Smart City, innovazione, sostenibilità e qualità della vita. Tecnologie intelligenti per città più efficienti, green e a misura di cittadino. Con la partecipazione di AMAT, Area Tecnica del sottosegretariato alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione digitale, Arexpo, Azienda Trasporti Milanesi, Axians Italia, BVA Doxa, Comune di Como, Denodo, Eni Plenitude e Trilogis
Le smart city rappresentano una delle sfide più innovative del XXI secolo. Si tratta di città che utilizzano le tecnologie digitali e l’Internet of Things (IoT) per migliorare la qualità della vita dei cittadini, ottimizzare l’efficienza dei servizi pubblici e ridurre l’impatto ambientale. Il concetto di smart city coinvolge numerosi settori, come trasporti, energia, rifiuti, sicurezza e servizi sociali, con l’obiettivo di creare un ambiente urbano più sostenibile e interconnesso. I vantaggi che le città smart possono offrire ai cittadini sono molteplici. Uno dei principali benefici è la gestione intelligente dei trasporti. Sensori e algoritmi di intelligenza artificiale possono monitorare il traffico in tempo reale, ottimizzando i flussi di traffico e riducendo gli ingorghi. Questo non solo riduce i tempi di spostamento, ma diminuisce anche le emissioni di CO2. Le città connesse puntano a ridurre l’impatto ambientale grazie a una gestione più efficiente delle risorse. Sistemi intelligenti possono ottimizzare l’uso dell’energia nelle abitazioni e negli edifici pubblici, riducendo sprechi e favorendo l’adozione di energie rinnovabili.
Attraverso l’uso di tecnologie avanzate, le amministrazioni possono fornire servizi più efficienti e tempestivi. Per esempio, le reti idriche intelligenti possono monitorare in tempo reale perdite o consumi anomali, mentre i sistemi di gestione dei rifiuti possono ottimizzare i percorsi di raccolta basandosi sulla reale quantità di rifiuti nei cassonetti. Le città smart favoriscono anche un rapporto più stretto e trasparente tra i cittadini e le amministrazioni. Attraverso piattaforme digitali, i cittadini possono interagire direttamente con le istituzioni, segnalando problemi, proponendo soluzioni e partecipando attivamente ai processi decisionali.
La gestione intelligente dei dati permette di migliorare la sicurezza urbana. Le città possono implementare sistemi di videosorveglianza intelligenti, monitorare la qualità dell’aria e intervenire tempestivamente in caso di situazioni di emergenza o inquinamento critico. Le smart city rappresentano una straordinaria opportunità per migliorare la qualità della vita nelle aree urbane. Tuttavia, la loro realizzazione richiede un approccio integrato che coinvolga non solo le tecnologie, ma anche la collaborazione tra istituzioni, aziende e cittadini. Con l’adozione delle giuste strategie e il supporto delle pubbliche amministrazioni, queste città intelligenti potranno garantire un futuro più sostenibile, efficiente e inclusivo. Analizzare cosa si è già fatto e cosa si può fare per abilitare questo modello è l’obiettivo che si è posta la tavola rotonda di Data Manager con la partecipazione di AMAT, Arexpo, ATM, Axians Italia, BVA Doxa, Comune di Como, Denodo, Eni Plenitude e Trilogis.
LE INIZIATIVE GOVERNATIVE
Parlando di smart city non si può iniziare se non analizzando cosa ha fatto, sta facendo e progetta di fare l’amministrazione centrale dello Stato. Per prima cosa – chiediamo a Alessandro Musumeci, capo della Segreteria Tecnica del Sottosegretario di Stato con delega all’Innovazione Tecnologica della Presidenza del Consiglio – cosa si sta facendo a livello centrale per supportare le realtà locali in questo processo di “smartizzazione” e quali sono i punti cardine del processo di trasformazione digitale su cui questa amministrazione centrale pone il proprio accento. «Parlare di smart city senza citare la mobilità integrata non è possibile. Per spiegare l’approccio dell’Amministrazione Centrale utilizziamo un progetto importante finanziato in buona parte dal PNRR, quello del Mobility Access Service Italy. Il progetto è stato lanciato due anni fa in varie regioni, con un impegno di circa 67 milioni di euro e l’obiettivo di far partire diversi progetti di smart mobility che, integrandosi con i servizi già esistenti, possano diventare catalizzatori di nuove iniziative».
Sono stati lanciati quattro bandi del progetto. Il primo ha riguardato tre grandi città per progetti pilota, a cui ha fatto seguito un secondo su altre tre città. Si è aggiunto quindi un bando per la sperimentazione di servizi a guida autonoma e in ultimo sono state finanziate alcune regioni per l’avvio di servizi di mobilità integrata, dove per mobilità integrata si intende la valorizzazione dei progetti già avviati dalle varie amministrazioni e aziende di trasporto, ivi comprese le ferrovie, mettendoli a fattor comune per la costruzione di una mobilità intelligente. «Un punto cardine per l’abilitazione delle città smart rimane la connettività a cui il Dipartimento della Trasformazione Digitale associa circa un miliardo di euro di investimenti» – spiega Musumeci, intervenendo in videoconferenza. «L’obiettivo che ci si è posti è che entro il 2030 tutto il territorio nazionale sia cablato con velocità di trasmissione di almeno un Giga». Il territorio nazionale è stato suddiviso in 15 aree e affidato attraverso bandi pubblici a Fibercop e Open Fiber con l’incarico di realizzare la cablatura in fibra ottica, e l’intento esplicito di arrivare a connettere efficacemente le piccole città e i piccoli borghi che, va ricordato, costituiscono la maggior parte degli insediamenti nazionali. Questo senza dimenticare la connessione 5G su cui si sta lavorando o la connessione del sistema sanitario in grado di abilitare servizi di medicina a distanza a misura di cittadino».
CITTADINI E SMART CITY
Sonia Biondi, docente universitaria e Business Unit manager area automotive di BVA Doxa, mette subito in chiaro che il livello di conoscenza del significato di smart city da parte del cittadino è ancora notevolmente basso e tra coloro che lo conoscono rimane probabilmente ancora un sogno, più che una realtà. Una ricerca condotta da BVA Doxa rivela che solo il 30% degli intervistati dichiara di aver sentito parlare di smart city, ma di non conoscerne i dettagli, mentre il 39% ha sentito il termine senza approfondirlo, e il restante 31% non ne ha alcuna conoscenza. I Millennials risultano i più consapevoli, probabilmente grazie a un maggiore coinvolgimento in ambiti professionali, a differenza della Generazione Z, che sorprendentemente mostra una minore familiarità. I cittadini che vivono in piccole città e borghi dimostrano una conoscenza molto limitata, se non inesistente, del concetto di smart city e dei servizi che essa può abilitare. Tuttavia, dalla ricerca emerge che chi ne ha maggiore conoscenza non sono i cittadini delle città metropolitane o comunque grandi, bensì quelli che vivono nelle città tra i 250 e i 350mila abitanti, come Bologna, Firenze, Bari, Verona, Venezia e Catania.
Tra coloro che hanno partecipato all’indagine, il 69% ha dichiarato di aver almeno sentito parlare di smart city dunque. Tuttavia, solo una piccola parte di questo gruppo, pari al 13%, si ritiene davvero sicura di comprendere bene cosa significhi il concetto di smart city. In altre parole, la maggioranza di chi ha familiarità con il termine non ha una comprensione profonda o non si sente confidente con il tema. «Andando a fondo su alcuni temi – continua Sonia Biondi – abbiamo scoperto che molti ricercano nella smart city servizi di cui già dispongono, mettendo in evidenza un problema legato alla comunicazione che spinge il cittadino a utilizzare strumenti che già ha a propria disposizione ma che non sa collocare all’interno della definizione. Il 65% degli intervistati cita Milano come la città più smart, ma poi andando a verificare con i milanesi la conoscenza di quello che hanno, la realtà è che anche loro stessi non ne sono coscienti».
A livello di comunicazione il governo si sta già muovendo su vari fronti – spiega Alessandro Musumeci. «I 19mila enti coinvolti nei progetti PNRR possono farsi parte attiva di una disseminazione di conoscenza e consapevolezza. Il problema non è fare progetti ma metterli a terra e dare a tutti i cittadini di tutte le estrazioni, anche superando tematiche di digital divide, le stesse opportunità di utilizzo dei servizi digitali della Pubblica Amministrazione».
Sarebbe stato interessante effettuare la ricerca, coinvolgendo gli amministratori dei vari comuni – commenta Giovanni Fazio, direttore PNRR, Smart City, Comunicazione del Comune di Como e co-fondatore dell’associazione Smart City Italy. «Perché se è sconfortante la percentuale di consapevoli del significato di smart city, sarebbe stato ancora più tragico scoprire che la percentuale non sarebbe stata molto diversa tra chi la smart city la deve progettare ed attuare». Il PNRR richiede agli amministratori locali di implementare concretamente i servizi che abilitano le smart city, rispondendo così alle richieste quotidiane dei cittadini, spesso inconsapevoli che tali servizi facciano parte proprio dell’ecosistema delle Smart Cities. «Il senso comune tende a credere di avere già compreso cosa sia una smart city, ma questo rappresenta un ulteriore problema, poiché, avendone sentito parlare così frequentemente, molti la considerano un concetto scontato o acquisito» – spiega Fazio. «Se interrogassimo 100 persone diverse su cosa significhi smart city, probabilmente riceveremmo circa ottanta definizioni diverse».
Secondo l’enciclopedia Treccani, la smart city è una “città caratterizzata dall’integrazione tra saperi, strutture e mezzi tecnologicamente avanzati propri della società della comunicazione e dell’informazione finalizzati alla crescita sostenibile e al miglioramento della qualità della vita”. Già in questa definizione si coglie un aspetto per così dire “etico”. Il Technical Management Board della ISO afferma in modo un poco più preciso che “la smart city è una città che aumenta drasticamente il ritmo con cui migliora la sua sostenibilità e resilienza, focalizzandosi su come coinvolgere la società, come applicare metodi di leadership collaborativa, come lavorare in modo interdisciplinare e trasversalmente ai vari ecosistemi della città e come usare i dati e le tecnologie integrati con l’obiettivo di trasformare i servizi a qualità della vita per tutti coloro che vivono il tessuto cittadino”.
«Questa definizione – sottolinea Fazio – spiega che la tecnologia è solo l’ultimo passaggio, evidenziando chiaramente l’obiettivo e i passi necessari da compiere. Il 75% delle richieste non riguarda la tecnologia in sé, ma si riferisce a ciò che viene comunemente definito “abbattere i silos” all’interno del Comune e tra i vari enti pubblici operanti nell’ecosistema urbano, con l’intento di creare valore per i cittadini». Il concetto di smart city si fonda sulla creazione di servizi a valore per aumentare la qualità della vita del cittadino e usa la tecnologia per realizzare questo obiettivo. La digitalizzazione è un dato di fatto e va usata per ripensare i processi al fine di renderli migliori, più interoperabili non perdendo mai di vista il fruitore, in primo luogo il cittadino. Ma ci sono fondi adeguati per ripensare i processi in ottica di una trasformazione digitale efficace ed efficiente? «Il territorio italiano è formato per il 99% da comuni sotto i 100mila abitanti e per il 98% ca. sotto i 50mila. La stragrande maggioranza di questi comuni non ha un CIO, un responsabile della tecnologia, e quindi non ha la capacità di comprendere, sponsorizzare e agevolare la ridefinizione dei processi tramite la digitalizzazione, rendendo in pratica l’operazione estremamente complessa» – spiega Fazio. «Il comune di Como è un capoluogo e quindi come tale ha rapporti con enti che vanno oltre i confini comunali: provincia, prefettura, provveditorato, e così via. Questo complica notevolmente la situazione.
Se poi si aggiunge il fatto che il comune di Como confina con uno stato estero – la Svizzera – non facente parte della Comunità Europea, la situazione diventa quasi tragica sia per il sovraccarico di lavoro per gestire tutti i respingimenti della Svizzera, causando uno spostamento di risorse – non rimpiazzabili – verso il settore servizi sociali, sia per l’appetibilità del mercato del lavoro svizzero che drena risorse essenziali alla pubblica amministrazione locale per creare innovazione. Tuttavia, in questo panorama, bisogna dire che il finanziamento per l’innovazione tecnologica del PNRR è l’unico per così dire semplice, che non costringe le amministrazioni a impazzire per la rendicontazione: quello che spendi lo spendi, quello che non spendi lo spenderai sempre in innovazione ma anche su altri progetti. Questo aspetto rende quindi le amministrazioni più serene nell’utilizzare queste linee di finanziamento».
L’INTEGRAZIONE DEI DATI
L’Agenzia Mobilità Ambiente Territorio – AMAT è una società in-house del Comune di Milano, che funge da centro studi per l’ente. La sua attività si concentra sull’elaborazione di studi e analisi finalizzati all’adozione di politiche integrate, con particolare attenzione alla mobilità, alla pianificazione urbanistica e alla realizzazione di infrastrutture. L’attività di AMAT si basa su una vasta gamma di dati, sia autoprodotti che provenienti da fonti esterne. «Siamo grandi consumatori di dati, ma anche grandi produttori» – spiega Valentino Sevino, direttore generale e direttore Mobility Planning Area di AMAT. «Questi dati non solo alimentano i modelli matematici previsionali, ma sono anche impiegati per la re-ingegnerizzazione dei processi, interni e rivolti all’utenza, garantendo una rapidità di intervento nettamente superiore rispetto al passato. Inizialmente utilizzate in modo settoriale, queste informazioni vengono ora sempre più integrate in piattaforme innovative, grazie all’analisi e all’uso di modelli dinamici basati su intelligenza artificiale. Ciò permette di creare clusterizzazioni complesse, difficilmente realizzabili con i metodi tradizionali».
Tuttavia, c’è ancora la tendenza a considerare l’integrazione dei dati, come una attività prevalentemente tecnologica – sottolinea Andrea Zinno, data evangelist di Denodo. «L’integrazione dei dati è il mattoncino su cui si basa la conoscenza ed è propriamente una attività semantica in quanto integro i dati perché voglio concettualizzare il mio mondo di riferimento». I dati sono l’equivalente degli occhi nel mondo digitale: guardare e vedere sono due cose profondamente diverse. «La parte tecnologica è il guardare, un atto fisico dove si collezionano dati. In questa operazione non c’è valore» – continua Zinno, «Il valore strutturale del dato si esplica nel momento in cui il dato lo uso per rappresentare e per fare qualcosa, come i mattoni nell’edilizia. Il vero sforzo dell’integrazione è fare in modo che il dato arrivi a chiunque ne abbia bisogno mettendolo in grado di leggerlo con facilità. Si parla molto di democratizzazione del dato. Ma quando si sostiene che il dato deve essere fruibile da chiunque, non si può fissare un livello di competenza minimo. Quindi il dato diventa la base per la rappresentazione di una realtà osservata, che poi deve essere facilmente consumabile» – afferma Zinno. «Perché se si parla di democratizzazione, allora i diritti devono essere facilmente esercitabili, altrimenti diventano un privilegio creando un data-divide».
La responsabilizzazione del singolo e la partecipazione attiva sono i cardini della democrazia – sottolinea Zinno. «Nel panorama della smart city se non viene attivata questa sorta di partecipazione attiva, dove i molteplici attori, dal cittadino alle istituzioni alle aziende private, si scambiano dati per costruire una vita migliore difficilmente si raggiunge l’obiettivo». Il Data Governance Act infatti rimarca che l’altruismo dei dati è il fondamento affinché i portatori di interesse possano produrre dei servizi per la comunità. «Bisogna passare da un approccio passivo del dato – in altre parole, aspettare che il dato ci arrivi – a un ecosistema dove ognuno è parte attiva, creatore e distributore di dati». Inoltre, dobbiamo diventare portatori sani di dati. «La partecipazione è tutto e la tecnologia deve agire come semplificatore, comprendendo che nel mondo delle città smart, dove gli attori coinvolti sono molti, deve instaurarsi un modello diverso di partecipazione». Il dato è come un prodotto: va realizzato, analizzato, mantenuto e attualizzato nel tempo.
Il fruitore del dato non è più soltanto il data analyst, il tecnico di settore, ma è l’uomo di business nonché il cittadino comune. «Nella pubblica amministrazione, il problema legato ai dati non risiede nella raccolta, ma nella loro certificazione e nella definizione di chi ha l’autorità per condividerli con gli altri» – afferma Nicola Giuliani, AD e direttore commerciale di Trilogis. «Si tratta di una questione di responsabilità, sia tra colleghi all’interno dell’amministrazione, sia tra l’amministrazione stessa e i cittadini. Il nodo cruciale è la gestione della proprietà dei dati e la percezione di una possibile perdita di potere. Un intervento normativo da parte del legislatore potrebbe aiutare a stabilire un nuovo modus operandi, mentre si lavora affinché la cultura della corretta gestione del dato diventi parte integrante dell’azione di ogni ente e cittadino. Il vero valore dei dati – continua Giuliani – risiede nella loro capacità di trasformarsi in informazioni utili e rilevanti nel momento e nel luogo giusto».
I PILASTRI DELLA SMART CITY
«Non si può parlare di smart city, di servizi smart al cittadino, se anche le aziende private non si adoperano in questa direzione» – afferma Roberto Corraro, deputy managing director di Axians Italia. Uno degli aspetti principali da sottolineare è la necessità di capire l’esigenza reale delle istituzioni e delle aziende per affrontare la progettazione e la realizzazione, mettendo in gioco conoscenze molto disparate tra di loro ma complementari. Conoscenze che possono spaziare dall’efficientamento energetico dei palazzi alla trasformazione di processi, dal monitoraggio all’efficientamento delle risorse idriche. «Occorre costruire un vestito su misura con un approccio rivolto all’innovazione, e non pensare di poter adottare per ogni realtà la stessa soluzione» – sottolinea Corraro. «Per velocizzare il raggiungimento degli obiettivi prefissati c’è però la necessità di partire da piattaforme abilitanti, quali Xsona, sviluppata da Axians per agevolare, grazie all’utilizzo di tecnologia IoT, il rilevamento e il monitoraggio di svariati parametri: dalla qualità dell’aria, al controllo dell’illuminazione, al people counting, all’efficienza dell’irrigazione e così via».
Trasformare implica anche dare valore ad aree strategiche da rigenerare, trasformandole in luoghi vivi e curati attraverso partnership innovative con il privato. Riconvertire aree realizzate per scopi specifici ad altra funzione è sempre arduo e complesso. Riconvertire il milione di metri quadri su cui era sorto l’Esposizione universale di Milano del 2015 sembrava un’impresa impossibile. Arexpo, società a maggioranza pubblica, nata per lanciare Expo 2015 si è trovata a dover affrontare il problema di cosa fare dell’area.
«Accantonata l’idea di rivendere l’area, tutti hanno messo la testa sull’immaginare come poter costruire un modello di successo» – spiega Mauro Capitanio, direttore commerciale, Programmazione e Sostenibilità di Arexpo. I primi silos caduti sono stati proprio quelli del dialogo tra pubblico e privato generando un modello che prevede un investimento di cinque miliardi di euro, di cui solo 1,5 messi a disposizione dal comparto pubblico. «Consci che l’ecosistema è alla base di tutto, abbiamo proceduto a definire un modello adeguato, un “motore a quattro eliche”: presenza del pubblico, del privato, degli istituti di ricerca e degli enti del terzo settore».
Più che la tecnologia in quanto tale, il successo del Mind Innovation District (MIND) è derivato proprio dall’abbattimento dei silos e dalla costruzione di un dialogo aperto e collaborativo tra le realtà coinvolte, pubblico e privato. MIND a regime sarà un distretto dove vivranno assieme oltre 70mila persone, in pratica, una città di medie dimensioni in cui occorre attivare tutti i servizi sociali, lavorativi e ricreativi in grado di attrarre e tenere residenti, nonché insediare attività lavorative che rendano attivo il territorio. «Occorre pensare a questa nuova città come una filiera dove tutti traggono beneficio dalla presenza dell’altro» – sottolinea Capitanio. La creazione di una smart city, quale MIND vuole essere, si porta appresso anche degli abilitatori tecnologici, prima fra tutti l’infrastruttura, non solo digitale. «MIND è stata concepita come una realtà accessibile ma soprattutto raggiungibile: è presente la metropolitana, l’alta velocità ferroviaria, la disponibilità di aeroporti nelle vicinanze. Dal punto di vista digitale e culturale, oltre alla diffusione della fibra ottica, del 5G e alla presenza di eccellenze nel campo della medicina e di campus universitari, stiamo lavorando per attrarre realtà innovative attraverso l’insediamento di centri di calcolo all’avanguardia. Il tutto mantenendo sempre al centro il concetto di sostenibilità, declinato nelle sue tre dimensioni: ambientale, sociale ed economica». Capitanio sottolinea che c’è un modello attuabile che passa dall’abbattimento dei silos e dall’instaurazione di un dialogo tra entità diverse. «Le grandi città come Milano o Roma, per costruire una smart city, dovrebbero partire dalla progettazione e riqualificazione dei quartieri per poi integrarli, come pezzi di un puzzle, in una visione più ampia. Le città di piccole e medie dimensioni, invece, hanno l’opportunità di operare in modo più sinergico e integrato fin da subito».
L’amministrazione comunale di Milano è uno solo dei pilastri della smart city. «Anche se diminuisse il proprio supporto alla costruzione di servizi smart, la spinta complessiva non diminuirebbe perché altri pilastri – tra cui enti di ricerca, università, aziende private – diventerebbero, per non soccombere, capofila della prosecuzione del percorso» – spiega Giovanni Fazio del Comune di Como e co-fondatore dell’associazione Smart City Italy. «I centri medio-piccoli, compresi i capoluoghi di provincia come Como, non hanno questo genere di pilastri e la mancanza della spinta dell’amministrazione comunale probabilmente causerebbe un rallentamento o addirittura uno stop nel processo di smartizzazione rendendo vani gli sforzi per contenere la migrazione verso i grandi centri causando la morte dei piccoli abitati. Infrastruttura di connettività e mobilità adeguata, incentivi allo smart working, servizi accessibili e interconnessi potrebbero invece mantenere viva quella cultura del piccolo centro che è parte delle fondamenta del nostro Paese».
IL CITTADINO AL CENTRO
«Il fatto che non esista una definizione univoca di Smart City riflette chiaramente come il city-user immagina che dovrebbe essere» – afferma Stefano Pasetti, director of Mobility and Telecommunication Systems Department di ATM Milano. «Tuttavia, ci sono concetti chiave che ricorrono frequentemente: accessibilità, sostenibilità, attrattività, sicurezza, integrazione ed ecosistema. ATM contribuisce a realizzare ciò che una smart city dovrebbe offrire, mettendo a disposizione servizi di mobilità integrata con un focus sulla persona, sul cittadino e sull’utilizzatore, rispondendo così ai bisogni individuali». La tecnologia è uno strumento fondamentale per raggiungere questi obiettivi, mettendo il city-user al centro, ma non è l’unico fattore determinante, soprattutto quando si considera l’accessibilità fisica. Un esempio di utilizzo della tecnologia è il servizio “ATM senza barriere”, che fornisce informazioni in tempo reale sull’accessibilità delle diverse stazioni della metropolitana, sia sul sito che sui social. Sul fronte dell’accessibilità fisica, lo sforzo si concentra sulla realizzazione di linee metropolitane prive di barriere architettoniche, come le linee M4 e M5, e sull’adeguamento progressivo delle altre. In termini di attrattività, è fondamentale considerare la revisione dei mezzi di trasporto, poiché viaggiare su veicoli confortevoli e sostenibili rende l’esperienza di mobilità più piacevole e invitante.
«Per raggiungere l’obiettivo è necessaria una piattaforma globale che integri tutti i servizi, ma questi devono essere personalizzati in base alle esigenze specifiche di ciascuna persona. La personalizzazione è un aspetto fondamentale, con il cittadino sempre al centro» – afferma Sevino di AMAT. «Il rapporto pubblico-privato resta cruciale in questo contesto. Creare una piattaforma che permetta al cittadino di scegliere come muoversi in città, in un dato momento e per una specifica destinazione, diventa un fattore di sostenibilità essenziale, riducendo o eliminando l’uso indiscriminato dei veicoli privati».
Pasetti di ATM sottolinea che – «se da un lato lo Stato deve fornire infrastrutture adeguate e svolgere un ruolo di regolatore, dall’altro, i privati e le amministrazioni locali devono analizzare costantemente le abitudini dei cittadini per progettare, realizzare ed erogare servizi efficaci per il city-user, che resta al centro di ogni iniziativa e ne decreta il successo. È inoltre importante incentivare comportamenti virtuosi, magari con iniziative premianti». Corraro di Axians evidenzia infine che, per offrire servizi efficienti – «la collaborazione tra pubblico e privato deve essere costante, per garantire anche un adeguato livello di sicurezza e tutela della qualità e riservatezza dei dati condivisi».
CONOSCERE, AGIRE E INTEGRARE
Secondo i dati di BVA Doxa, sicurezza e mobilità sono le priorità principali per i cittadini. Tuttavia, quando si chiede loro di citare servizi specifici in questi ambiti, solo il 9% è in grado di rispondere per la sicurezza e appena il 4% per la mobilità. Questo evidenzia come spesso i cittadini desiderino servizi che già esistono, ma di cui non sono consapevoli. In tema di sicurezza, va sottolineato che la tecnologia può supportare, ma non sostituire, i processi umani. Per esempio, avere centinaia di telecamere installate senza un’adeguata struttura organizzativa e risorse per monitorarle in “near real-time” è come possedere una Ferrari senza benzina: inutile. Per quanto riguarda la mobilità, il problema principale che emerge è il traffico, seguito dalla mancanza di servizi di mobilità alternativi. Solo un cittadino su 10 dichiara di essere soddisfatto dei servizi offerti dal proprio Comune, evidenziando un ampio margine di miglioramento in questo settore.
Una smart city è caratterizzata da due fattori: qualità della vita dei cittadini e sostenibilità ambientale. Quando si cita la qualità della vita si parla di partecipazione attiva, inclusiva, di educazione alla sostenibilità. «Lavorare sulla consapevolezza e sulla promozione di buone pratiche di efficienza energetica è una delle nostre principali priorità» – spiega Giulia Parenti, head of Digital Development & Solutions di Eni Plenitude. «Per esempio, abbiamo lanciato un servizio che consente a tutti i clienti che abbiano disponibile telelettura tramite contatore 2g di monitorare in tempo reale il consumo dei propri elettrodomestici. Questo fornisce agli utenti un supporto concreto e tempestivo per comprendere il proprio fabbisogno energetico, incoraggiandoli ad adottare pratiche di utilizzo più vantaggiose. È importante sottolineare che, sebbene fornire informazioni sia fondamentale, è altrettanto cruciale renderle accessibili in modo semplice e fruibile». Quando si parla di asset digitali, l’accessibilità diventa un fattore essenziale, come evidenziato dall’European Accessibility Act, che entrerà in vigore nel 2025.
«Attualmente, si stima che circa il 15% della popolazione mondiale abbia una disabilità, temporanea o permanente, che influisce sull’utilizzo del web. Per questo motivo – continua Giulia Parenti – da due anni stiamo progettando tutti i nostri assetti digitali con un approccio “accessibile by-design”, utilizzando un linguaggio inclusivo. La modalità di comunicazione può fare la differenza». Infine, la sostenibilità ambientale è un aspetto cruciale per l’efficientamento energetico, che può essere raggiunto anche attraverso l’adozione di modelli incentivanti, l’uso di fonti rinnovabili e la creazione di comunità energetiche. Secondo una ricerca di BVA Doxa, solo il 4% degli intervistati afferma di conoscere le comunità energetiche rinnovabili, ma il 60% dichiara di essere interessato a parteciparvi una volta ricevute le dovute spiegazioni. Questo segna un cambiamento significativo: il cittadino sta evolvendo da semplice consumatore a produttore e consumatore di energia, diventando sempre più un “prosumer”.
Uno dei temi centrali nelle città smart è la gestione del consumo energetico. L’aumento della domanda, specialmente in periodi di tempo concentrati, può generare picchi che l’offerta non sempre riesce a soddisfare. «In Plenitude stiamo portando avanti alcune iniziative che possano contribuire alla gestione sempre più efficiente degli impianti fotovoltaici con batteria di accumulo. Avere prodotti flessibili che consentano di aiutare la rete a mantenersi stabile e contemporaneamente aiutare la catena di approvvigionamento ad ammortizzare gli effetti dei picchi di costo sono senza dubbio una delle sfide più importanti in ambito digitale del futuro – spiega Giulia Parenti. Questo tema diventerà sempre più rilevante con l’aumento della domanda, trainata dall’espansione dei servizi legati alle smart city.
«Collaborare con le pubbliche amministrazioni e le aziende multiutility è fondamentale per migliorare la qualità della vita dei cittadini» – afferma Nicola Giuliani di Trilogis. «Uno degli aspetti principali è la normalizzazione dei dati, preferibilmente alla fonte, per evitare di sovraccaricare le reti di comunicazione.
La questione centrale è sviluppare sistemi efficaci per la gestione e localizzazione dei dati, siano essi relativi a mappe o edifici. Questo è rilevante in numerosi settori, dalla protezione civile alla gestione geologica, fino al monitoraggio dei bacini idrici e dei fiumi» – continua Giuliani. «Per esempio, l’interazione con i sensori posizionati sugli argini dei fiumi Adige e Isarco consente di monitorare in tempo reale e geolocalizzare il flusso delle acque. Il mondo delle multiutility richiede competenze approfondite in vari settori e la capacità agnostica di selezionare le tecnologie migliori per risolvere problemi specifici, integrandole tra loro». Conoscere per integrare – sottolinea Giuliani. «Questo approccio si applica a diversi ambiti, dalla gestione dei rifiuti e del riciclo porta a porta, all’ottimizzazione dei cassonetti e all’efficientamento energetico».
CONCLUSIONI
Infrastrutture accessibili e inclusive, innovazione digitale, sostenibilità – declinata nelle dimensioni sociale, ambientale ed economica – una cultura condivisa, collaborazione pubblico-privato, e il cittadino al centro: sono queste le fondamenta della smart city. Per accelerare lo sviluppo delle città intelligenti, le pubbliche amministrazioni devono svolgere un ruolo chiave, sia sul piano tecnologico che su quello degli incentivi. Il punto di partenza è costruire un’infrastruttura digitale solida, basata su connessioni veloci e sicure. Le reti 5G, per esempio, sono essenziali per garantire l’interconnessione dei dispositivi e il flusso costante di dati. Investire in reti a banda larga con una copertura capillare è il primo passo verso una vera smart city.
Inoltre, le amministrazioni devono rendere i dati pubblici accessibili, incentivando sviluppatori e imprese a sfruttarli per creare soluzioni innovative. Gli Open Data, infatti, permettono di sviluppare applicazioni che migliorano la mobilità, la gestione energetica e molti altri servizi essenziali per i cittadini. La creazione di una smart city richiede investimenti significativi in tecnologie e infrastrutture. Le amministrazioni locali possono favorire partenariati pubblico-privato per promuovere l’innovazione e garantire finanziamenti a progetti smart, attirando così investitori e startup interessate a sviluppare tecnologie urbane. È fondamentale introdurre incentivi economici per aziende e cittadini che adottano soluzioni intelligenti, come l’installazione di impianti fotovoltaici o l’utilizzo di veicoli elettrici. Allo stesso tempo, normative semplificate e agevolazioni fiscali possono agevolare l’adozione di queste tecnologie, riducendo la burocrazia. La trasformazione di una città in una smart city passa anche attraverso un cambiamento culturale. Le amministrazioni dovrebbero promuovere programmi di alfabetizzazione digitale, affinché i cittadini comprendano i vantaggi delle tecnologie intelligenti e siano pronti a integrarle nella loro vita quotidiana. La vera sfida è progettare soluzioni capaci di anticipare i problemi e ottimizzare l’uso delle risorse.
Point of view
Intervista a Roberto Corraro deputy managing director di Axians Italia: Come migliorare la vita delle persone e delle organizzazioni
Intervista ad Andrea Zinno data evangelist di Denodo: La piattaforma leader nella gestione dei dati
Intervista a Nicola Giuliani AD e direttore commerciale di Trilogis: Localizzazione ad alta specializzazione