Il caso VMware (Broadcom), una nuvola troppo rigida?

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La radicale revisione dei modelli di licensing delle tecnologie di virtualizzazione VMware, annunciata dal nuovo proprietario Broadcom, sta seminando il panico per l’impatto che questi cambiamenti potrebbero avere sui costi di accesso al cloud e sulle strategie IT di imprese e organizzazioni.

Le preoccupazioni sono alte soprattutto in Europa dove a lanciare l’allarme troviamo tanto i CIO, per la parte riguardante il cloud privato, come gli operatori del cloud pubblico. Il 28 marzo, quattro associazioni europee in rappresentanza dei CIO di Francia, Germania, Olanda e Belgio (rispettivamente Cigref, VOICE e.V, CIO Platform), hanno rivolto a Ursula von der Leyen e alla Commissione europea una accorata lettera aperta. Nell’appello, le associazioni lamentano, oltre al possibile aumento dei costi, una intollerabile situazione di lock-in in cui si troverebbero tante aziende europee, costrette a dipendere dall’umore e dalle ambizioni di un fornitore che può vantare, insieme a una base installata quasi monopolistica, una forza contrattuale difficile da contrastare.

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La lettera invoca da parte della Commissione una rinnovata azione politica mirata a rivedere e ampliare lo “scope” del Digital Markets Act del 2022. I risvolti della clamorosa acquisizione di VMware, perfezionata nel novembre dell’anno scorso e approvata dagli organi regolatori della concorrenza, non turbano solo il sonno dei CIO. Il CISPE, Cloud Infrastructure Services Providers in Europe, in un comunicato che precede di poco la lettera aperta, interviene a caldo sugli annunci Broadcom, osservando che “oltre a infliggere un pesante danno finanziario all’intera digital economy europea”, queste decisioni rischiano di “decimare il settore delle infrastrutture cloud indipendenti europee, riducendo le possibilità di scelta dei clienti”.

Anche i cloud service provider invitano l’antitrust a far leva sul Digital Markets Act per tutelare il contesto europeo da una strategia commerciale giudicata troppo aggressiva. Che cosa è successo in sostanza? Nel primo trimestre del 2024, Broadcom, che per acquistare VMware da Dell-EMC ha speso 69 miliardi di dollari e 18 mesi di trattative e verifiche, annuncia l’intenzione di rivedere le regole e il numero di contratti di partnership e di passare dal modello della licenza “perpetua” a quello del canone di abbonamento. Il 15 aprile, mentre i portavoce dell’Unione europea fanno sapere che l’antitrust ha già chiesto chiarimenti, il CEO di Broadcom Hock Tan interviene per rassicurare partner e clienti e annunciare un pricing ancora più conveniente dei famosi canoni di abbonamento. Il nuovo modello non deve far paura – scrive Tan – ribadendo che la sua adozione era già stata decisa molto prima dell’acquisizione. Caso chiuso? Per niente. Poco dopo, il CISPE ritorna sulla questione, scrivendo che i prezzi bassi sono solo un pannicello caldo. Il modello a subscription non è mai stato il problema: sono le condizioni generali di queste licenze a vincolare (lock-in) in modo inaccettabile i partner e gli utenti finali. “I canoni dovrebbero essere flessibili, “pay as you go”. I nuovi termini di Broadcom sono l’opposto e costringono chi li sottoscrive a impegnarsi oggi per una capacità di virtualizzazione di cui potrebbe non aver necessità in futuro”.

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Difficile prevedere come evolverà questo braccio di ferro (anche se un certo pessimismo appare giustificato). Ma come osservano i CIO europei nella lettera, è arrivato il momento – per l’Unione e i suoi stati membri – di ragionare a fondo sull’importanza dell’economia digitale basata sulla virtualizzazione delle risorse hardware e sui possibili effetti di natura geopolitica oltre che economica delle nuove regole di accesso a una tecnologia proprietaria così diffusa.