Investimenti in crescita e performance superiori alla media europea, le PMI italiane alle prese con la trasformazione digitale e la transizione green per restare competitive. I casi di Octagona, NATURALEITALIANO, Milu Holding Group e Save the Children Italia
Secondo l’ultimo Annuario statistico Italiano dell’Istat, le imprese italiane attive nell’industria e nei servizi di mercato sono 4,2 milioni. Tra queste, le microimprese, fino a 9 addetti, sono il 94,8%, un numero quindi molto rilevante nel nostro tessuto imprenditoriale, occupano il 43,2% degli addetti e realizzano il 26,8% del valore aggiunto. Le piccole e medie imprese (PMI, che hanno tra 10 e 249 addetti) sono circa 214mila, impiegano il 33,5% degli addetti e contribuiscono per il 37,9% alla creazione di valore aggiunto. Le grandi imprese, con almeno 250 addetti, sono 4.057, impiegano il 23,3% degli addetti e creano il 35,3% del valore aggiunto. Secondo i dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, le microimprese hanno una produttività considerevolmente inferiore alle aziende europee delle stesse dimensioni: generano in media un valore aggiunto di 30mila euro per addetto, contro i 46mila di Francia e Germania e i 35mila della media europea.
Se osserviamo invece le performance delle PMI e delle grandi imprese, l’Italia si attesta al di sopra della media europea: le nostre PMI generano un valore aggiunto di 56mila e 500 euro per addetto, sensibilmente superiore ai 48mila euro della media europea, mentre per le grandi imprese si parla di 73mila e 700 euro per addetto, contro i 73mila e 200 della Francia, i 70mila e 700 della Germania e i 66mila dei Paesi UE nel loro complesso. È quindi evidente come il divario di produttività tra l’Italia e gli altri Paesi europei sia legato alla produttività inferiore delle nostre microimprese, che hanno un peso sul nostro sistema economico più spiccato rispetto al resto dell’UE.
COME SNELLIRE LE OPERAZIONI
Negli ultimi anni, il mondo dell’impresa sta facendo i conti con un susseguirsi di crisi: prima la pandemia, con i primi shock nelle catene di fornitura, in particolare per le merci provenienti dall’Estremo Oriente, poi la guerra russo-ucraina e la crisi energetica, quindi l’aumento dell’inflazione e il conseguente aumento dei tassi di interesse da parte della BCE. Queste situazioni, spesso accavallatesi, hanno sollecitato in modo molto pesante i modelli organizzativi e di business delle aziende, e solo quelle più mature hanno saputo rispondere prontamente. Oggi, il clima in parte è cambiato: la situazione geopolitica è ancora molto instabile, ma l’inflazione sta iniziando a scendere come i tassi di interesse. Inoltre, le previsioni di ulteriori riduzioni dei tassi e il contributo della finanza pubblica stanno incoraggiando gli investimenti anche delle imprese più piccole che dispongono di risorse limitate: questo dovrebbe portarle a incrementare la loro produttività e quindi la loro competitività sul mercato. Le piccole imprese hanno compreso che la digitalizzazione è necessaria per la loro stessa sopravvivenza: abbracciando la tecnologia possono semplificare le operazioni, massimizzando le risorse disponibili e ottimizzando i propri flussi di lavoro e quindi possono aumentare l’efficienza e ridurre i costi, in modo da colmare il divario rispetto alle aziende di maggiore dimensione, sbloccando l’ampio potenziale, ancora in parte inespresso, del tessuto imprenditoriale italiano.
Il miglioramento dei processi aziendali consente di individuare inefficienze, colli di bottiglia e sprechi di tempo o di materiale, e di questo ne beneficia il business complessivo dell’azienda. Concentrandosi sulle competenze principali, le aziende possono migliorare le interazioni con i clienti, raggiungere una crescita sostenibile, generare dati che servono per le decisioni strategiche, ottimizzare la logistica aziendale, cogliere nuove opportunità di business. Le soluzioni IT consentono alle piccole imprese di automatizzare le attività ripetitive, riducendo il tempo e lo sforzo necessari per il lavoro manuale. In questo modo, i dipendenti si possono concentrare su attività più strategiche e a valore aggiunto, migliorando la produttività e la soddisfazione sul lavoro.
Ne è un esempio Octagona tra i punti di riferimento a livello nazionale per la fornitura di servizi di International Business: affianca le aziende clienti che vogliono scoprire nuovi mercati e ricavarne profitti, sviluppando e costruendo per loro e con loro strategie di internazionalizzazione vincenti. Con più di 100 collaboratori diretti che operano in oltre 40 Paesi (tra gli altri, sedi dirette in India, Vietnam, Brasile, e collaborazioni in Stati Uniti, Unione Europea, Nord Africa, Turchia, Emirati Arabi, Iran, Russia e Cina), Octagona è in grado di supportare e accompagnare le imprese italiane e straniere che vogliono avviare progetti concreti e vincenti sui mercati internazionali. Avendo consulenti che operano worldwide, per Octagona era necessario semplificare e velocizzare il processo di inserimento delle ore per attività svolte sulla commessa specifica, dando la possibilità alle risorse di inserire i dati in autonomia, ottimizzando e alleggerendo così il lavoro dell’ufficio amministrazione. Occorreva anche semplificare l’analisi della redditività di ogni singola commessa, raffrontando le ore preventivate con quelle consuntivate, mantenendo il monitoraggio complessivo delle attività.
Octagona aveva inoltre la necessità di adottare un ERP più efficiente che comprendesse anche la parte di generazione delle offerte, che venivano in precedenza generate con un sistema differente. Con il nuovo software, che comprende anche un app mobile dedicata, i consulenti hanno ora la possibilità di inserire in maniera rapida le ore di attività svolte ovunque essi si trovino e di monitorare i dati specifici in totale autonomia. L’amministrazione può concentrarsi così sul processo di fatturazione, mentre la direzione, partendo dall’offerta già registrata nell’ERP, ha a disposizione i dati consuntivi aggiornati quotidianamente. Questo permette di monitorare in tempo reale l’andamento delle commesse attraverso l’utilizzo di strumenti di analytics, e di intervenire prontamente in caso di eventuali scostamenti rispetto alle ore preventivate.
GLI STRUMENTI PIÙ UTILIZZATI
L’Istat ha raccolto dati per definire il Digital Intensity Index (DII), che nell’ambito della digitalizzazione misura il comportamento delle imprese rispetto a 12 caratteristiche specifiche (tra gli altri, presenza di ERP, di CRM, utilizzo di banda larga, addetti connessi, analisi di dati compiuta all’interno dell’azienda, utilizzo di AI). Nel 2023, i maggiori divari tra PMI e aziende più grandi si trovano nelle attività che richiedono maggiore competenza specialistica come l’analisi di dati (25,7% nelle PMI e 74,1% nelle grandi imprese) e in quelle più legate alla complessità organizzativa e dimensionale come l’utilizzo di software gestionali: gli ERP, 41,4% nelle PMI e 85,0% nelle aziende più grandi, e i CRM, rispettivamente 18,5% e 53,4%. Nel 2023, il 60,7% delle PMI si colloca a un livello base di digitalizzazione (adozione di almeno quattro attività digitali su dodici), e solo il 21,3% si colloca a livelli alti dell’indicatore. Al contrario, il 91,1% delle imprese con almeno 250 addetti raggiunge un livello almeno base e il 68,1% quello alto. Nel report dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, tuttavia, i dati mostrano che questo divario potrebbe ridursi nei prossimi anni. Il 65% delle PMI italiane, infatti, dichiara di investire intensamente nel digitale (o in modo mirato in alcune aree aziendali, o trasversalmente in tutta l’azienda), il 21% ritiene marginale il digitale nel settore in cui opera, l’8% non ne comprende i benefici e il 6% crede che i costi da sostenere siano eccessivi. Nell’ultimo anno, le PMI hanno aumentato la propensione agli investimenti in tecnologie digitali, segno di una maggior consapevolezza sulla loro rilevanza: il 33% ha aumentato gli investimenti diretti per la trasformazione digitale, a fronte del 4% che li ha ridotti. Sono molto diffuse le soluzioni di sicurezza informatica, i software di gestione amministrativa e contabile e gli applicativi di collaborazione, mentre solo un ristretto numero di aziende sta utilizzando tecnologie più evolute: Big Data, blockchain, intelligenza artificiale, realtà aumentata o virtuale. Lo stesso quadro emerge anche dai dati Istat: il 48,7% delle imprese con almeno 10 addetti utilizza almeno un software aziendale (ERP, CRM o BI) e, tra queste, il 53,6% dichiara di aver effettuato nell’anno precedente acquisti legati a tali software gestionali. Il software più implementato dalle imprese è l’ERP (42,2% delle imprese) seguito dal CRM (19,2%) e dal software di BI (14,3%).
Un’azienda in grado di sfruttare al meglio l’ERP per le proprie attività è NATURALEITALIANO, azienda esportatrice di prodotti alimentari italiani freschi e di alta qualità in tutto il mondo: utilizzando le più moderne tecnologie digitali, si propone come un facilitatore al servizio dei produttori italiani per raggiungere velocemente i propri obiettivi di vendita all’estero. Da oltre 25 anni si rivolge a distributori esteri, negozi specializzati e ristoranti internazionali, offrendo loro prodotti a partire da 4 kg e a una temperatura di 4 gradi Celsius, un servizio che nemmeno i principali e-commerce hanno ancora adottato. NATURALEITALIANO utilizza l’ERP per migliorare la gestione aziendale e aumentare la produttività. Michele Mottura, amministratore e socio unico di NATURALEITALIANO, racconta: «Uno dei nostri principali vantaggi, estremamente attuale, è la possibilità di accedere al nostro ERP da qualsiasi parte del mondo, anche da casa. La nostra piattaforma è completamente accessibile via web, garantendo una fruibilità ottimale in ogni momento. Questo ci permette di monitorare l’andamento dell’attività in tempo reale e di prendere decisioni in modo rapido e accurato». Per monitorare efficacemente i processi l’azienda ha implementato una soluzione di BI, integrando informazioni consolidate e in tempo reale nella reportistica, inclusi dati esterni da fonti come file Excel e parametri di calcolo manuali. Inoltre, la realizzazione di una dashboard dedicata ha semplificato la visualizzazione dei dati, fornendo all’azienda le informazioni e le previsioni necessarie per decisioni tempestive: i principali indicatori richiesti riguardano le analisi della marginalità, il monitoraggio delle liste di prelievo e della fattibilità dell’evasione degli ordini clienti, le analisi sulla rotazione dei prodotti e dei lotti in scadenza.
ANALIZZARE I DATI IN AUTONOMIA
Pochi mesi fa Webidoo, digital company specializzata nello sviluppo di tecnologie e servizi per la digital transformation delle imprese, insieme a Italia Compete ha prodotto un report sulla predisposizione digitale delle PMI, integrando i dati economici e strutturali di oltre 13mila imprese. Utilizzando oltre 80 parametri suddivisi in tre macro categorie principali – commercio digitale, presenza digitale e infrastruttura tecnologica – è stato creato un Indice di Maturità Digitale (IMD) delle PMI che fornisce un punteggio fino a 100. L’IMD è strettamente legato alla dimensione delle imprese: le microimprese hanno un valore medio di 56,2, le piccole imprese arrivano a 57,2, mentre le medie imprese registrano il valore più alto pari a 60,3. Anche il volume di fatturato mostra una correlazione con la maturità digitale. Le PMI con un basso fatturato hanno un indice medio di 56,4, quelle con un alto fatturato raggiungono un indice di 58,8. Evidentemente, con l’aumentare degli addetti le imprese possono dedicare risorse specifiche – investimenti mirati e personale specializzato – alla crescita digitale. Una delle attività più importanti per le imprese, che necessita di risorse con competenze mirate, è l’analisi dei dati, indispensabile per capire a fondo i diversi aspetti del proprio business e del mercato in cui si opera.
Secondo l’Istat, il 24,9% delle imprese fino a 10 addetti esegue analisi di dati attraverso addetti propri o di altre imprese del gruppo di appartenenza (contro il 28,2% della media Ue), e appena il 4,6% si avvale di un’altra impresa o organizzazione esterna per l’analisi dei dati (contro il 10,4% della media Ue). Le fonti di dati più utilizzate sono quelle più tradizionali, in particolare le informazioni sulle vendite (14,8%) e sui clienti (11,2%), provenienti da sistemi ERP, o dal proprio sito web o dal software CRM. Un’azienda che sfrutta l’uso di Analytics per gestire la propria crescita è Milu Holding Group, parte di un fondo di investimento estero attivo in Italia dal 2016 nel settore dell’hospitality, con un focus particolare sull’hotellerie di categoria 4 stelle e superiore. Le principali strutture ricettive attualmente gestite, localizzate nel centro storico di Firenze, sono il Milu Boutique Hotel, 22 camere, e il Calimala Luxury Hotel, 103 camere. Una realtà aziendale votata al rapido sviluppo, che desidera lasciare il proprio segno distintivo nel territorio italiano: tra le esigenze, disegnare, creare e distribuire un prodotto di alta qualità a un prezzo competitivo, con la necessità di ottimizzare e modernizzare i processi. In un contesto di forte crescita, era diventato sempre più complicato monitorare le attività delle varie strutture ricettive e dare riscontro in modo preciso e puntuale alle richieste di tutte le parti coinvolte. Fino al 2022, per esempio, la tenuta della contabilità era esternalizzata con analisi, sempre più complesse, svolte manualmente su fogli Excel. L’utilizzo di analytics ha portato a molteplici vantaggi e semplificazioni; ha reso innanzitutto possibile controllare situazioni complesse e monitorare i dati in tempo reale, confrontandoli con le stime previsionali in modo semplice e intuitivo grazie alla visualizzazione dei dati. La forte impronta di digitalizzazione ha inoltre reso più veloce ed efficiente la chiusura dei bilanci e dei report mensili.
COMPETENZE E ORGANIZZAZIONE
Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, il 76% delle PMI italiane riconosce la transizione verde come un obiettivo prioritario, strettamente legata a quella digitale, tanto che si parla di twin transition. La transizione verde rappresenta un’opportunità per migliorare l’impatto ambientale delle tecnologie digitali e, al tempo stesso, queste ultime possono costituire un fattore abilitante per la transizione verde, per esempio fornendo alle imprese strumenti per monitorare i consumi energetici o tracciare le materie prime. È necessario che la PMI sviluppi un approccio strategico rispetto alla digitalizzazione, ripensando i propri processi aziendali nell’ottica della doppia transizione e pianificando i propri investimenti con una prospettiva di lungo periodo. La PMI italiana crede nel tema della twin transition: il 57% impiega già strumenti digitali che consentono di perseguire obiettivi di sostenibilità ambientale. Numeri positivi, che tuttavia esprimono motivazioni animate soprattutto dal miglioramento della reputazione aziendale, dall’incremento dell’efficienza operativa e dalla necessità di rispondere a obblighi normativi o a obblighi contrattuali presi con i propri clienti, mentre sono meno rilevanti gli impulsi che testimoniano l’esistenza di un’autonoma elaborazione culturale sul tema.
A supporto di questa tesi, un dato importante: solamente il 27% delle PMI italiane ha individuato una figura di coordinamento – interna o esterna – per i temi legati alla transizione green. Nelle imprese dove la sostenibilità ambientale è considerata una priorità, il dato aumenta al 34%, mostrando quindi uno scollamento tra la volontà di investimento e la sua effettiva attuazione. L’ostacolo principale ravvisato da chi decide di investire nella digitalizzazione dell’impresa risiede, per il 34% delle PMI, nell’assenza di adeguate competenze digitali. La metà delle PMI sta portando avanti percorsi di formazione continua sul tema, ma solo nel 10% dei casi le aziende inseriscono laureati STEM, dottori di ricerca o diplomati di alta formazione, e questo condiziona la scarsa diffusione di progettualità che impiegano tecnologie avanzate in grado di portare benefici a vari livelli, dai processi interni ai servizi al consumatore. Molto spesso, soprattutto nelle realtà più piccole, l’IT manager viene visto solo come un tecnico informatico, un supporto alla formazione del personale o un risolutore dei problemi quotidiani. Al contrario, l’IT manager deve essere visto come una figura centrale nel cambiamento, e deve essere coinvolto nella valutazione delle strategie aziendali e nel facilitare le decisioni strategiche, fornendo i dati e gli strumenti di analisi necessari. L’IT manager deve collaborare strettamente con l’imprenditore, che deve supportarne idee e sviluppi. Se l’IT manager non fosse adeguatamente capace di lavorare in team, si rischierebbe di sviluppare un sistema troppo avanzato per un contesto aziendale ancora poco maturo in termini di digitalizzazione, limitando così l’effettiva possibilità di sfruttare appieno le potenzialità offerte dalla tecnologia per la trasformazione del business. Quello che serve è una pianificazione attenta nella implementazione delle soluzioni IT.
È fondamentale che l’IT parta dalla comprensione delle esigenze aziendali, identificando i punti critici da affrontare nel progetto. Successivamente, è necessario valutare i costi iniziali, le spese ricorrenti, il ritorno sull’investimento e il rapporto costo-beneficio della soluzione complessiva, oltre ai diversi passaggi che la compongono. Non dimentichiamo che i budget spesso sono molto ridotti, nonostante questi strumenti servano come il pane quotidiano. Nel progetto vanno anche tenute in giusta considerazione le attività di formazione iniziale del personale e un supporto adeguato e continuo per permettere di utilizzare le soluzioni IT in modo efficace. Un altro aspetto da considerare, è la scarsa cultura manageriale che hanno spesso i manager delle PMI del nostro Paese: in questo senso, l’IT manager può aiutare i dirigenti a comprendere il valore dell’investimento, supportando l’indispensabile change management che, se attuato correttamente, aiuta a superare ogni altra sfida. Gestire il cambiamento, infatti, vuol dire sviluppare una nuova mentalità che affida all’IT non solo il compito di realizzare soluzioni, ma anche di studiarle insieme alle persone del business, contribuendo a raggiungere gli obiettivi che si pone l’azienda. Dialogare con l’IT manager non di questioni tecniche ma di strategie aziendali diventa ancora più essenziale man mano che l’impresa cresce perché, ampliando le sue dimensioni, aumenteranno le necessità di strutturare, gestire e analizzare i propri dati in modo coerente e uniforme.
L’innovazione e la digitalizzazione è fondamentale quando le piccole organizzazioni crescono e diventano grandi in breve tempo. È il caso della sede italiana di Save the Children. L’organizzazione non governativa ha avuto una rapida crescita in termini di progetti realizzati e di struttura, e si è dovuta riorganizzare, creando, tra le altre cose, un dipartimento di innovazione e trasformazione digitale, chiamato Innovation, Digital Tech and Data, gestito da Lorenzo Catapano. La tecnologia è sicuramente un abilitatore del cambiamento dell’organizzazione, ed il nuovo dipartimento sta gestendo gran parte delle trasformazioni (IT, dati e innovazione). Il perimetro IT si è ulteriormente ampliato e oggi comprende l’infrastruttura cloud, quella hardware, la gestione dei servizi di rete, la cybersecurity e l’evoluzione dei diversi applicativi – sistemi ERP, HR e i siti web. «Per supportare la crescita organizzativa, abbiamo razionalizzato l’architettura applicativa per facilitare l’integrazione dei diversi sistemi» – spiega Catapano. «I vari progetti in corso permettono di rivedere le applicazioni core e di introdurne di nuove, con l’obiettivo di ottimizzare la gestione dei dati e abilitare una strategia sempre più orientata ai dati». Il nuovo dipartimento fa da ponte tra tecnologia e organizzazione, e permette di creare un dialogo efficace per soddisfare le esigenze del business, soprattutto in contesti di rapida crescita. Questo approccio è molto apprezzato, poiché consente di raccogliere le esigenze attuali e proporre nuove soluzioni, garantendo che la tecnologia generi valore. Naturalmente, a questo modello di maggiore collaborazione interna deve seguire la capacità di dare priorità alle numerose esigenze del business e di avere una visione olistica della trasformazione digitale dell’organizzazione.
PROGETTARE LA TRASFORMAZIONE
Il contesto economico attuale invita, se non costringe, le piccole imprese a identificare una figura in grado di supportarle nel processo di digitalizzazione. L’IT manager, o il team che si forma per il progetto, deve avere un ruolo da protagonista nell’implementazione e nella gestione del progetto, nella selezione della fornitura hardware e software e nel supporto dei servizi IT. Il lavoro da affrontare è davvero impegnativo, soprattutto nelle piccole aziende dove le figure con queste competenze sono assenti o in numero insufficiente. Nei casi in cui sia necessario ricorrere a un supporto esterno all’azienda, si deve trovare una figura, o un’organizzazione, che non deve essere soltanto un fornitore, ma deve essere un partner in grado di comprendere ciò che serve per trasformare l’azienda e renderla efficiente e competitiva, e quindi essere in grado di supportare lo sviluppo del sistema in funzione delle esigenze e delle strategie aziendali. In questo senso, i vendor di soluzioni tecnologiche e i system integrator possono giocare un ruolo chiave nella riduzione del gap che abbiamo visto esserci con le aziende di dimensioni maggiori. Sul mercato si trovano offerte complete di aziende che si propongono come partner strategici per le PMI fornendo non solo tecnologie su misura per rispondere a esigenze specifiche, ma anche consulenza e supporto nell’implementazione e integrazione delle soluzioni digitali, rendendo più semplice e accessibile le attività necessarie al cambiamento.
Attualmente, come confermato dai dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, il 65% delle PMI ha avviato progetti di digital transformation in collaborazione con soggetti esterni. Questi includono principalmente società di consulenza strategica e manageriale, studi professionali giuridico-economici e consulenti tecnici, ma in alcuni casi anche aziende a monte della propria filiera. Più raramente, si sono registrate sinergie con associazioni di categoria e intermediari finanziari, e ancor meno frequenti, sono state le collaborazioni con centri di innovazione, università e startup. La trasformazione digitale va portata avanti non solo con l’apporto di partner tecnologici, ma anche di partner finanziari e di servizi che possano fornire strumenti e competenze sulle diverse opportunità a disposizione: non si parla solo di tecnologie, ma anche di incentivi e di strumenti finanziari per gli investimenti. Secondo l’Osservatorio, il 65% delle PMI italiane ha usufruito di strumenti di agevolazione, principalmente per l’acquisto di beni strumentali, ma anche per lo sviluppo delle competenze necessarie alla transizione digitale e per l’acquisto di beni immateriali. Tuttavia, persistono complessità burocratiche nell’accesso ai finanziamenti e difficoltà nel reperire informazioni sulle misure disponibili. Per questo motivo, il ricorso a investimenti privati rappresenta ancora la fonte fondamentale per le PMI che devono finanziare la propria transizione digitale: l’utilizzo di cassa e disponibilità liquide rimane il principale canale (82%), seguito da linee di debito bancario (33%) e prestiti garantiti o intermediati da enti pubblici (20%).
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