ordine dei dati. L’AI e l’AI generativa sopravvivono e si nutrono di dati ben curati e senza questi esistono rischi concreti di l’allucinazione dei modelli. Inoltre, va necessariamente ricordato che l’intelligenza artificiale ha anche un ruolo nell’aiutare le aziende a mettere ordine e pulire i propri dati, per renderli pronti ad accelerare la digitalizzazione e a creare valore aziendale».

Secondo la visione di IDC, sul fronte dei dati le aziende devono impegnarsi costantemente per garantire la protezione delle informazioni più sensibili, evitando che vengano divulgate pubblicamente, anche nell’uso di modelli LLM per l’addestramento. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso tecniche avanzate come il masking dei dati o la generazione di dati sintetici che riproducono le caratteristiche dei dati originali senza esporli direttamente. «Quando le aziende lavorano su progetti di intelligenza artificiale – spiega Erica Spinoni di IDC Italy – è bene che si ricordino di prioritizzare i progetti che hanno un grande potenziale di ritorno in termini di fatturato, profitti, experience cliente o dipendente, facendo molta attenzione a non cadere nella trappola che gli inglesi definiscono FOMO – Fear of missing out – e cioè la paura di essere tagliati fuori. Guardando al futuro, imprese e organizzazioni saranno tenute ad accelerare gli investimenti per garantire un numero sempre crescente di progetti che dalla fase di sperimentazione possano entrare effettivamente in produzione, aprendo le porte all’ideale di azienda fondata sul concetto di AI-fueled digital business». È ormai assodato che le tecnologie basate su algoritmi avanzati e modelli di linguaggio di grande formato rivestano un ruolo determinante nel garantire continuità al processo di digitalizzazione già in atto. Questa consapevolezza sta progressivamente trovando riscontri anche nelle aziende italiane, sebbene la loro adozione sistemica sia ancora in una fase iniziale.

Se guardiamo alle aree e ai processi che saranno maggiormente influenzati dall’AI, la lettura di Adriano Ceccherini di SAP Italia, basata sulle risultanze dello studio compiuto dalla società su un campione significativo di medie imprese, è la seguente: «Circa metà delle aziende intervistate ci ha confermato che l’intelligenza artificiale influenzerà in modo significativo i processi di supply chain e di logistica, la sicurezza dei dati e la privacy, i percorsi di formazione e lo sviluppo delle competenze dei dipendenti, il flusso decisionale e i processi di business in generale per renderli più agili e adattivi». Ciò che emerge – come spiega Ceccherini – è una visione generale secondo cui l’AI sarà in grado di sbloccare il potenziale di molte aree dell’organizzazione. «Ciò che talvolta non viene valutato con la giusta attenzione dalle aziende sono però i requisiti che bisogna soddisfare per sfruttare appieno i vantaggi che può assicurare questa tecnologa. Innanzitutto, l’infrastruttura tecnologica deve essere in cloud, perché solo il cloud permette un accesso costante all’innovazione. In seconda battuta, serve definire e implementare una data strategy solida, perché senza dati di qualità l’AI non può fornire insight affidabili».

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La ricetta che SAP porta in dote alle imprese in quest’ottica nasce dalla convinzione che i modelli SaaS e IaaS permettono di soddisfare il tema della sicurezza e della protezione dei dati quando se ne demanda la gestione a un soggetto competente, come un hyperscaler. L’applicazione di questo modello permette a cascata di avviare un circolo virtuoso, innescando la possibilità di facilitare l’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale facendo leva su infrastrutture cloud solide e sostenibili, e al tempo stesso permettendo a tutta l’azienda di essere più sostenibile. Qualche esempio? «Un responsabile acquisti – spiega Ceccherini – può organizzare una gara e chiedere a Joule, il nostro assistente di GenAI in linguaggio naturale, di preparare la lista dei fornitori con le emissioni più basse e le consegne merci più puntuali e di creare le domande giuste da inserire nel bando. Oppure, un responsabile HR può usare l’AI integrata nella nostra soluzione di HCM per effettuare il primo filtro in un processo di assunzione facendo il match tra CV ricevuti e posizioni aperte, riducendo il rischio di pregiudizi umani che potrebbero portare a scartare candidati potenzialmente interessanti».

Sul fronte dell’intelligenza artificiale generativa pensata per il mondo aziendale, tutti i principali software vendor sono impegnati nello sviluppo di soluzioni avanzate. Nel caso di Oracle – come sottolinea Giovanni Nubile – questa attenzione si traduce nel lancio di “Agenti AI” innovativi, progettati per riflettere i principali ruoli aziendali. Questi strumenti sono concepiti per operare in modo affine al ragionamento umano, offrendo contenuti e risposte sempre più pertinenti e contestualizzate alle esigenze specifiche dell’organizzazione.

«Con credenziali di così alto valore, è evidente che le principali criticità nell’adozione delle soluzioni siano quasi sempre di natura culturale e legate alla resistenza al cambiamento» – spiega Nubile. «Un esempio tipico riguarda gli addetti ancora legati a un passato di applicazioni legacy non basate sul cloud, oppure la percezione di una necessità di personalizzazione che, nella maggior parte dei casi, si rivela superflua. Comunicare efficacemente i vantaggi delle nuove tecnologie ai C-Level delle diverse funzioni aziendali, nonché a CIO e CTO, è la chiave per dimostrare come soluzioni cloud agili permettano non solo di introdurre miglioramenti e best practice, ma anche di affrontare sfide sempre più rilevanti, come la misurazione dei progressi in ambito ESG o la sicurezza e la protezione dei dati».

L’AI è quindi un fattore strategico del processo di trasformazione e – secondo Andrea Di Filippo di Sopra Steria Italiala sua funzione trasformativa trova applicazione in un doppio ruolo: «Facilita la transizione digitale e ne riduce la complessità. In Sopra Steria, per esempio, abbiamo sviluppato dei motori in grado di generare automaticamente i casi di test partendo dalla documentazione di progetto e questo permette di limitare la complessità delle fasi di collaudo automatizzando i test stessi e riducendone l’impatto. L’intelligenza artificiale generativa supporta anche la riscrittura del codice per la digitalizzazione, sebbene siano necessari ulteriori perfezionamenti per migliorarne l’ottimizzazione e la sicurezza».

La strada però è tracciata. Le nuove tecnologie basate sull’AI rappresentano un elemento di spinta per migliorare l’efficienza e la produttività aziendale, ma senza compromettere la sicurezza e l’impegno verso la sostenibilità. E confermano una volta di più che la “non trasformazione” è un lusso che nessuna impresa può oggi concedersi. A prescindere da quali siano i costi effettivi del non affrontare (massimizzandone i benefici) la sfida del cambiamento.