Cybersecurity, intelligenza artificiale e mancanza di leadership. Franco Bernabè: «La strada che abbiamo davanti è molto stretta, ma non impossibile»
Gli asset materiali dell’economia immateriale, prove tecniche di geopolitica digitale e fisica. Il capitalismo finanziario, la crisi delle democrazie liberali, la debolezza dell’Europa, la velocità della transizione ecologica, l’impatto della trasformazione digitale. E l’emergere del nuovo ordine muscolare e multipolare dell’asse russo-cinese. Tutti questi fattori insieme tengono sotto scacco le imprese in termini di competitività, sviluppo e crescita. Ne parliamo con un ospite d’eccezione: Franco Bernabè, uno degli imprenditori e manager pubblici più influenti, per anni unico occidentale nel board del maggiore gruppo petrolifero cinese.
È stato amministratore delegato di Eni e Telecom, con Renato Soru ha co-fondato Andala, meglio nota come H3G, ed è attualmente presidente di Techvisory, specializzata nello sviluppo di soluzioni basate sull’intelligenza artificiale. “In Trappola” (Soferino, 2024) è il saggio-intervista firmato con il giornalista Paolo Pagliaro. Il titolo è già una risposta a molte domande. Bernabè analizza i sintomi della crisi: guerre in corso, irrilevanza europea, minacce digitali. E intercetta anche colpevoli e cause del naufragio. La promessa di una società più aperta, informata e dunque più equa e democratica proprio grazie alla tecnologia è stata tradita. «Il processo di involuzione dell’Occidente che innesca la crisi permanente di oggi parte con Clinton, Tony Blair e i teorici della terza via – spiega Bernabè. «Fatale l’idea di costruire un mondo a immagine e somiglianza degli Stati Uniti pensando che rimanessero al centro del nuovo sistema». Un disastro iniziato con Clinton e i cinque errori capitali del suo doppio mandato: la liberalizzazione dei mercati finanziari, la deregolamentazione della tecnologia e delle piattaforme digitali che hanno di fatto favorito le concentrazioni, lo smantellamento dei meccanismi di protezione sociale introdotti da Roosevelt, la cancellazione della separazione tra attività bancaria tradizionale e investment banking (Glass-Steagall Act) e l’ammissione della Cina al WTO. «Si è pensato, sbagliando, di poter fare a meno della manifattura, spostando il fulcro del sistema economico sulla finanza e la tecnologia. E considerando i diritti civili prioritari rispetto a quelli economici, trascurando così l’importanza del diritto al lavoro, a un salario equo e a un sistema di protezione sociale».
L’urgenza non percepita
La cybersecurity è una delle sfide più urgenti e complesse del nostro tempo, che si intreccia con l’evoluzione tecnologica e la geopolitica. «Manca il senso di urgenza» – denuncia Bernabè, sottolineando come i recenti sviluppi, dalla guerra in Ucraina alla militarizzazione di economie come quella russa e cinese, abbiano reso anche il cyberspazio un campo di battaglia. Le minacce informatiche, già evidenti con attacchi come quello all’Estonia nel 2007 o alle infrastrutture ucraine post-Maidan, si sono evolute, diventando più sottili e pervasive. Bernabè evidenzia che le aziende sonno impreparate ad affrontare tali sfide, con i dirigenti d’impresa che tendono a delegare completamente le questioni tecnologiche agli specialisti IT. «Per troppo tempo i CEO hanno prestato scarsa attenzione alla sicurezza delle reti e dei dati. Con l’introduzione della NIS 2, però, le responsabilità dei manager sono destinate a crescere, imponendo una maggiore consapevolezza della cybersecurity come componente strategica della gestione aziendale».
AI tra opportunità e rischi
L’intelligenza artificiale è un altro tema centrale per Bernabè, che ne descrive sia le potenzialità che i pericoli. «Oggi, si parla tanto di intelligenza artificiale generativa, ma c’è molta confusione su cosa significhi realmente. L’intelligenza artificiale non è né intelligente né artificiale. Non è intelligente perché è una specie di “pappagallo stocastico”, alimentato da capacità di calcolo senza precedenti e quantità enormi di dati. Non è artificiale perché è completamente dominata dall’uomo. È vero che il funzionamento delle reti neurali risulta difficile da comprendere, ma ogni tipo di manipolazione resta una responsabilità umana». La sua preoccupazione principale è che le aziende adottino queste tecnologie senza una chiara comprensione delle loro implicazioni, rischiando di consegnare la propria proprietà intellettuale a grandi piattaforme come OpenAI e Anthropic. Un aneddoto emblematico riguarda Loquendo, una delle prime società italiane di AI specializzata nel riconoscimento vocale, ceduta al gruppo americano Nuance da Telecom Italia, proprio sotto la sua gestione nel 2011. «In Italia c’è capacità tecnologica, ma manca il supporto necessario per valorizzarla e una visione strategica del Sistema Paese».
Europa e autonomia tecnologica
Altro tema ricorrente nelle riflessioni di Bernabè è la perdita di autonomia tecnologica dell’Europa. L’introduzione di Internet negli anni 90 ha visto gli Stati Uniti prendere un vantaggio decisivo, complice la regolamentazione europea insufficiente. «L’Europa ha sottovalutato enormemente Internet. Questo ha permesso agli Stati Uniti di monopolizzare lo sviluppo tecnologico, relegando l’Europa a un ruolo secondario». Errore di valutazione che l’Europa non vuole ripetere con l’intelligenza artificiale giocando la carta del controllo normativo con l’AI Act e sfruttando il tempo a disposizione per rovesciare gli equilibri. Secondo Bernabè, la regolazione non è un ostacolo all’innovazione, ma un acceleratore, come dimostra l’esempio cinese. Tra il 1995 e il 2000, la Cina ha introdotto una serie di leggi per governare l’uso di Internet, gettando le basi per il suo attuale primato in settori come l’intelligenza artificiale. «Oggi, Alibaba e altre aziende cinesi stanno sviluppando motori di AI generativa più performanti di quelli americani. Io penso che si andrà nella direzione di modelli open source più piccoli, sostenibili e meno invasivi».
La crisi energetica incombente
Il legame tra trasformazione digitale e crisi energetica è un altro nodo cruciale. «Un server rack di intelligenza artificiale consuma dieci volte più di un server rack tradizionale» – spiega Bernabè, evidenziando l’impatto ambientale delle tecnologie emergenti. Con l’80% del fabbisogno energetico globale ancora coperto da combustibili fossili, la transizione verso energie rinnovabili procede troppo lentamente. Con la fretta di cambiare il nostro modello di sviluppo, soprattutto nel settore dell’automotive, ma non solo, ci stiamo dando la zappa sui piedi da soli. Bernabè critica l’approccio «ideologico» di molte politiche ambientali, che ignorano la complessità della realtà energetica globale. «Non abbiamo tempo per le illusioni. Il fabbisogno energetico mondiale si poggia sulle fonti fossili» – dichiara Bernabè, richiamando la necessità di investimenti concreti sia nelle energie rinnovabili sia nelle infrastrutture tecnologiche per un transizione che non distrugga le filiere produttive.
Il ruolo della leadership
Guardando al futuro, Bernabè esprime preoccupazione per la mancanza di leadership a livello globale. «Dopo la fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno commesso una serie di errori che hanno indebolito la loro posizione». L’Europa, dal canto suo, deve affrontare sfide enormi per colmare il divario tecnologico con Stati Uniti e Cina. «Non abbiamo più tempo» – conclude Bernabè, lanciando un appello per un cambiamento immediato. Per garantire il futuro, l’Occidente deve ricostruire le proprie basi di autonomia tecnologica e industriale, abbandonando il solito approccio “business as usual.” L’Europa, in particolare, «troppo burocratica e anche poco rappresentativa», si trova a un bivio: o saprà cogliere questa occasione per riaffermare il proprio ruolo sulla scena globale, o rischierà di rimanere irrilevante in un panorama dominato da altre potenze. «Dobbiamo correre. Abbiamo uno spazio limitato di manovra. La strada che abbiamo davanti è molto stretta, ma non impossibile da percorrere».