Il data management moderno per una democrazia dei dati realmente partecipata. Dal confronto di diverse strategie aziendali in materia di dati, emerge il quadro di una nuova cultura analitica. Con la partecipazione di Angelini Industries, Banca Generali, Edison e Telepass
L’assoluta centralità dei dati postulata dalla data-driven transformation impone una profonda rivisitazione di come i dati siano messi a disposizione di chiunque ne abbia bisogno – perché è proprio questa l’essenza della trasformazione – cosa che porta in modo del tutto naturale verso la necessità di creare un contesto democratico per la loro gestione e il loro uso. Non va però dimenticato che l’essenza della democrazia non è soltanto l’enunciazione dei diritti e dei doveri, quanto piuttosto la facilità con i quali i primi possono essere esercitati nel rispetto dei secondi e, parlando di dati, questo si deve necessariamente tradurre in una infrastruttura tecnologica che ne renda facile la comprensione e l’uso, in una modalità sempre più autoguidata e self-service, quale che siano le competenze dell’utilizzatore, scongiurando i rischi che un obiettivo di semplificazione non raggiunto trasformi i presunti diritti in privilegi, creando quel “data divide” che minerebbe alla base il concetto stesso di democrazia dei dati. Se la facilità è quindi una caratteristica irrinunciabile, altrettanto lo sono l’agilità nell’integrare nuove informazioni grezze da una pluralità di fonti e l’efficienza nel poterlo fare: caratteristiche che sono proprie del Logical data management, un paradigma che mira a connettere i dati, sfruttando le loro posizioni attuali, anziché creare nuovi punti di accumulo basati solo sulla possibilità che qualcuno possa averne bisogno in futuro.
Attraverso la consueta formula delle tavole rotonde, Data Manager e Denodo hanno affrontato la questione coinvolgendo alcune aziende utenti. I nostri interlocutori sono intervenuti su una serie di aspetti definitori della data democracy, spiegando le loro strategie in materia di aggregazione, analisi e disseminazione dei dati. Ai componenti del panel è stato chiesto in che misura le rispettive organizzazioni avvertono la necessità di rendere disponibili le informazioni in modalità sempre più autonome e accessibili, tanto da garantire che i dati alla base delle decisioni nelle varie funzioni siano sempre meno disintermediati, soprattutto rispetto ai ruoli professionali che hanno tradizionalmente avuto una responsabilità tecnica nel governo dell’informazione. Che tipo di progettualità queste aziende hanno dovuto mettere in atto per raggiungere questo obiettivo, con quali strumenti tecnologici, ma soprattutto attraverso quali misure organizzative, e quali figure-guida?
Si è passato poi a discutere sugli aspetti più culturali e formativi di un approccio data-driven, affrontando sia le scelte che l’intera azienda, motivata dalla propria leadership, dovrebbe fare in direzione di percorsi decisionali più metodologici e quantitativi alla decisione; sia il tema di come contribuire, a ogni livello, a una mentalità “data oriented”, anche attraverso opportune iniziative di alfabetizzazione nei confronti di un utilizzo sempre più esteso e diretto dei moderni strumenti analitici. Infine sono stati presi in considerazione anche gli eventuali ostacoli che le imprese incontrano sul loro cammino trasformativo. Uno dei maggiori fattori di attrito di ogni processo di digitalizzazione è sempre la questione della legacy. Quando si parla di dati, le aziende più strutturate e consolidate sono spesso caratterizzate da patrimoni informativi molto stratificati, non solo a livello puramente tecnologico, ma anche da un punto di vista organizzativo (ownership esclusive e chiuse, presenza di silos informativi che non favoriscono lo scambio e l’interdisciplinarietà). In definitiva, quali misure sono state messe in atto per liberare i dati da certi vincoli?
UN PERCORSO DI EVOLUZIONE: LA DATA DRIVEN BANK
Il percorso di evoluzione in ottica data driven di Banca Generali, spiega Erika Pinto, responsabile del Data Management si fonda sulla consapevolezza della centralità dei dati come risorsa strategica. I dati sono infatti uno dei pilastri del piano industriale della Banca che ha avviato un programma pluriennale con l’obiettivo di mettere a frutto il proprio patrimonio informativo a supporto dello sviluppo del business, in primis, del consulente finanziario e poi di tutti gli altri stakeholder della Banca. In termini di storia e di evoluzione, il modello di data management nasce da un primo nucleo organizzativo più focalizzato a supportare tutte le attività relative ai dati (interrogazioni dai sistemi, trasformazioni complesse ecc) ma si è fatta subito strada l’esigenza di costruire un modello più ampio, favorendo una più ampia democratizzazione del dato e il coinvolgimento di tutta la banca sotto la sponsorship dell’amministratore delegato e di tutto il top management della Banca. Partendo subito da casi d’uso chiari e condivisi, il percorso evolutivo definito dal Programma Dati, si è quindi concretizzato su tre direttrici diverse:
- sul piano tecnologico, è stata implementata un’architettura in cloud capace di processare grandi moli di dati (data lake), abilitare la reportistica evoluta e mettere a disposizione un ambiente per lo sviluppo di modelli di data analytics;
- sul piano delle competenze, è stato avviato un upskilling delle risorse di tutta la Banca a partire dal team di data management ma poi rivolte a tutta la popolazione della Banca, finalizzate a diffondere la cultura del dato;
- sul piano della governance la definizione dell’impianto di data governance e data quality, in cui sono stati identificati ruoli e responsabilità nell’ambito della gestione dei dati.
Si tratta di un percorso molto impegnativo perché impatta trasversalmente tutte le strutture dell’organizzazione e il loro modo di lavorare: senza un forte commitment del top management e la definizione di una solida data strategy una simile rivoluzione non sarebbe stata possibile. «Sono molto soddisfatta del percorso fatto e sono tantissime le idee e le sperimentazioni che abbiamo in programma per i prossimi tempi. Dopo tre anni di lavoro – conclude Pinto – la struttura, collocata all’interno della Direzione Innovation, si è “legittimata” come punto di riferimento per tutte le attività legate al mondo dati. Oggi siamo in grado di sfruttare il patrimonio informativo come mai fatto prima e siamo in grado di sviluppare internamente modelli di data analytics e data reporting finalizzati a supportare la Banca nelle scelte strategiche e operative. Continueremo a lavorare per consentire l’accesso ai dati in modo semplice e condiviso aprendo a tutte le funzioni la possibilità di estrarre nuova conoscenza in maniera sempre più autonoma. Per questo dovremo puntare su strumenti adatti a una ampia platea di colleghi e alla diffusione di una sempre più robusta cultura del dato, elemento di base di ogni trasformazione di questo calibro».
DATA PLATFORM JOURNEY
Se il racconto delle strategie di Banca Generali viene da una figura esperta che ha confidenza con i linguaggi del data manager, il punto di vista di Stefano Brandinali è quello del responsabile dell’innovazione (digitale e non) di Angelini Industries, gruppo industriale noto soprattutto in campo farmaceutico ma attivo in realtà in comparti assai più diversificati, che vanno dalla fabbricazione di pannolini e assorbenti alla progettazione delle “converting units” usate in questo tipo di produzione. Dopo l’esperienza in Prysmian, Brandinali entra esattamente un anno fa in Angelini per occuparsi di Innovazione a tutto tondo. Nell’organizzazione interna da lui disegnata, l’IT è stata ribattezzata “digital core”, per sottolinearne il ruolo fondativo, e affianca diverse altre unità: cybersecurity, open innovation e a breve una nuova ”Innovation and Transformation Factory” che promuoverà nuove idee digitali e nuovi modelli di business. «In pratica siamo diventati il complemento digitale delle strutture di ricerca e sviluppo del gruppo preesistenti» – spiega il chief innovation officer. Noi ovviamente non abbiamo la pretesa di fare drug discovery (i.e. identificare nuove molecole e sintetizzare principi attivi), ma possiamo supportare ad esempio lo sviluppo di nuovi modelli in termini di servitization e platformization delle nostre attività industriali».
Una delle prime decisioni prese dal CInO di Angelini è stata proprio la nomina del nuovo chief data and analytics officer, ruolo affidato a un manager di lungo corso, Carlo Torniai, già CD&AO in aziende come Esselunga, Tesla e Pirelli. Sotto il suo coordinamento il team di Angelini procede a un disegno strategico che ha una direzione diversa da quella descritta da Erika Pinto. Se Banca Generali progetta il proprio data lake partendo dai “template” di reportistica suggeriti dal management, il fondamento individuato da Torniai e Brandinali è una accurata catalogazione del patrimonio informativo esistente dell’azienda come base di partenza “aperta”.
«Fin dall’inizio, la strategia si basa sui data asset, attraverso l’identificazione dei dati, delle regole di data ownership e stewardship e una accurata mappatura qualitativa dei dati disponibili o non ancora disponibili» – spiega Brandinali. «Dopo questo primo step abbiamo sviluppato un modello operativo “hub and spoke” e da qui partiremo per costruire l’intera data platform». Gli use case che avevano ispirato il data lake di Banca Generali, proprio sulla base di una data policy pre-esistente, saranno successivi. I primi risultati della data strategy di Angelini sono stati ottenuti in area operations, a cui seguiranno successivamente use case più diversificati e innovativi.
«Non ci sono limiti a quello che si può fare con i dati» – afferma Brandinali. «Anche il ruolo del data scientist – che spesso viene inserito in contesti operativi in modo destrutturato, a fronte di aspettative molto elevate ma senza precisi modelli di riferimento sulle ricerche da portare avanti – viene visto in Angelini in modo funzionale a uno sviluppo bottom-up della strategia di valorizzazione del dato». Con l’arrivo del chief innovation e del chief data officer, sono state assunte anche alcune figure tecniche per l’ingegnerizzazione della piattaforma dati, ma la precedenza è stata data a un altro tipo di valutazione. «Oltre alla mappatura dei dati abbiamo infatti dato luogo a una severa mappatura dei livelli di preparazione di tutte le persone interne al gruppo che avevano direttamente a che fare con attività di reportistica o che avevano conoscenza in materia.
Tutti – continua Brandinali – hanno sostenuto una prova di livello quasi universitario con decine di domande sulla creazione di grafici, di modelli, di statistiche e in alcuni casi persino una prova di sviluppo del codice. L’esame ha avuto un esito sorprendente, per esempio i colleghi dell’area marketing sono risultati molto preparati nelle competenze di data visualization, ma ovviamente meno nel coding, mentre paradossalmente chi si occupa di IT ha mostrato meno familiarità con grafici e reportistica proprio perché in passato non ha interagito con queste necessità di sviluppo». Oltre a consentire una serie di scelte in materia di formazione e upskilling delle competenze aziendali, questo lavoro di valutazione ha permesso ad Angelini di costruire intorno al dato una community di utenti che oggi contribuisce alla costruzione di una specifica cultura della decisione data-driven.
SVILUPPO DEL DATA HUB
In una grande utility come Edison la riprogettazione della piattaforma dati ricade da punto di vista organizzativo nell’ambito della Direzione ICT che ha una funzione dedicata alla Architettura/Innovazione tecnologica, Enterprise Data Platform, Piattaforme Low Code e RPA di cui Dario Luigi Vercesi è responsabile. «Nell’implementazione della data strategy di Edison tutto è stato concentrato sull’obiettivo di abbattere i silos e offrire una serie di servizi riguardanti i dati che possiamo governare centralmente assicurando una sempre più accurata qualità, security e profilazione dei dati anche in coerenza con l’attuale democratizzazione del dato che si sposta sempre di più sui data scientist presenti nel business lines – spiega Vercesi.
La strategia ha accompagnato l’ambizioso progetto di migrazione in cloud del data center di Edison. «Migrazione – sottolinea Vercesi – che non ha comportato un semplice lift and shift ma un grosso lavoro di replatforming in una riconfigurazione che Edison ha avviato nel 2021 per affrontare meglio, sul piano delle sue strategie di mercato, novità importanti come tutto il nascente segmento del “self power”, l’autoproduzione di energia elettrica con relativa re-immissione della corrente prodotta dagli impianti privati nelle reti di distribuzione pubblica». L’architettura dati ha registrato, nel corso del tempo, l’influenza di casi d’uso di natura diversa e oggi – continua Vercesi – punta al modello di funzionamento del data hub intermedio.
«In altre parole ci stiamo attrezzando per essere in grado di portare tutti i dati che servono dentro alle macchine, certificarli e metterli a disposizione degli utilizzatori sottoforma di servizio di uso gestito del patrimonio informativo aziendale». In questo senso, sostiene il responsabile architettura/innovazione tecnologica di Edison, oggi il lavoro consiste anche nell’affrontare in modo più pratico molti aspetti di governance che erano stati definiti in termini molto generali, soprattutto per quanto riguarda le gerarchie di ownership e di fruizione di una struttura che insieme ai dati contiene anche tutti i modelli di intelligenza artificiale e la capacità di integrare fonti informative esterne.
AL SERVIZIO DEL BUSINESS
Il confronto di tante esperienze diverse dimostra la varietà di approcci a una tematica che sta guadagnando nuova centralità nella vision degli amministratori delegati. E proprio all’AD di Telepass, risponde, come chief data officer della società di servizi per la mobilità, Raffaele Lillo. «Isolando il problema della business analytics rispetto ai tradizionali compiti dei responsabili IT – spiega Lillo – Telepass ha voluto dare una dignità tutta particolare al dato». Lillo, che vanta una lunga esperienza in materia di data strategy, ha avuto modo di affrontare sia la questione della democrazia del dato sia la complessa problematica della trasformazione di infrastrutture legacy verso obiettivi data-driven. «Oggi, in Telepass provo a dare una mano ai colleghi del business, cercando di essere il più general purpose possibile» – afferma il CDO. «È rischioso partire da specifici use case perché le cose possono complicarsi quando si tratta di servire tante necessità diverse. Se non hai un approccio olistico in partenza, è difficile poi uscire dai silos». Il lavoro del CDO di Telepass consiste nel ricostruire una strategia dati mirata a fornire al business esattamente il tipo di risposte necessarie, mettendolo in grado di formulare la domanda giusta. In altre parole, la strategia non si limita a dare risposte, ma cerca anche di guidare il business nel formulare le domande che possano portare a una migliore comprensione dei dati e delle dinamiche del settore.
Se necessario, affiancando i colleghi nello sviluppo di nuovi modelli di machine learning in una modalità molto “on demand”. «Abbiamo quindi messo in piedi una struttura che dispone delle competenze classiche di data governance e può intervenire sull’organizzazione interna in connessione alle altre divisioni gestendo le modalità ottimali di scambio dei dati verso l’IT e verso il business. In pratica, agendo da facilitatore del dato». Raffaele Lillo sottolinea però che il lavoro del suo team non è semplicemente reattivo. «Cerchiamo di essere anche molto produttivi nello sviluppo di soluzioni di BI e analisi che possono generare il massimo valore per Telepass». L’azienda vede questo insieme di servizi come un portafoglio di attività che comprende sia la definizione degli aspetti più fondativi – le piattaforme dati vere e proprie – sia la creazione di strumenti analitici. A proposito di valore, le potenzialità future – secondo Lillo – sono elevatissime. «Ci sono molte opportunità innovative da esplorare, che potrebbero avere un forte impatto sullo sviluppo di nuove aree di business» – afferma il CDO di Telepass.
OK, LA DOMANDA È GIUSTA
In conclusione, possiamo osservare che dallo scenario delineato dagli interlocutori della tavola rotonda emerge l’immagine di un’organizzazione dinamica e agile, che è in grado di prendere decisioni informate e di cogliere nuove opportunità, basandosi su un ampio patrimonio di dati interni ed esterni facilmente accessibili. Inoltre, gli strumenti analitici sono impiegati direttamente dai decisori, consentendo una visione chiara e dettagliata delle informazioni necessarie per guidare efficacemente l’azienda. Ma quanto questa immagine rispecchia la realtà delle aziende? Sulla democratizzazione del dato – Andrea Zinno, data evangelist di Denodo – osserva ancora molte esitazioni. «Il problema risiede nel fatto che democrazia non implica anarchia, bensì responsabilità. Tuttavia, rendere le persone responsabili è un compito arduo poiché il processo di empowerment implica inevitabilmente di uscire dalla comfort zone del lavoro, dell’abitudine consolidata nel tempo».
Zinno afferma di aver seguito con grande interesse il racconto delle diverse esperienze aziendali, dell’affiancamento e delle comunità costruite intorno alla cultura della business analytics. «È emersa una chiara tensione tra un approccio alla strategia dei dati basato sulla definizione anticipata dei possibili casi d’uso e una visione più olistica, che invece mira a stimolare la nascita “dal basso” delle applicazioni» – evidenzia il data evangelist di Denodo. Tuttavia non possiamo ancora prevedere con certezza quando e se arriveremo a realizzare pienamente l’idea del dato self-service, dove le persone possono accedere e utilizzare i dati in modo autonomo e intuitivo senza bisogno di supporto aggiuntivo.
Point of view
Intervista ad Andrea Zinno data evangelist di Denodo: Democrazia del dato