Come decodificare l’AI-Washing. Guida pratica per i CIO

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Le startup che si dichiarano attive nell’intelligenza artificiale sono più attrattive. Tra sopravvalutazione e rischio bolla, le false promesse sull’AI confondono le imprese e minano la fiducia degli investitori

Ero davvero giovanissimo negli anni delle Dot-com, ma non posso non dimenticare l’ondata di euforia e innovazione che portava quel periodo. Prima i nerd non andavano tanto di moda. Anzi, erano davvero isolati e si riunivano in piccolissimi gruppi, non cercavano e non venivano ricercati dagli altri. Si nutrivano di codice. Di un panino e di tanta, forse troppa, curiosità. Mi capitava di dormire tre o quattro ore a notte in determinati periodi, questo perché Internet costava un botto e avevo trovato il modo di connettermi utilizzando un numero verde. Ma la linea era quasi sempre occupata e bisognava attendere di entrare nelle ore in cui, più o meno tutti, dormivano. Appena il suono del modem cominciava a prendere vita, percepivo un’intensa euforia e tutto da lì a poco sarebbe cambiato. Utilizzando il numero verde navigavo gratis, ma avevo l’unica noia di dover installare un piccolo banner che mi mostrava delle pubblicità. Se ogni tanto non cliccavo sul banner il software mi buttava fuori e non avrei potuto più interagire con il mondo.

Anche se il mondo in quel periodo, quello di internet intendiamoci, era davvero piccolo. Piccolo, anarchico e ricco di opportunità. Potevi guadagnare bene vendendo pubblicità online e promuovendo centinaia di referral. Alcuni aprivano un sito, scrivevano un po’ di contenuti e lasciavano che qualcuno ci entrasse. Altri guadagnavano ricevendo sms pubblicitari. Così dicevano. Perché in verità io non ho mai guadagnato nulla usando quel sistema. In ogni caso, sembrava che tutti potessero diventare ricchi: qualsiasi azienda tecnologica che avessi acquistato in quel periodo avrebbe rapidamente fatto boom. Il digitale non solo stava catturando l’attenzione dei nerd come noi, ma presto avrebbe avuto un impatto dirompente su tutti gli esseri umani.

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MA È ANDATA DAVVERO COSÌ?

In buona parte sì, ma prima scoppiò la bolla. Solo pochissime aziende rimasero in vita, tra cui le Big Tech di oggi. «Se si evita l’esaltazione, la depressione non affiora». Diceva Alexander Lowen, il padre dell’analisi bioenergetica. Come non essere d’accordo. Secondo MMC, una società di venture capital con sede a Londra, le startup che si dichiarano attive nell’intelligenza artificiale attirano dal 15 al ​​50 per cento in più di investimenti rispetto alle altre aziende tecnologiche. «Abbiamo esaminato ogni azienda, i suoi materiali, i suoi prodotti, il sito Web e i documenti sui prodotti» – spiega David Kelnar, capo della ricerca di MMC, che gestisce 300 milioni di sterline (400 milioni di dollari) e un portafoglio di 34 aziende. «Nel 40 per cento dei casi, tuttavia, non abbiamo trovato alcuna prova che ci sia effettivamente intelligenza artificiale». In questi casi – aggiunge Kelnar – «le aziende che la gente presume e pensano siano aziende di intelligenza artificiale probabilmente non lo sono».

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I paesi che hanno pubblicato il maggior numero di brevetti sull’intelligenza artificiale includono tradizionalmente Stati Uniti, Cina, Giappone e alcuni paesi europei come Germania e Regno Unito. Tuttavia, l’elenco potrebbe variare nel tempo in base agli investimenti, alla ricerca e allo sviluppo in corso in diversi paesi. I brevetti sono importanti perché proteggono gli investimenti, incentivano la ricerca e lo sviluppo, facilitano lo scambio di tecnologie e riducono il rischio di contenzioso legale, contribuendo così a promuovere l’innovazione e lo sviluppo tecnologico. Nella maggior parte dei casi si dimostra che la startup ha competenze e una tecnologia rilevante, in questo modo gli investitori si fidano maggiormente e aziende più grandi spesso acquistano la startup per acquisire lo stesso brevetto. Ma di questo specifico argomento ci occuperemo in un articolo successivo. Non mi interessa tanto discutere se siamo arrivati alla fine dell’hype sull’intelligenza artificiale o se siamo più vicini allo scoppio di una bolla. In questo momento, vorrei approfondire il fenomeno noto come AI-Washing.

SI FA PRESTO A DIRE “INTELLIGENTE”

Proprio negli ultimi tempi, sono aumentate le preoccupazioni da parte dei non addetti ai lavori e mi capita spesso di dover rispondere a domande sull’AI senziente e sulla possibilità che possa sostituire – a questo punto – interamente l’essere umano. Il fatto che non conosciamo ancora bene come funziona il nostro cervello dovrebbe lasciarci tranquilli, quindi, il più delle volte classifico un “topic” del genere sotto la voce “narrativa”. E così come vengono costruite “narrative” sull’AI in generale, lo stesso succede per le startup o società in generale. I dipartimenti di marketing fanno a gara per definire le loro società altamente innovative e sempre più “potenziate” dall’intelligenza artificiale.

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In poche parole, l’AI-Washing nasce proprio dall’esigenza di definire un prodotto o servizio per farlo sembrare più sofisticato, innovativo o “intelligente” di quanto non sia nella realtà. In sintesi, viene modificata quasi interamente la comunicazione rispetto alla tecnologia sottostante e vengono sopravvalutati interi processi. Per esempio, viene dichiarato che i propri modelli e algoritmi di intelligenza artificiale siano più potenti, utili o flessibili di quanto non lo siano in realtà. Inoltre, il termine “intelligente” viene utilizzato in modo fuorviante quando, in realtà, il software non utilizza algoritmi in grado di apprendere e prendere decisioni senza essere programmato su come farlo. Nella maggior parte dei casi, vengono date definizioni molto vaghe, senza spiegare specificamente quali elementi sono “intelligenti” e quali si basano su metodologie software tradizionali o input umani.

IL LEGAME TRA LE CRYPTO E L’AI-WASHING

Mi sembra di vedere un comportamento simile a quello delle criptovalute. Attualmente, esistono migliaia di criptovalute, ma agli inizi esisteva solo il Bitcoin. Dopo qualche mese, erano poche decine. Ma cavalcando dell’entusiasmo crescente per il prezzo del Bitcoin e per le tecnologie emergenti legate alla blockchain, molte altre criptovalute sono spuntate improvvisamente come funghi. E oggi, quanto valgono? La maggior parte – e stiamo parlando di quasi il 95% – sono di fatto dei progetti finanziari o pseudo tali, letteralmente falliti. Ma qual è il collegamento con l’AI-Washing? Perché alla base si tratta dello stesso problema: la fiducia degli investitori che viene minata, con tutte le conseguenze che questo comporta nel lungo termine. Quali soluzioni potrebbero essere adottate per salvaguardare questa fiducia, aiutando i CIO a selezionare e implementare tecnologie AI affidabili e trasparenti? La prima potrebbe consistere nell’obbligare le società che si dichiarano attive nel campo dell’intelligenza artificiale a essere trasparenti e a divulgare accuratamente le reali capacità dei loro prodotti basati sull’AI, evitando così di esagerare o creare aspettative irrealistiche. Questo obbligo si andrebbe a integrare con le regole già esistenti in tema di pubblicità ingannevole. Dal punto di vista degli investitori, sarebbe utile valutare attentamente il team scientifico, la presenza di eventuali brevetti sulla tecnologia e condurre una serie di test approfonditi sul prodotto. Infine, potrebbe essere interessante riflettere sulla possibilità, in un prossimo futuro, di creare società specializzate nella valutazione e l’affidabilità delle prestazioni dei sistemi basati sull’intelligenza artificiale, simili a quelle già esistenti nel settore del rating finanziario.

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MA COSA CI DICE LA STORIA?

Secondo Joseph Schumpeter, noto per la sua teoria dell’innovazione e del progresso economico, le bolle finanziarie possono creare un ambiente in cui vengono allocate risorse finanziarie a imprese e progetti più rischiosi, ma anche più innovativi. Queste imprese innovative, che altrimenti lotterebbero per ottenere finanziamenti in periodi meno speculativi, possono trarre beneficio dal flusso di investimenti durante le bolle. Anche se molte di queste imprese possono fallire quando la bolla scoppia, quelle che sopravvivono possono portare avanti nuove idee e tecnologie, contribuendo così all’innovazione e al progresso economico a lungo termine. Le AI, di qualsiasi forma siano, vengono addestrate dalla storia. Dalla nostra. E la storia non fa che continuare a ripetere se stessa. Con tutti gli errori ma anche i progressi. E con un unico fine. L’evoluzione.