Innovazione e controllo in banca. L’automazione dal volto umano

La centralità della relazione con il cliente, l’approccio integrato all’automazione e le sfide della trasformazione digitale. Con la partecipazione di Banca Popolare di Sondrio, BVA Doxa, CY4GATE, Credem Banca, Gruppo BCC Iccrea, Nexi Group, Sopra Steria e Sparkasse – Cassa di Risparmio di Bolzano

Anche nel Banking la parola d’ordine è automazione. Nella gestione delle infrastrutture per un più rapido provisioning dei nuovi servizi, e una sempre maggior certezza di sicurezza e business continuity e una capacità di pronto intervento (come del resto imposto anche dalle normative e dagli organismi di controllo). Nell’esecuzione dei processi per snellire e accelerare le pratiche di on-boarding, ridurre i costi della gestione del cliente, liberare preziose risorse da focalizzare sul miglioramento dei processi stessi e sull’innovazione. Che ruolo avrà l’intelligenza artificiale in questa ricerca di automazione? E quali possono essere gli aspetti problematici di quella che promette di essere una seconda rivoluzione “robotica” che impatta non sui processi manifatturieri bensì sui lavoratori della conoscenza? Dalla Robotic Process Automation ai sistemi esperti, dal machine/deep learning agli attuali modelli in linguaggio naturale dell’AI generativa, in ambito finanziario e assicurativo l’automazione può essere una chiave importante di affiancamento del decisore umano, a ogni livello.

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La tavola rotonda di Data Manager coinvolge gli attori del settore finanziario impegnati nell’implementazione di progetti di automazione in diversi ambiti, che vanno dal data center al back-office, coprendo la gestione di varie procedure, il governo e l’analisi dei dati, fino alla sicurezza informatica e al controllo anti-frode. Includendo anche la gestione della complessa relazione con il mercato attraverso la multicanalità, nonché le attività di marketing e di educazione del cliente. Nel corso della discussione sono stati affrontati i progetti in atto in materia di automazione e AI di nuova generazione: le strategie, le scelte tecnologiche e le misure organizzative sia dal punto di vista dell’azione e del lavoro interno alle organizzazioni, sia della relazione con il mercato. Durante il confronto, sono state esaminate approfonditamente le sfide riguardanti il governo e la sicurezza dell’informazione, nonché la relazione con lo sviluppo e l’adozione delle nuove tecnologie. Particolare enfasi è stata posta sul rispetto delle normative e sul rapporto con gli enti di regolamentazione, i quali, con l’avvento delle nuove forme di intelligenza artificiale generativa, si troveranno a ridefinire un quadro legislativo adeguato alle nuove dinamiche della collaborazione uomo-macchina sia a livello nazionale che europeo.

SPINTE DEMOGRAFICHE

Con il ritorno dell’IT al centro dell’attenzione nel mondo finanziario, la tavola rotonda di Data Manager si è avvalsa del prezioso contributo di un analista di mercato che ha arricchito il dibattito con prospettive aggiornate e approfondimenti di rilievo. Si tratta di Simone Pizzoglio, head of BU Banking Finance & Utilities di BVA Doxa, che ha valorizzato il tavolo tecnico con una analisi frutto delle ricerche di BVA Doxa sui consumatori di servizi bancari. Dai dati presentati emerge che l’automazione riveste un ruolo di crescente importanza per le persone, soprattutto considerando i cambiamenti demografici che hanno portato a una carenza diffusa di una risorsa fondamentale e intrinsecamente limitata: il tempo. «Ricordiamo che secondo Istat, in Italia abbiamo quasi dieci milioni di persone che vivono in famiglie monocomponente, un numero tanto più significativo se si considera che in passato si trattava di una percentuale molto ridotta delle famiglie italiane, rappresentato soprattutto da vedove di età superiore ai 50 anni».

Simone Pizzoglio, head of BU Banking Finance & Utilities di BVA Doxa

Tra i 25 milioni di famiglie italiane, quasi la metà è formata da un’unica persona che necessita di servizi facilmente accessibili e rapidamente disponibili. Senza la possibilità di distribuire equamente le responsabilità tra i membri della famiglia, chi si trova in questa situazione rischia di subire gravi conseguenze sul fronte della gestione del tempo. «L’impatto del calo demografico sarà asimmetrico rispetto all’accessibilità dei servizi perché la digitalizzazione non riguarda tutti e allo stesso modo: non tutti sono “skillati” in misura eguale attraverso lo spettro delle generazioni» – spiega Pizzoglio. Questa asimmetria si ripercuote anche sull’aspetto organizzativo interno, quando si parla di trasformazione digitale del lavoro, per effetto di un altro fattore demografico: l’allungamento della vita e dell’età pensionabile. «Per la prima volta abbiamo a che fare con la presenza di almeno cinque generazioni lavorativamente impegnate» – continua l’esperto di BVA Doxa. «Ma non tutte possono avere lo stesso rapporto con l’automazione». Questo significa che il fattore demografico deve fungere da leva per l’automazione per venire incontro ai consumatori di servizi che non possono permettersi il lusso di perdere troppo tempo nelle code allo sportello o sugli stessi portarli di home banking. Di contro gli uffici che devono abilitare i necessari livelli di automazione devono anche tener conto delle differenze che riguardano il collaboratore della banca nel momento in cui il suo lavoro viene automatizzato.

Un ultimo spunto di riflessione fornito da Simone Pizzoglio riguarda l’indagine che BVA Doxa ha realizzato in collaborazione con ABI Lab sulla clientela che ha relazioni bancarie con più di una istituzione finanziaria. «Nell’individuare la banca primaria, oltre un terzo dei clienti guarda alla qualità delle app e dell’internet banking come metro di giudizio. Questo dato ci fa capire che la user experience di questi strumenti è determinante. Curiosamente, rispetto alle percentuali di una ricerca mondiale del consorzio WIN (di cui BVA Doxa fa parte) il consumatore italiano è leggermente più ottimista su temi come la condivisione dei dati e la privacy». I livelli di fiducia sono insomma mediamente più elevati in Italia rispetto all’Europa o al resto del mondo, tuttavia, il 40% degli intervistati ha dichiarato di essere stato direttamente vittima di abusi di dati riservati o di tentativi di phishing.

Francesco Ortesta chief information and back office officer di Sparkasse – Cassa di Risparmio di Bolzano

DALLA PERSONA AL SISTEMA

La discussione si apre con l’intervento di Francesco Ortesta, chief information and back office officer di Sparkasse Cassa di Risparmio di Bolzano, che entra subito nel vivo della tematica con il racconto di quello che viene definito un vero e proprio cambio di paradigma. Come molte realtà, anche Sparkasse parte con le tipiche attività di robotizzazione di alcune componenti di processo (RPA) verso un contesto di digitalizzazione end-to-end. «Abbiamo trasformato radicalmente non solo l’approccio, ma l’intero processo» – afferma Ortesta. «Questo ci consente di eliminare le attività manuali ripetitive, riducendo i tempi di esecuzione, eliminando errori e concentrandoci su operazioni di maggior valore». Il responsabile della digitalizzazione del back-office di Sparkasse spiega che l’obiettivo è duplice. «Da un lato, si mira a elevare le competenze del personale, portandole a un livello più avanzato per una migliore governance e controllo. Dall’altro, queste competenze supportano l’organizzazione nel rendere i processi più snelli, veloci e allo stesso tempo più articolati».

Parlando di intelligenza artificiale e apprendimento automatico – spiega Ortesta – questi strumenti sono stati introdotti in modo significativo con l’obiettivo principale di facilitare la verifica dell’integrità delle procedure e di garantire l’assenza di errori. Grazie a questa automazione, alcuni controlli possono essere eseguiti preventivamente rispetto alle singole attività, consentendo un flusso di lavoro più fluido. «È un processo lungo e complesso che stiamo perseguendo per mantenere costantemente elevata la qualità dei servizi bancari e il nostro stretto legame con il territorio» – afferma Ortesta. «Aumentare la velocità del lavoro e sfruttare la digitalizzazione significa ampliare la gamma dei servizi accessibili ai clienti tramite le piattaforme online». Tra i vari esempi di questa progettualità, Ortesta menziona il ridisegno della parte operativa del front-end, dove Sparkasse sta integrando, in stretta collaborazione con Microsoft, le nuove opportunità offerte da Copilot. In futuro, l’istituto altoatesino vuole poter contare su un’unica piattaforma capace di servire il lato front-end e il lato back-end, con una forte semplificazione delle modalità di interazione. Altri progetti riguardano invece la digitalizzazione di tutta la contrattualistica, che viene seguita interamente “in casa”, con l’adozione di strumenti come la firma elettronica qualificata.

Matteo Pizzicoli responsabile digital HUB di Banca Popolare di Sondrio

INTERAZIONE DIGITALE POTENZIATA

Come Sparkasse, anche la Banca Popolare di Sondrio vanta una relazione molto forte con il suo territorio d’appartenenza. E questa relazione – spiega Matteo Pizzicoli, responsabile Digital HUB – rende ancora più centrale il ruolo della banca e dei suoi servizi. «Questa centralità non significa affatto che una realtà come Popolare Sondrio abbia meno bisogno di trasformazione digitale, anzi è l’esatto contrario». Tuttavia, è anche vero che in un momento di trend negativo che vede sempre più istituti decidere di tagliare il numero di collaboratori e di sportelli, l’istituto valtellinese non smette di assumere persone e inaugurare nuove filiali. «Naturalmente, ciò non deve farci dimenticare l’importanza dei servizi e l’eccellenza dei modelli di erogazione» – continua Pizzicoli. «Una tendenza altrettanto evidente è il netto spostamento verso i comportamenti digitali, che nel nostro caso si affiancano alla ricerca di un contatto diretto. Forse proprio perché, come evidenziato da BVA Doxa, i nuclei familiari si stanno riducendo, la banca rimane un punto di riferimento affidabile per fornire consigli preziosi su questioni cruciali come il risparmio e gli investimenti. Il valore della relazione diventa sempre più centrale e costituisce il punto di partenza per l’innovazione tecnologica».

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Il responsabile del Digital Hub di Popolare Sondrio non sottovaluta la complessità determinata dal moltiplicarsi delle modalità di ingaggio e dall’aggiunta di ulteriori strati tecnologici da gestire. «Non parliamo più solo di robotizzazione di processo, ma di interi motori di workflow, per non parlare del machine learning, dell’analisi, della rappresentazione dei dati. Tutti strati che vanno a sommarsi alla complessità di base già molto alta, con decine di migliaia di programmi per i diversi applicativi della banca e una grande varietà di stili e competenze delle persone nelle diverse aree». È una grande sfida di governance che Popolare Sondrio gestisce non accentrando in una singola struttura di back-office ma creando dei centri di competenza dislocati tra le diverse funzioni, prima ancora dei task eseguiti in un processo vengono trasferite delle relazioni con i clienti.

«Bisogna essere in grado di trasformare un processo lavorando con persone diverse che agiscono tra centri diversi: un lavoro di orchestrazione» – spiega Pizzicoli. Attualmente, Banca Popolare di Sondrio è fortemente concentrata su tutti i processi relativi alla vendita e all’assistenza post-vendita, specialmente per quanto riguarda i servizi a distanza. La banca sta promuovendo, ad esempio, la digitalizzazione delle firme, un’attività che in passato era fortemente incentrata sulla documentazione cartacea, con l’obiettivo di trasformazione che non sostituisce le strutture esistenti, ma piuttosto immagina nuove modalità di esecuzione.

Giuseppe Marceddu deputy director – divisione Servizi Finanziari di Sopra Steria Italia

CAPACITÀ DI AFFIANCAMENTO

Già in questa prima fase della tavola rotonda, Giuseppe Marceddu deputy director della divisione Servizi Finanziari di Sopra Steria Italia, riconosciuta come leader europeo tecnologico per la consulenza, i servizi digitali e lo sviluppo software, propone una prima sintesi. «Mi ha colpito il riferimento alle cinque generazioni di lavoratori che oggi sono spesso presenti all’interno di uno stesso ufficio» – commenta Marceddu. «Non posso fare a meno di pensare alle nuove forme di interazione con i servizi digitali e alle difficoltà che molti anziani possono incontrare anche solo per interrogare un albero vocale. Le banche con cui collaboriamo devono tener conto di questi fattori, così come dell’inevitabile spinta verso i clienti della generazione Z».

È istruttivo ascoltare e confrontare l’esperienza di istituzioni così territoriali e i loro obiettivi di valorizzazione del senso di prossimità di una banca che deve contemporaneamente trasferire parte della sua operatività su canali esclusivamente digitali. «Il consiglio – sottolinea l’esperto di Sopra Steria – è quello di avere un approccio intergenerazionale venendo incontro, da un lato, ai clienti più giovani, senza perdere l’opportunità di interfacciarsi con le generazioni più anziane che spesso controllano i capitali familiari». Nell’esperienza vissuta sul campo, Marceddu conferma che quella che un tempo era un’automazione molto focalizzata in un’ottica di semplice sostituzione di attività puramente manuali, ora cede il passo a progetti molto più diversificati, che includono gli aspetti della sicurezza e della gestione dei rischi. Una progettualità che sembra avere un altro importante filo conduttore: l’automazione e la condivisione di una conoscenza che altrimenti rimarrebbe concentrata nelle mani di pochi. Immerso nel mondo dei servizi bancari anche se in posizione intermedia e comunque “terza” rispetto alla relazione che le banche hanno con i loro correntisti, intorno a questo tavolo di discussione sulla trasformazione digitale, Nexi ha un ruolo molto particolare: quello di essere portavoce – in senso B2B e più in generale verso un ampio mercato finale – delle nuove opportunità legate al pagamento elettronico. Non a caso si definisce una “paytech”. Il brand, relativamente recente, designa la fusione nel 2017 tra CartaSi e ICBPI (Istituto Centrale Banche Popolari Italiane), e cresce come Gruppo con l’incorporazione di SIA in Italia (2021) e successivamente (2022) con la fusione con NETS (consorzio di servizio originario di Danimarca e Norvegia). Fino a diventare una realtà europea presente in più di 25 nazioni. Nicola Vicino, head of Strategy di Nexi Group non è una figura tecnica ma ha la responsabilità di coordinare le strategie di innovazione dell’intero gruppo. «Per noi la tematica dell’intelligenza artificiale è molto importante. Abbiamo investito molto, partendo da temi come il machine learning e l’advanced analytics su diverse aree come ad esempio le attività che vengono portate avanti contro il fenomeno delle frodi. Oggi, siamo arrivati a modelli e algoritmi dove moltissime cose sono completamente automatizzate» – spiega Vicino.

Nicola Vicino head of Strategy di Nexi Group

CAMBIO DI PASSO

A questo proposito va segnalato il cambio di passo determinato dall’arrivo dell’AI generativa che può trovare posto anche nello sviluppo del software. «Il pagamento elettronico in fin dei conti è un software che può essere ottimizzato e l’AI generativa può diventare un modo per aumentare la produttività dei programmatori con tool di autocompletamento del codice. In un contesto come questo, pensiamo di portare a scala le sperimentazioni in corso» – osserva Vicino. Anche il tema della produttività generale comincia a essere affrontato, con l’introduzione di strumenti, sempre del mondo Microsoft, per la trascrizione dei meeting e la stesura di riassunti. «L’organizzazione del lavoro è in due fasi» – continua Vicino. «A livello di gruppo in dieci nazioni in Europa è in funzione una attività di selezione e coordinamento di progetti pilota la cui ownership rimane appannaggio dei vari team nazionali. Nella fase più tecnologica della realizzazione, lo sviluppo di codice viene affidato alle varie aree coinvolte, per esempio le già citate operations per gli assistenti digitali. Tutto intorno – precisa Vicino – c’è un esercizio di coordinamento, con qualche sovrapposizione nel caso di tool che possono essere utilizzati da diversi dipartimenti. Abbiamo istituito meccanismi centralizzati anche per contenere il fenomeno della cosiddetta shadow IT, per cui chi vuole utilizzare un software innovativo è tenuto a compilare un questionario di cybersecurity».

Con Marco Salvatore Distefano, head of Countinous improvement and Innovation – head of Project portfolio and demand management di Gruppo BCC Iccrea – la discussione torna a virare verso gli aspetti tecnici di una trasformazione che insiste sull’operatività di un gruppo relativamente giovane come costituzione del brand (nato in effetti nel 2022), ma con una tradizione lunga 130 anni e fortemente radicata tra le imprese dei vari territori. Una trasformazione che secondo Distefano ricalca molto, nelle sue necessità di industrializzazione, la vocazione di un istituto che tradizionalmente serve molte realtà manifatturiere. «Il nostro mondo dei servizi non è poi così distante» – rileva Distefano. «Ci sono processi che partono da un semilavorato e vengono man mano rifiniti fino ad arrivare al cliente. Uno dei beni più preziosi e di grande deperibilità è il tempo, ed è quello che vogliamo ottimizzare il più possibile. Anche noi crediamo molto nel valore delle persone e vogliamo liberare tempo, in modo che questa risorsa possa essere impegnata nelle relazioni che sono difficili da automatizzare».

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L’azione in BCC si articola attraverso tre pilastri: una metodologia che aggredisce i processi end-to-end e precede in un certo senso la tecnologia. Un framework o ecosistema tecnologico di strumenti di business process management – ispirato al bisogno di efficientare le varie “stazioni” di un processo con sistemi in grado di accelerare la produttività individuale – e la gestione del dato, perché molto tempo viene sprecato per analizzare dati che non rappresentano un valore aggiunto. In altre parole si mira ad automatizzare le attività manuali dando connotazione a forme di robotizzazione che non digitalizzano – come osservava inizialmente Ortesta di Sparkasse – un processo nella sua integrità, ma solo il “pezzo” che serve, lasciando spazio alla parte cognitiva dove invece si colloca la cosiddetta intelligence automation, quella che ha ricevuto un boost dall’AI generativa. «Quest’ultima – spiega Distefano – è una tecnologia di tipo probabilistico, non deterministico ed è utile come supporto e non come sostituzione».

Marco Salvatore Distefano head of Countinous improvement and Innovation – head of Project portfolio and demand management di Gruppo BCC Iccrea

LO SCHEMA PER LA TRASFORMAZIONE

Tra gli esempi di applicazione di questo framework all’interno di Iccrea c’è sicuramente la compliance normativa. «In questo caso – continua Distefano l’automazione è stata implementata in modo completo attraverso una singola funzione centralizzata per tutte le banche, portando numerosi benefici in termini di velocità ed efficienza. Anche noi possiamo annoverare applicazioni che riguardano la gestione delle frodi, il back-office e non solo, messe a punto con un sistema che funziona molto bene e si inserisce nel terzo pilastro del modello organizzativo». In questo modello, sono previste figure che operano in diversi stadi dei processi, insieme a figure legate all’IT, due elementi che devono essere integrati e coesistere nell’architettura informatica finale. Secondo Distefano, entrambi devono contribuire: «I professionisti IT nelle decisioni relative ai processi “nuovi”, mentre quelli funzionali sono fondamentali per implementare l’automazione».

Il modello di “trasformazione” immaginato da Credem tende in particolare a valorizzare l’autonomia, l’intraprendenza e la fiducia appoggiandosi a un modello organizzativo fondato sulle metodologie/filosofie Agile, Lean e Teal, dove assume un ruolo importante il tema delle competenze interne, un asset sul quale il gruppo bancario emiliano ha voluto porre l’accento, a cominciare dalle prime sperimentazioni di quello che il competence leader dell’Automation Center Stefano Bevivino chiama – «garage». Da queste sperimentazioni, nate nelle operations di un back-office centralizzato – un bacino troppo ghiotto per non riversare al suo interno ampie dosi di efficientamento, in primo luogo con l’RPA – si è subito capito la possibilità fare scale-up. Occorrevano competenze diversificate e per accedere a queste competenze si è deciso di costituire un centro dotato di figure eterogenee, incaricate di lavorare non secondo il tradizionale modello sequenziale (waterfall), ma seguendo una metodologia in grado di favorire l’autonomia e l’intraprendenza delle persone» – sottolinea Bevivino. Per cui ampio spazio allo sviluppo Agile come arma condivisa da un gruppo che se inizialmente aveva bisogno di interpreti e mediatori per conciliare i diversi linguaggi, grazie a questa metodologia ha saputo giocare come una squadra molto coesa, rispettando tempistiche di delivery molto rapide, resilienza al cambiamento e soddisfazione del cliente finale. Questo centro di automazione è stato creato al di fuori delle tradizionali aree tecniche ma – come rileva ancora Bevivino – con opportune regole sia interne, che calate dalle funzioni di controllo e dall’area IT. «Non siamo anarchici, soprattutto quando si tratta di regole architetturali, di sicurezza e compliance normativa, ma queste regole non sono state un ostacolo, bensì un perimetro di linee guida entro il quale ci siamo mossi autonomamente».

Credem inoltre ha voluto promuovere in modo molto esteso la formazione di una cultura del dato, e questo non solo all’interno della banca ma anche in altre società del gruppo. Le persone sono la catena di alimentazione dell’innovazione. «Ciò ha notevolmente rafforzato il senso di coesione. Abbiamo persino individuato aree di automazione all’interno dei vari dipartimenti, dove sono stati sviluppati nuovi percorsi di trasformazione. Questo approccio consentirà di creare spazi anche per tecnologie ancora in fase di sviluppo, come l’intelligenza artificiale».

Stefano Bevivino competence leader of Automation Center di Credem Banca

IL TERRENO DELLA COMPLIANCE

Parlando delle progettualità nate da questo contesto così autonomo, Bevivino spazia tra tutte le aree del business. Secondo il responsabile dell’Automation Center di Credem, oggi si possono contare oltre un centinaio di automazioni, alcune interfacciate anche con i servizi forniti o in ambito compliance. «Quest’ultima non viene considerata un freno, ma un partner insieme al quale evolvere e realizzare iniziative che motivano le persone e danno loro più tempo per relazionarsi con il cliente». Bevivino cita infine l’inizio di una prima fase di automazione “intelligente”, soprattutto in ambito legal o nella gestione dei reclami che spesso vengono raccolti nei formati più disparati e che possono essere digitalizzati e clusterizzati in base ai modelli AI sviluppati dentro a un ecosistema controllato.

Dai tanti esempi applicativi e organizzativi espressi nel corso del primo giro di discussione, Andrea Pompili, chief scientist officer di CY4GATE – vendor di cybersecurity nato nel 2014 da una costola di ELT Group proprio per portare nel mondo corporate le soluzioni di protezione sviluppate in 70 anni di esperienza sui mercati della Difesa e dell’Aerospazio – ricava una serie di lezioni importanti per la sicurezza dei dati e delle transazioni all’epoca dell’automazione smart. «Tutti i relatori – sintetizza Pompili – parlano di semplificazione a fronte di un aumento intrinseco della complessità. Si parla anche della drammatica carenza di tempo, accompagnata dall’esplosione dei dati. In questo scenario, i vecchi concetti di sicurezza degli anni 2000 – come cancelli e porte con serrature – risultano superati. Gli attacchi avvengono nel giro di pochi minuti dopo mesi di preparazione segreta. Cosa è cambiato? Nel mondo militare, oggi si preferisce parlare di cyber-resilienza piuttosto che di mera protezione. Bloccare alle porte un attaccante che, in un modo o nell’altro, finirà per penetrare non è sufficiente: è molto più importante comprendere dove e in quanto tempo posso intervenire per garantire che i dati, le infrastrutture, le applicazioni e i servizi non subiscano interruzioni una volta che la compromissione sia avvenuta». Azienda in grado con le sue tecnologie di mescolare gli aspetti della cybersecurity con quelli del supporto decisionale, CY4GATE invita a non focalizzarsi sulle proprie vulnerabilità, ma sulla comprensione dell’attaccante, dei suoi obiettivi e comportamenti, nonché sulla consapevolezza dei tentativi di attacco. «Si deve cercare di far leva su due concetti: threat hunting e reazione» – spiega Pompili. «Il concetto di threat hunting, ossia identificazione e contestualizzazione delle minacce in corso, supportata dall’AI ti aiuta a postulare l’attacco, validarlo e trasformare questa consapevolezza in esperienza da utilizzare per rispondere ancora meglio agli attacchi futuri».

Come per molte iniziative di automazione presentate a questa tavola rotonda, il concetto di fondo non è quello di sostituire il decisore umano, ma di liberarlo dalle attività troppo ripetitive e time-consuming per aiutarlo a interpretare correttamente i comportamenti degli attaccanti. E agire con cognizione di causa, riducendo al minimo blocchi e perdite di servizio. «Una reazione eccessiva a un evento di sicurezza non è la soluzione ottimale perché potrebbe arrivare alla semplice interruzione del servizio» – spiega Pompili. «È preferibile agire sull’automazione che va innestata nei processi di reazione per mitigare gli esiti degli attacchi. Per l’IT manager che decide di spegnere tutto in caso di anomalie o di rischi potenziali, il processo di cyber security non è mai un’opzione» – ironizza il chief scientist officer di CY4GATE. «Ma per il business, il server che smette di rispondere alle richieste dei clienti, è il primo segnale di un attacco andato a buon fine».

Andrea Pompili chief scientist officer di CY4GATE

IL DIGITALE COME CATALIZZATORE

Passando alla seconda parte della discussione, incentrata sulle sfide che ogni percorso di trasformazione e automazione digitale deve affrontare, Simone Pizzoglio torna sui risultati delle indagini di BVA Doxa, mettendo in luce il rapporto tra utenti finali e innovazione dei servizi. «Una delle ricerche – sottolinea l’esperto – ha indagato specificamente il problema delle frodi: chi ne è vittima prova un senso di rabbia e solitudine che può portare a cambiare istituto bancario, soprattutto se non percepisce la volontà reale di risolvere la situazione, ma sperimenta la mancanza di comunicazione costante e tempestiva». Pizzoglio aggiunge che ci sono servizi digitali che contribuiscono attivamente a risolvere i problemi dei processi. Un caso eclatante sono le formule “buy now, pay later” e di rateizzazione senza interessi, utilizzate nel commercio elettronico: ottimo esempio di digital onboarding capace di rendere il concetto di prestito molto meno “colpevolizzante”. Tuttavia, parlando di cambiamento di percezione – avverte il sociologo – è importante considerare che se è vero che i clienti che adottano i servizi digitali tendono a utilizzarli in modo sempre più ampio, allo stesso tempo, la percentuale degli italiani “bancarizzati” che agiscono in piena autonomia è ancora relativamente bassa. Non solo, la maggior parte ha addirittura aspettative ancora più elevate per quanto riguarda la relazione diretta con la banca. Questo suggerisce che il modello ibrido potrebbe essere quello vincente: una combinazione di servizi digitali che consentono di evitare il tradizionale sportello, integrati con una relazione ancora più forte.

In altre parole – sembra indicare l’esperto – il digitale agisce da catalizzatore di un servizio analogico più evoluto. Una commistione – conclude Pizzoglio – che si riscontra anche in settori non finanziari, come nel caso di Gucci che, per fare da intermediario tra i luoghi di produzione sparsi nel mondo e l’atelier fiorentino – dove i suoi artigiani creano i prototipi degli oggetti destinati alla produzione industriale – utilizza i digital twin, ovvero le repliche digitali. La stessa metodologia – interviene Andrea Pompili di CY4GATE – che viene utilizza per creare modelli virtuali rappresentativi delle infrastrutture IT, proprio per consentire una serie di vulnerability test e messe a punto senza dover bloccare la produzione della banca. «Il digitale impatta sulla nostra cultura di processo modificandola, ma non cancellandola» – afferma Pizzoglio di BVA Doxa. «Solo dieci anni fa, del resto, un dialogo come il nostro, tra un sociologo e un tavolo di esperti informatici, non sarebbe stato possibile».

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PERDITA DI COMPETENZA

Partendo da queste considerazioni, Francesco Ortesta di Sparkasse, ribadisce il forte legame che deve essere instaurato tra tecnologia e relazione. Legame che induce Cassa di Risparmio di Bolzano a rivedere il ruolo delle filiali fisiche che diventano luoghi della relazione sia per i dipendenti sia per i clienti, i quali si aspettano tempi di attesa e precisione “digitali”. In merito alle problematiche, Ortesta identifica quattro punti critici che possono emergere durante il processo di trasformazione. Innanzitutto, la difficoltà nel superare le consuetudini che ostacolano la revisione dei processi da modificare. L’altra sfida consiste nella perdita e diluizione delle competenze fondamentali a causa di eccessiva delega. Inoltre si osserva l’aumento dei rischi derivanti dalla diminuzione della capacità di controllo (questo aspetto diventa ancora più concreto quando l’automazione coinvolge importanti accordi di outsourcing).

Infine – Ortesta evidenzia – il timore generalizzato nei confronti del cambiamento, che può influire sul successo e sull’efficacia del processo di trasformazione. Come affrontare questi aspetti critici? Per affrontare questi aspetti critici, Sparkasse dedica considerevoli risorse alla formazione interna. Inoltre, si impegna nel costante coinvolgimento del personale attraverso una continua rotazione dei ruoli, consentendo così alle stesse persone di acquisire esperienza e competenze in diverse aree dell’azienda bancaria. «Questa rotazione delle competenze – spiega Ortesta – è cruciale per prevenire la frammentazione dei processi e garantire un approccio integrato e completo alla gestione della trasformazione digitale».

Secondo Matteo Pizzicoli di Banca Popolare di Sondrio, la metafora più efficace è quella dell’ircocervo. «Ci sarà sempre più bisogno di figure ibride, metà analisti di processo, metà sviluppatori. Spesso le ritrovo proprio nelle pieghe di quella che un tempo veniva chiamata, in chiave negativa, shadow IT. Mi fa piacere vedere che nel frattempo l’ibridazione delle competenze sia diventata un tema focale dell’organizzazione aziendale». Lo stesso modello di automazione in banca oggi è una miscela di operatività che nasce dal costante rapporto tra uomo e macchina. «In Popolare Sondrio poniamo grande attenzione al valore da dare alla relazione, senza dimenticare il ruolo della tecnologia ma cercando di mantenere il controllo umano: l’uomo controlla, ma si fa aiutare dall’automazione, in un modello Human-Digital».

MANTENERE IL CONTROLLO

La formazione – come sottolinea Pizzicoli di Banca Popolare di Sondrio – deve essere orientata non solo verso il personale interno, ma anche verso il cliente della banca. «Ci sono prodotti di tipo “pull”, fortemente richiesti dai clienti e servizi “push” che devono essere spiegati. Può essere complesso, ma non bisogna dimenticare che la vendita nasce sempre da una relazione. La tecnologia può aiutare anche in questo. Per esempio, ci siamo serviti del machine learning anche per facilitare il match tra i clienti e i servizi potenzialmente più adatti alle loro esigenze, come richiesto dalle normative». Nei suoi momenti conclusivi della tavola rotonda, il dialogo è dominato dal tema dell’intelligenza artificiale e del contributo che può dare all’automazione dei processi e alla decisione.

Tra endorsement – come quello di Nicola Vicino di Nexi, che rivendica licenza di sperimentare con le dovute cautele – e richiami da parte di Simone Pizzoglio di BVA Doxa a non sacrificare completamente sull’altare del “number crunching” la capacità tutta umana di teorizzare e costruire sillogismi. Le osservazioni finali di Giuseppe Marceddu di Sopra Steria rappresentano un invito a non cedere mai di fronte all’istinto di conservazione. «Al pari di tutte le organizzazioni anche un’azienda Tech come Sopra Steria deve saper affrontare i problemi del cambiamento. Dare le risposte giuste non è facile» – ammette Marceddu. «Da un lato dobbiamo portare avanti la nostra visione tecnologica, dall’altro il cliente ha le sue aspettative nei confronti della tecnologia. Si tratta di far coincidere i due punti di vista».

Quando ci si trova di fronte a tecnologie all’avanguardia come l’AI generativa, l’atteggiamento diventa ancor più cauto, arrivando talvolta al rifiuto netto, soprattutto da parte degli organi di controllo delle aziende, in particolare coloro che si occupano di compliance e legal. «A queste funzioni diciamo: non limitatevi a dire semplicemente di no, ma spiegateci come possiamo procedere in modo diverso. Non abbiamo dimenticato il vecchio concetto di ritorno sugli investimenti. Se l’AI è diventata un mantra, allora sicuramente esiste un modo per valutare il ROI di qualsiasi progetto». Uno degli indicatori potrebbe essere, per esempio, il costo oppure il time-to-market: in un progetto di digital onboarding, in cui sono coinvolti numerosi aspetti legati alla sicurezza, l’utilizzo del machine learning per riconoscere l’identità o il comportamento delle persone potrebbe consentire un’implementazione più rapida dei servizi digitali.

L’adozione di tecnologie all’avanguardia come l’IA generativa rappresenta una sfida, soprattutto nel contesto delle normative e della compliance. Tuttavia, è essenziale adottare un approccio proattivo, in cui gli organi di controllo collaborino attivamente con gli stakeholder per trovare soluzioni che consentano di sfruttare appieno i benefici di queste tecnologie, pur garantendo la conformità normativa e la sicurezza dei dati. L’equilibrio tra innovazione e controllo è fondamentale per il successo e la sostenibilità delle iniziative legate all’AI generativa e ad altre tecnologie emergenti. La tecnologia non deve essere vista come il problema, ma come la soluzione.

Foto di Gabriele Sandrini


Point of view

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