Il rapporto Excelsior-Unioncamere sui fabbisogni occupazionali in Italia per il periodo 2024-2028 stima che, nei prossimi cinque anni, oltre 2,3 milioni di lavoratori dovranno acquisire competenze green e più di 2,1 milioni dovranno sviluppare competenze digitali.
Per portare a termine un progetto di digital transformation, tuttavia, non è sufficiente dotarsi di competenze, né considerare l’innovazione soltanto come utilizzo di nuove tecnologie. I CIO devono richiedere che i vertici aziendali sponsorizzino un progetto completo di change management: non ci si deve limitare a digitalizzare le attività così come oggi vengono eseguite, ma devono essere analizzati e modificati nel profondo anche i singoli processi, le modalità di relazione con i clienti, con i fornitori e con le altre business unit all’interno della propria organizzazione.
Diversi studi sono concordi nel ritenere che la cultura aziendale sia il principale ostacolo per il change management, quindi bisogna investire, e molto, sulle persone: non a caso il focus si sta spostando da Industria 4.0, basata su aumento di efficienza e di produttività, a Industria 5.0, dove persone, ambiente e sostenibilità sono al centro dei processi di produzione.
L’ultimo rapporto annuale ISTAT fotografa gli organici all’interno delle aziende in Italia: negli ultimi venti anni il tasso di occupazione è aumentato dal 57,4% del 2004 al 61,5% del 2023, creando oltre 1,3 milioni di posti di lavoro; ci sono però più di due milioni di occupati in meno tra i giovani tra i 15 e i 34 anni e più di un milione in meno tra i 35 e i 49 anni, diminuzioni compensate dall’aumento di 4,5 milioni di occupati over 50. L’età media degli occupati sta aumentando più di quanto stia aumentando l’età media nel Paese, quindi il mondo del lavoro sta addirittura invecchiando più rapidamente di quanto stia invecchiando l’Italia.
Questo dato, insieme all’innalzamento dell’età pensionabile, fa sì che nelle aziende italiane siano presenti risorse di quattro generazioni diverse: Baby Boomers, Generazione X, Millennials e Generazione Z. Questa diversità generazionale porta in ogni realtà aziendale uno spettro di competenze molto diversificato: ogni età ha conoscenze, esperienze, aspirazioni, valori e punti di forza differenti che vanno gestiti al meglio, trasformando in una sinergia positiva quello che potrebbe sfociare in uno scontro culturale.
Gruppi di lavoro eterogenei sono una notevole fonte di ricchezza e assicurano ambienti di lavoro più competenti ed efficienti, proiettati verso il futuro con ottimismo. Questo vale soprattutto nell’attuale periodo complesso che stiamo vivendo, denso di cambiamenti rapidi e spesso imprevedibili, che le organizzazioni sempre più “over” avrebbero difficoltà ad affrontare. Per questo, è utilissimo l’apporto delle nuove generazioni, più preparate sulle tematiche tecnologiche e green, in grado quindi di facilitare un rapido adattamento ai mutamenti di mercato e di scenari.
Il rapporto EURES “Giovani 2024: il bilancio di una generazione” mostra, tuttavia, che per l’85% dei giovani intervistati il livello di attenzione della politica italiana verso le problematiche giovanili è inadeguato, mentre viene riposta maggiore fiducia nell’Unione europea. Molti giovani considerano il nostro Paese poco dinamico e ritengono antiquati i tradizionali modelli d’impresa. Di conseguenza, preferiscono cercare maggiori stimoli all’estero. Ogni anno, 18mila giovani laureati lasciano l’Italia, un numero più che triplicato rispetto a dieci anni fa. Insomma, proprio ora che abbiamo bisogno di talenti, ne abbiamo pochi, perché li mettiamo nelle condizioni di andarsene. È evidente che la politica italiana debba attuare interventi urgenti per migliorare le condizioni di vita e le prospettive dei giovani. È necessario facilitare un mercato del lavoro più stabile, che valorizzi le competenze e crei le condizioni per arginare la fuga di cervelli e incentivare i rientri. In caso contrario, rischiamo di perdere queste energie positive e di rimanere ancora più indietro.