L’arte nell’era dell’AI, creatività o replica?

L'arte nell'era dell'AI, creatività o replica?

Dalla tela al codice, da Picasso a Lev Manovich. La nuova frontiera dell’arte generativa e l’impatto sull’industria dei contenuti e dell’intrattenimento. Benvenuti nell’inferno degli artisti moderni

«Nessuno ha mai scritto, dipinto, scolpito, modellato, costruito o inventato se non per uscire letteralmente dall’inferno». Perché questa frase di Antonin Artaud come incipit del mio articolo? Perché gli artisti hanno così tanta paura di essere replicati da un software? O meglio dalla statistica, dato che di fatto l’AI generativa è una statistica molto avanzata? Sinceramente, ritengo che gli artisti abbiano trovato una modalità di sopravvivenza molto efficiente negli anni. Utilizzando un canale di comunicazione estremamente creativo, trasferiscono le proprie emozioni, per lo più dolorose, fuori da se stessi e gli danno forma. Vengono espresse, messe alla luce. Buttate via, colorate e infine rese eterne.

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In qualche modo l’artista si fa alchimista e – generalmente – trasmuta il proprio dolore in un’opera d’arte, ma non solo, le dà vita e poi diventa immortale. E mentre il dolore non ha alcun valore, l’opera d’arte invece ha un prezzo di mercato che può salire o scendere. Una startup che consente agli artisti di creare modelli di intelligenza artificiale generativa basata sul loro stesso lavoro ha raccolto circa 3,4 milioni di sterline in un round di finanziamento iniziale.

Exactly.ai, con sede a Londra, si propone di fornire strumenti di generazione d’arte utilizzando algoritmi di intelligenza artificiale “etica” per supportare gli artisti nella crescita della loro carriera. Gli utenti registrati possono creare il proprio modello di generazione di immagini, addestrato sul loro lavoro. L’idea è che gli artisti carichino quanti più esempi possibili della loro arte sul modello, che potrà poi essere utilizzato per generare immagini nel loro stile originale. Si tratta di un’AI che non solo li assiste, ma che offre anche spunti creativi, producendo opere originali. I modelli creati utilizzando la piattaforma sono formati esclusivamente dai dati forniti dall’artista, il quale possiede i diritti su qualsiasi immagine successiva generata dal modello. Questo perché la macchina è stata “trainata” con i suoi dati. Inoltre, Exactly.ai ha anche una biblioteca pubblica di modelli che, a suo dire, incoraggerebbe la cooperazione tra gli artisti. È una notizia positiva, no?

SCENARI POSSIBILI

L’artista Del Walker, sul suo account X, afferma che farsi assistere dall’AI in una campagna di marketing equivale a indossare una borsa Chanel ovviamente falsa. Diciamo che la pensa diversamente. Gli esperti di AI nel cinema ci chiedono invece di fare lo sforzo di immaginare di avere un’AI in grado di generare un film con attori, trama e location specifici, il tutto personalizzato in base alle nostre preferenze personali. Uno scenario del genere consentirebbe alle persone di creare i propri film da zero per la visione personale, eliminando completamente la necessità di attori e dell’intero settore delle riprese. l regista Marvel, Joe Russo, ha condiviso questa visione in un’intervista: «Immagina di tornare a casa e utilizzare l’intelligenza artificiale sulla tua piattaforma di streaming. Potresti dirle qualcosa come: “Ehi, voglio un film con il mio avatar (realizzato a partire da una mia immagine) e l’avatar di Marilyn Monroe (realizzato con la massima fedeltà possibile). Voglio che sia una commedia romantica perché ho avuto una giornata difficile…”. L’AI creerebbe quindi una storia molto accurata, con dialoghi che imitano la tua voce, e all’improvviso avresti una commedia romantica di 90 minuti con te come protagonista insieme alla tua attrice preferita».

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IL POTERE DELL’IMMAGINAZIONE

Picasso diceva che tutto ciò che possiamo immaginare è vero. In questo caso, è molto possibile che la prossima generazione di strumenti di intelligenza artificiale ci faccia fare un salto anche a questo livello. Piacerà agli spettatori? E qualora fosse così, cosa accadrebbe all’industria cinematografica? Per fare un esempio, nei soli Stati Uniti, l’industria cinematografica ha contribuito all’economia con oltre 41 miliardi di dollari nel 2019 e ha impiegato oltre 2,5 milioni di persone. Man mano che emerge l’impatto dell’intelligenza artificiale generativa, il mondo dell’arte si troverebbe così in un territorio complesso e ambiguo. Il potere democratizzante dell’arte – ogni artista può farsi aiutare dagli algoritmi – e il ruolo delle istituzioni artistiche nel condividere quell’arte verranno messi in discussione poiché gli strumenti necessari per prosperare nell’era digitale diventeranno man mano più complessi.

Non solo, esiste il rischio che un’intera industria venga trasformata, legandosi a un concetto strettamente evoluzionistico in cui solo pochi artisti potrebbero ottenere un vantaggio competitivo. In altre parole, solo coloro che hanno accesso alle tecnologie più avanzate potrebbero beneficiare di questa trasformazione. In diversi forum legati al mondo dell’arte, molti scrittori esprimono le loro preoccupazioni e si chiedono se convenga continuare a investire in questo campo, temendo che un giorno l’AI possa replicare il loro talento. Numerosi messaggi riflettono queste ansie, mettendo in dubbio il futuro della loro stessa professione.

L’ANSIA FA BENE AL BUSINESS

Se ho paura di essere scavalcato, allora non solo devo formarmi, devo anche acquistare una tecnologia che mi aiuti a sopravvivere. Quindi, devo pagare un prezzo. Così, alcuni artisti famosi hanno iniziato a sottovalutare l’impatto dirompente che può avere l’AI nel loro settore, considerandola come una mossa di marketing. Il futuro dell’arte e dell’intrattenimento potrebbe trasformarsi in un luogo dove gli individui chiederanno alla propria intelligenza artificiale di generare musica, film o libri sulla base di un semplice suggerimento e alla velocità di un click, elaborando preferenze e dati raccolti dall’AI stessa. Se un giorno questo scenario diventasse la norma, le industrie creative, come hanno fatto per oltre un secolo, si adatterebbero di conseguenza.

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«La storia dell’industria creativa professionale è caratterizzata dalla competizione: la TV compete con i film, che a loro volta competono con la radio» – spiega Lev Manovich, artista che utilizza l’AI e teorico della cultura digitale, in un’intervista per Vox. «L’industria si concentrerà maggiormente sugli eventi dal vivo, e la performance umana diventerà ancora più preziosa. Se le macchine possono creare media di livello hollywoodiano, l’industria dovrà offrire qualcos’altro. Alcune persone potrebbero perdere il lavoro, ma verranno create nuove professioni».

Senza offesa per gli innovatori, ma sto ancora dalla parte degli artisti e dei puristi. All’inizio ho citato Artaud, ora mi rifaccio a Jackson Pollock: «L’arte è ovunque tu abbia il coraggio di guardare». A questo punto, non siamo anche noi un po’ artisti? Il data scientist, lo sviluppatore e il programmatore di nuove strutture di AI?

Qual è il confine tra l’arte e la scienza? Le emozioni? Perché se fosse così, una macchina non può percepire dolore e neppure piacere. Può solo replicare continuamente la storia emotiva o artistica di tutti noi, trasferendola, ma senza poterla davvero creare da zero. Almeno oggi è così. Poi, chissà. Ma non sarebbe scienza, quanto piuttosto fantascienza.