Artificiale, troppo artificiale

Se Nietzsche avesse avuto a che fare con l’intelligenza artificiale, l’avrebbe considerata come realizzazione della volontà di potenza oppure avrebbe criticato l’ordine “programmato” dell’AI?

Secondo molti osservatori, il 2025 sarà l’anno in cui le organizzazioni supereranno la fase di sperimentazione e adotteranno pienamente il potenziale trasformativo dell’intelligenza artificiale in diversi settori dal finance, al manufacturing, dal retail ai beni di largo consumo, dalla sanità ai trasporti, dall’energia alla pubblica amministrazione, istruzione compresa. Per Mauro Bonfanti, EMEA Regional VP per la regione NorMed di Snowflake, assisteremo a un passaggio da modelli linguistici generici di grandi dimensioni a sistemi specializzati e specifici per ogni settore.

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Tuttavia, per evitare una bolla, sul modello ERP anni 90, i vendor devono focalizzarsi su quello che le aziende utenti vogliono ottenere. I CIO delle grandi organizzazioni in sinergia con i CEO si stanno concentrando su due fronti: compliance e dimostrazione del ROI, abbandonando quelle iniziative che prevedono investimenti difficili da valutare. Intanto, Alibaba e altre aziende cinesi stanno sviluppando motori di AI generativa più performanti rispetto ai soliti noti. Secondo Franco Bernabè si andrà in direzione di modelli open source più piccoli, sostenibili e meno impattanti.

Nel frattempo, in Italia ci sono più comitati etici sull’AI che persone che ci capiscono veramente. Tra questi rientra senza meno anche il sottoscritto. Tra le molte cose che non capisco, la prima è la continua, rassicurante distinzione tra artificiale e umano per bilanciare le potenzialità di questa tecnologia. Quasi una benedizione, nella visione generale per cui il passato è peccato, il presente redenzione e il futuro salvezza.

Ma se naturale è ciò che proviene dalla natura senza intervento umano, e tutto ciò che è “artefatto” in senso etimologico esiste solo come risultato diretto dell’ingegno – allora possiamo affermare senza troppi giri di parole che artificiale e umano sono in realtà più sinonimi che contrari?

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L’altra questione è: l’AI è lo strumento o l’ambiente, in altre parole, la ruota o la strada? È l’uomo che guarda il mondo attraverso la lente o lo sguardo sul mondo? La ciliegina o la torta intera, come direbbe il filosofo Luciano Floridi. Per Heisemberg – osserva Gianfranco Dioguardi, tra i fondatori dell’ingegneria gestionale (in “Fisica, Filosofia e AI”, De Piante Editore, 2023) – l’affermazione “se si conosce il presente in modo preciso, si può prevedere il futuro” non è falsa per la conclusione, bensì per la premessa.

Per l’ex CEO di Google Schmidt e il decano del MIT Huttenlocher (in “L’era dell’AI, Il futuro dell’identità umana”, Mondadori 2023) – “l’intelligenza artificiale impatta sul pensiero, la conoscenza, la percezione e di conseguenza il corso della storia”. Hinton, pioniere dell’intelligenza artificiale e premio Nobel per la Fisica 2024, paragona il potenziale distruttivo dell’AI a quello delle armi nucleari e auspica una cooperazione tra USA, Europa e Cina contro questa minaccia. Anche per Massimo Chiriatti, CTIO di Lenovo Italy, l’intelligenza artificiale cambia il modo in cui pensiamo e prendiamo decisioni a livello di pre-comprensione della realtà, disarticolando il rapporto tra soggetto e oggetto.

Ciò che per abitudine chiamiamo “intelligenza artificiale” ma che include anche banche dati, l’IoT, Web e social media, non è solo strumento, apparato, ma anche relazione e rappresentazione, come la scrittura è funzione che ci permette di leggere la realtà. Ma se il prodotto in senso esteso può esistere senza il lavoro dell’uomo, che cosa faremo di tutta la capacità produttiva accumulata? Se la produzione diventa completamente AI-driven, la relazione tra il lavoro umano e il valore del prodotto cambia. E quando sono in gioco il posto di lavoro, il benessere acquisito, il futuro dei figli, il nostro sguardo diventa egoista. Sarà l’AI in grado di salvarci da noi stessi?

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