Dal 2022, anno di lancio di ChatGPT, l’intelligenza artificiale è diventato il tema predominante anche al di fuori degli eventi di settore e delle big tech. A distanza di quasi due anni, siamo stati contagiati dalla febbre da IA (o AI, all’inglese) e non ci stupiamo più di scoprire nuovi prodotti “AI-powered”.
Questa diffusione massiva è stata accompagnata da curiosità, aspettative e paure, e, oggi più che mai, alimenta dibattiti che abbracciano diverse aree di competenza, specie di natura umanistica. Infatti, all’alba di ogni grande rivoluzione riemergono i sempreverdi antagonismi tra uomo e tecnologia («l’AI ci ruberà il lavoro!»). A mio avviso, l’intelligenza (artificiale) è oggi sopravvalutata, specialmente quando viene rappresentata come la bacchetta magica che risolverà tutti i nostri problemi o, al contrario, la novità che distruggerà il mondo del lavoro. Da una parte c’è un fraintendimento terminologico: troppo spesso si usa il termine AI per parlare di AI generativa e di algoritmi di machine learning. Dall’altra, viene dedicato troppo tempo a comparare le prestazioni uomo vs. macchina anziché riflettere su come integrarle sinergicamente. Entrambe le parti hanno infatti dei limiti e delle qualità che, messi a sistema, consentirebbero di indirizzare casi d’uso innovativi difficilmente affrontabili senza questa forma di cooperazione.
È dunque necessario trovare il giusto ruolo a questa tecnologia. Alcune preziose indicazioni arrivano dai confronti con i CIO delle principali organizzazioni italiane e da indagini come “Lo stato dell’AI nel 2024” che ha coinvolto 1.300 leader IT in tutto il mondo. Queste figure, oramai diventate veri motori del cambiamento, ci hanno mostrato un approccio interessato e razionale. Per esempio, le loro aspettative sono incentrate sulla capacità di sviluppare e distribuire software migliore e più sicuro (93%), rispondere più rapidamente agli incidenti (89%), gestire gli ambienti IT con un approccio proattivo (88%) e democratizzare l’accesso ai dati (88%). È proprio sui dati che verteranno buona parte degli investimenti nei prossimi 12 mesi: automatizzazione dell’analisi per gestire la crescita dei dati su osservabilità, sicurezza ed eventi di business (81%), generazione di insight (73%) e implementazione di pratiche self-service per permettere ai non esperti di ottenere le risposte di cui hanno bisogno (73%). Parlando di casi d’uso, l’88% dei leader intervistati ritiene che l’AI consentirà di ottimizzare i costi del cloud supportando pratiche di FinOps (scenario da noi sperimentato con successo). L’83% di loro afferma che l’AI è diventata obbligatoria per stare al passo con la natura dinamica dei moderni ambienti ibridi e multicloud.
Queste statistiche coincidono con quanto riportato dai clienti Dynatrace in tutti i settori di attività che da ormai dieci anni utilizzano l’intelligenza artificiale causale e predittiva per offrire servizi impeccabili. Ottimismo e aspettative dovranno essere bilanciati con la consapevolezza che un uso improprio dell’AI, specialmente quella generativa, comporta diversi rischi oggi all’attenzione di CIO, CAIO (chief ai officer) e comitati interni appositamente istituiti. Le possibili ricadute travalicano il perimetro dell’IT e coinvolgono aspetti organizzativi, legali e di sicurezza.
Tra i rischi che destano maggiore preoccupazione troviamo lo sviluppo di pregiudizi e forme di disinformazione non intenzionali (98%) o la perdita di dati e l’uso improprio della proprietà intellettuale (95%) – rischi ridimensionabili affiancando altri tipi di IA a quella generativa. Un aggiornamento delle competenze sarà cruciale nel formare coloro che dovranno utilizzare e supervisionare questi nuovi strumenti. Siamo dunque pronti per cogliere le opportunità offerte da questa tecnologia? Io credo di sì, a patto di non sovrastimarla o di assegnarle un ruolo che non le appartiene.
Emanuele Cagnola RVP, Italy di Dynatrace