Ridurre, riutilizzare, ricompensare. Architetture, infrastrutture e applicazioni verso un nuovo modello di business e responsabilità. KPI trasparenti e standard per misurare gli impatti di sostenibilità. La convergenza tra economia circolare e digitale non può più essere ignorata. Con il contributo di Angelini, Autostrade, Banca Popolare di Sondrio, CAST Italia, Fondazione Milano Cortina 2026 e INAIL
Nell’accezione corrente si sono progettate e realizzate applicazioni software al fine di aiutare gli esseri umani a svolgere attività ricorrenti automatizzabili, a trattare quantità di dati non gestibili “a mano”, a velocizzare operazioni che avrebbero richiesto troppo tempo. Il fatto che queste applicazioni consumassero tanta energia, talvolta troppa in relazione al proprio compito, producendo un impatto carbonico rilevante sull’ambiente, non era preso in considerazione. Allo stesso modo, non si poneva attenzione alle conseguenze sociali ed economiche di un dato software, se non in termini di ritorno dell’investimento per l’azienda. La misurazione della sostenibilità nei suoi tre aspetti fondamentali non è mai stata oggetto di analisi. Tanto meno l’impatto carbonico dell’IT, infrastruttura e applicazioni, è preso in considerazione per la stima di un bilancio di sostenibilità aziendale, ancora oggi nella maggior parte dei casi costruito dopo (ex-post) che le cose sono accadute e quasi mai prima (ex-ante), in fase di progettazione. Anche quelle aziende che hanno inserito l’impatto dell’IT nei loro bilanci di sostenibilità lo hanno fatto non con dati oggettivi ma con stime, spesso fornite loro da fornitori che confondono la qualità del software con la sostenibilità del software. Inoltre, se si considera che spesso le indicazioni che si trovano in questi bilanci si occupano solo di infrastruttura, senza tenere conto che per la quota maggiore è il software che gira su tali sistemi a indurre più o meno consumo energetico, si comprende subito quanto questi bilanci siano ancora lontani dal mostrare la realtà dei fatti. E non basta più difendersi dicendo che non esistono oggi strumenti per misurare gli impatti di sostenibilità di un progetto software, perché oggi tali strumenti ci sono, sia qualitativi a 360 gradi – si pensi alla Prassi Riferimento UNI 147 emanata a luglio grazie al lavoro coordinato dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale che ha visto il coinvolgimento di varie aziende del proprio network – che quantitativi e specifici per l’impatto carbonico – per esempio utilizzando i moduli di CAST Software basati su standard OMG.
UN PO’ DI CHIAREZZA
La Comunità europea ha compreso che delegare alla sensibilità delle singole aziende l’onere – e anche l’onore – di adeguarsi a raccomandazioni relative alla sostenibilità ambientale, economica e sociale non avrebbe portato i risultati sperati. Per sopperire alla costruzione mirata e consapevole di una cultura della sostenibilità, ha emanato la direttiva – denominata CSRD – che obbligherà dapprima le aziende e poi probabilmente anche le PA centrali e locali a inserire nei propri bilanci criteri oggettivi e misurabili relativi alla sostenibilità con la definizione di una roadmap di miglioramento. Questo obbligo porterà la conseguenza che anche gli aspetti di sostenibilità saranno oggetto delle analisi dei revisori e comporteranno verifiche di corretta definizione e di avanzamento, introducendo de-facto gli stessi obblighi e le stesse possibili ripercussioni di dichiarazioni non veritiere in materia di bilanci.
Prima di addentrarci nello svolgimento della tavola rotonda dello scorso 30 gennaio che ha visto esponenti delle aziende e della PA confrontarsi sulle relazioni tra IT e sostenibilità, nonché sulla necessità di una misurazione oggettiva degli impatti degli applicativi software, facciamo un poco di chiarezza. La Corporate sustainability reporting directive o CSRD, n. 2022/2464 riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità e modifica la direttiva 2013/34/UE, concernente l’obbligo di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario per imprese di grandi dimensioni. La Prassi di riferimento UNI/PdR 147:2023 definisce i requisiti e gli indicatori di prestazione (KPI) che i progetti di trasformazione digitale devono avere per essere considerati coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030.
BINOMIO INSCINDIBILE
La tecnologia può e deve essere un alleato della sostenibilità così come la sostenibilità deve indirizzare le scelte tecnologiche. Credo che su questo siamo tutti d’accordo. Talvolta però è il business che non è in grado di afferrare le potenzialità offerte dalla tecnologia in ambito di sostenibilità. Bisogna comprendere se e come i due insiemi – tecnologia e sostenibilità – si sovrappongono. «Se si guarda ai fondi del PNRR si nota quanto questi siano allocati in modo rilevante a questi due ambiti, spesso intersecandosi tra loro», spiega Marco Moretti, Games Technology director (CTO) di Fondazione Milano Cortina 2026, che ha alle spalle una esperienza trentennale nel settore Energy & Utility & Ambiente. Sulla base della sua esperienza, Moretti afferma che almeno la metà dei progetti digitali in qualche modo impattano o coinvolgono almeno uno degli obiettivi dell’Agenda 2030. Il fatto che il digitale abbia effetti sul raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità è quindi dimostrabile sul campo.
A ogni CIO è sempre stato detto che il digitale però “costa” perché altamente energivoro. È vero, ma non bisogna guardare solo a questa accezione, ma ai benefici complessivi dei progetti: «Se un progetto costa un milione di euro ma si ottengono benefici per un milione all’anno, si recupera l’investimento entro due anni e poi dal terzo si guadagna» – continua Moretti. «E si dimostra al business come il digitale possa generare valore e portare profitto. Per la sostenibilità, è un po’ la stessa cosa. Non bisogna, per esempio, pensare solo al fatto che il cloud consuma energia, ma guardare a quante emissioni di CO2 riduciamo introducendo un’innovazione digitale. Altro esempio: mentre l’invio di un’e-mail può comportare l’utilizzo di energia elettrica per l’esercizio dei servers e per la trasmissione dei dati attraverso la rete, questo impatto spesso è molto inferiore rispetto a quello generato da processi non digitalizzati». Guardando quindi ai benefici sulla sostenibilità indotti dal digitale si comprende come anche l’aspetto inverso – cioè di guida che la sostenibilità può avere per un corretto sviluppo digitale – sia assolutamente dimostrabile con un delta assolutamente positivo. «Se si riesce a concentrarsi sui benefici di emissioni evitate o di “riutilizzo” dell’economia circolare, di miglioramento di un processo grazie al digitale dal punto di vista dei KPI di sostenibilità – allora – il legame tra questi due ambiti diventa ancora più forte» – conclude Moretti. Bisogna cominciare a considerare la visione sistemica dei vantaggi legati alla sostenibilità – ambientale, economica e sociale – indotti dalla trasformazione digitale. Questa dovrebbe essere anche la visione con cui un azionista o investitore comincia a guardare alla redditività nel medio termine, perché il suo investimento si rivaluterà se quella realtà avrà un valore sostenibile nel medio e lungo termine.
L’INVESTIMENTO SOSTENIBILE
«Se consideriamo sia il contributo del digitale alla sostenibilità sia l’impatto della digitalizzazione sull’azienda stessa, ci troviamo di fronte a un vasto panorama di stakeholder che ricomprende a pieno titolo anche i dipendenti» – approccia Milo Gusmeroli, vicedirettore generale e COO di Banca Popolare di Sondrio. Quanto si è attrattivi in un momento di mancanza di talenti se non sei ESG compliant? Quanto lo si è per investitori di medio termine se non hai una vocazione alla sostenibilità a tutto tondo? «Quanto i clienti scelgono una banca per il fatto di essere attenta ai temi e agli investimenti legati alla sostenibilità?» – si chiede, a esempio, Gusmeroli.
«Per l’ambito bancario, poi, l’autorità di vigilanza ha già messo il focus su questo aspetto perché, al di là della legislazione, come banche vigilate siamo già chiamate a presidiare un rischio specifico, un rischio ESG, che diventerà un rating per le nostre controparti affidate e contribuirà a misurare anche la nostra capacità di fare azienda in modo sostenibile». Parimenti, sempre più l’attività bancaria di impiego sarà improntata a sostenere percorsi di trasformazione in ottica ESG delle imprese, misurandone la volontà e capacità di realizzazione. Se poi si volge l’attenzione non agli impieghi, ma alla raccolta e agli investimenti, giova evidenziare come sono già presenti sul mercato, e stanno crescendo in numero e potenzialità di investimento, fondi che operano a valere di controparti qualificate ESG, mentre le emissioni di titoli green riscontrano un appeal crescente.
Il tema ESG non è più quindi un tema di sensibilità ma diventa un tema di riconsiderazione del proprio modello di business. «La redditività sul medio termine dipenderà da quanto si sarà pronti alla sfida in ambito e si rimarrà al passo con le best-practice e le dedicate normative, scelte o imposte» – continua Gusmeroli. Non si può poi sottacere che le banche rendicontano sul proprio livello ESG, oggi DNF che diventerà CSRD, e tali adempimenti sono vie più stringenti e richiedono un approccio sistematico e strutturato, cui anche il “digitale” è tenuto a collaborare. La digitalizzazione dei processi induce un costo, ma introduce vantaggi superiori. Inoltre, se una azienda si pone a un certo livello di innovazione risulta anche maggiormente attrattiva verso i talenti, in un momento in cui la disponibilità di risorse specializzate è un aspetto cruciale. Se si deve valutare il proprio ecosistema di fornitori e clienti, è chiaro che sono necessari dati per la loro classificazione. L’elaborazione di questi dati per definire il proprio posizionamento ESG da una parte è un consumo ma dall’altra è una misura oggettiva di dove ci si trova, per esempio riguardo le emissioni di CO2, scoprendo se si sta facendo solo del greenwashing o si sta veramente lavorando per ridurre nel tempo l’impatto carbonico delle attività. Oppure se si stanno mettendo in atto politiche di diversity per fare vera inclusione e non solo apparente. «Per funzionare, un corpo ha bisogno di tutte le sue componenti, allo stesso modo una azienda ha bisogno di tutte le sue funzioni, tra cui il digitale che in ottica aziendale deve funzionare in modo sostenibile senza dimenticare che la parte primaria dell’ESG è quella di comprendere che bisogna essere sostenibili anche nella redditività» – sottolinea Gusmeroli.
SOSTENIBILITÀ E SERVIZI
Autostrade per l’Italia gestisce quasi tremila chilometri di strade, attraversate da due milioni e seicentomila veicoli giornalieri, che includono sia mezzi pesanti che leggeri. Con oltre quattro milioni e mezzo di clienti al giorno, l’azienda gestisce più di 250 stazioni per il pagamento del pedaggio e una vasta rete di sorveglianza composta da oltre quattromila telecamere e un’ampia gamma di sensori. Questi dispositivi sono distribuiti non solo lungo le gallerie, ma anche lungo altri punti critici dell’infrastruttura autostradale, consentendo un monitoraggio costante e dettagliato della situazione del traffico e delle condizioni stradali. Recentemente Autostrade ha pianificato per gli anni successivi, importanti azioni di investimento, manutenzione e realizzazione di nuove opere.
«Questi investimenti e queste innovazioni hanno portato inevitabilmente a mettere al centro il ripensamento dei propri processi» – spiega Francesco Fiaschi, CTO di Autostrade per l’Italia. «La tecnologia diventa abilitatore della trasformazione digitale. Il progetto Next to Digital, che ha avuto una durata complessiva di tre anni, ha visto da parte di Autostrade per l’Italia la rianalisi di tutti i processi. Partendo dalla nozione di “digital coverage”, cioè dalla misura di quanto i processi esistenti al momento del lancio del progetto nel 2020 avessero un grado di maturità digitale sufficiente a sostenere tali cambiamenti, e abbiamo scoperto che avevamo un valore medio molto basso, circa il 25%. L’obiettivo che ci eravamo dati e che abbiamo raggiunto, era di arrivare al 75% in 3 anni» – afferma Fiaschi. «La democratizzazione del dato e la sostenibilità sono stati obiettivi primari. Tutte le trasformazioni però non si fanno senza il coinvolgimento del business che è stato chiamato a essere co-protagonista insieme all’IT del processo trasformativo degli oltre 50 casi d’uso implementati».
Rivoluzione di processi supportati da una efficiente gestione dei dati e una moderna infrastruttura. «Di circa 600 applicazioni l’obiettivo che ci siamo dati è di portarne in cloud circa il 60% non in forma lift and shift, ma con un pesante ripensamento dei processi e degli applicativi. Tutto questo con una ottica di sostenibilità: dei nuovi circa 60 prodotti sviluppati, almeno il 60% ha riguardato applicazioni IT inerenti qualche area ESG» – spiega Fiaschi, sottolineando come IT e sostenibilità siano ormai legati insieme in modo indissolubile. Ripensare a una applicazione progettandola per il cloud è già di per sé un modo per essere meno energivori e ridurre le emissioni. Un algoritmo efficiente riduce l’utilizzo delle risorse infrastrutturali ma, spesso, è difficile misurarne la “sostenibilità” in termini oggettivi. «Obiettivo di Autostrade per l’Italia nel 2024 è inserire nel ciclo di sviluppo del software capacità di misurazione degli impatti di sostenibilità dei singoli algoritmi» – dichiara Fiaschi.
Anche i servizi autostradali devono adeguarsi al nuovo assetto della mobilità. «L’aspetto dell’elettrificazione dei veicoli circolanti è sicuramente una leva importante di trasformazione ma anche la loro capacità di rimanere connessi è un fattore molto rilevante per le scelte future» – continua Fiaschi. Autostrade per l’Italia si è data una strategia ben precisa creando anche delle società di scopo. L’obiettivo è la produzione di energia da fonti rinnovabili, utilizzando anche gli spazi limitrofi alle autostrade stesse o le aree di servizio dove saranno installate anche apposite centraline di ricarica. La società deputata a tale scopo, FreeToX, dovrà completare la rete di ricarica presente sul perimetro autostradale incrementando l’attuale parco di 100 colonnine da 200kW che consentono una ricarica in meno di 20 minuti. I servizi faranno la differenza nel disegnare il journey elettrico dell’automobilista. Queste due aziende indirizzano due dei cinque pilastri presenti nel programma Mercury varato da Autostrade per l’Italia con panorama 2038: Green solution e Urban mobility. Gli altri tre pilastri sono: Connected infrastructure, Intelligent road e Flexible pricing che ruotano in qualche modo tutti e tre intorno al tema della connettività e dei servizi. Per poter dialogare e fornire servizi agli automobilisti occorre dialogare agevolmente con le “connected cars” tramite una connettività adeguata e una sufficiente disponibilità energetica, sempre limitrofe al mezzo in movimento. I servizi di Intelligent road sono per esempio rivolti a ridurre l’incidentalità, a fornire informazioni in tempo reale sul traffico, al tracciamento di mezzi pesanti, alla sostenibilità dell’infrastruttura rispetto ai paesi che li attraversano in modo dinamico o, per finire, all’utilizzo di strumenti quali il “tutor” della velocità che da solo ha ridotto notevolmente l’incidentalità su alcune tratte stradali. «Occorre sperimentare per sistematizzare nel futuro, sempre nel rispetto della sostenibilità sia economica che ambientale» – conclude Fiaschi.
OBBLIGHI E MISURE
Qualche anno fa, la BCE ha imposto al comparto bancario norme ben precise in termini di sostenibilità e misurazione degli indici. Oggi la Comunità europea sta facendo lo stesso andando a imporre regole simili a tutti gli altri comparti: questo è quello che vuole fare la CSRD. Un’altra norma che sta per essere varata a livello europeo riguarda il greenwashing, relativa al fatto che, se una azienda dichiara di fare attività mirate al miglioramento della sostenibilità – ambientale in primis – deve essere in grado di dimostrarlo in modo oggettivo, o con una roadmap attuabile o con risultati già raggiunti. «La CSRD è applicabile a tutte le aziende con più di 250 dipendenti, una stragrande maggioranza delle PMI italiane» – spiega Massimo Crubellati, country manager di CAST Italia. «La questione in esame riguarda direttamente la capacità delle aziende di implementare la normativa facendo investimenti che siano adeguati alle loro risorse finanziarie e sostenibili a lungo termine. Questo potrebbe richiedere un intervento da parte delle istituzioni statali, che dovrebbero prendere in considerazione l’implementazione di misure ad hoc per supportare questo obiettivo. Queste misure potrebbero includere politiche fiscali agevolate, incentivi finanziari o altre forme di sostegno per agevolare l’adeguamento normativo delle aziende».
Nella CSRD è chiaramente indicato che, per quanto concerne l’impatto ambientale, nel bilancio aziendale dovrà essere indicato quante emissioni vengono attualmente prodotte e quale è il piano per ridurle e portarle all’interno dei range adeguati, fino a raggiungere lo zero-impact. «Andando a spulciare i bilanci di sostenibilità redatti oggi dalle aziende, nella maggior parte dei casi ci si ferma a dichiarazioni di intenti senza portare valori oggettivi o roadmap credibili» – sostiene Crubellati. «All’interno di una azienda la CO2 emessa dal comparto IT è tutt’altro che irrilevante. Con l’aumento delle organizzazioni “IT intensive” o “total IT” la misurazione delle emissioni indotte da infrastrutture e applicativi software sta diventando un tema molto rilevante ai fini della stesura di un bilancio di sostenibilità e di applicazione della CSRD». Crubellati ricorda anche il fatto che tra il 60 e il 70 per cento delle emissioni di un comparto IT dipendono dal software più che dall’hardware, che, comunque, mantiene la sua rilevanza. Inoltre, se esistono metriche di misurazione standard consolidate da tempo per l’hardware, non è altrettanto vero per quanto concerne il campo applicativo, dove solo ultimamente stanno affermandosi alcuni standard.
ll semplice trasferimento delle applicazioni in cloud, senza una preliminare analisi e ottimizzazione, potrebbe non solo non ridurre il consumo energetico, ma, in alcuni casi, addirittura aumentarlo. «CAST con le proprie soluzioni aiuta il comparto IT nella misurazione oggettiva della sostenibilità energetica del portfolio digitale, causa di gran parte dell’impronta carbonica IT, e nel calcolo accurato dei target di riduzione della CO2, definendo anche le policy, i piani puntuali di abbattimento e i relativi costi, così come è per altro espressamente richiesto dalle normative europee. Importanza cruciale è la certificabilità di tali dati in quanto basati su standard di SW Sustainability emessi internazionalmente dall’OMG e riconosciuti in tutto il mondo» – spiega Crubellati.
Non bisogna inoltre dimenticare che l’evoluzione sostenibile, e quindi meno energivora, delle applicazioni software comporta anche risparmi economici immediatamente quantificabili e inseribili nei business case di innovazione tecnologica. Altro aspetto essenziale da tenere presente è la qualità del software prodotto. Oggi, i generatori di codice imperversano e sempre meno si trovano sviluppatori in grado, o con la voglia, di ottimizzare ed efficientare quanto prodotto in modo automatico. Questo causa l’utilizzo di applicativi che hanno molte più righe di codice di quelle necessarie e realmente utilizzate, andando a impattare sull’infrastruttura hardware soggiacente (sempre meno costosa e quindi meno attenzionabile), causando un consumo di energia (e di relativi costi vivi oltre che di emissioni di CO2) assolutamente non necessario.
«Analizzando i bilanci pubblici si nota come siano veramente poche le aziende che dichiarano le loro emissioni di CO2, vuoi per volontà, vuoi per impossibilità di ricavare tali dati in modo oggettivo» – dichiara Crubellati. Però l’impatto energetico dei datacenter e degli applicativi è rilevante. Solo a titolo di esempio, evidenziamo due aziende che dichiarano questi dati pubblicamente. Una realtà importante del settore bancario dichiara un’emissione totale di 37,5kT di CO2 di cui 11,9kT dovute all’uso dei datacenter dove, l’incidenza del software applicativo, è pari a 8,9kT di CO2. E una società di servizi in-house in ambito pubblico dichiara un carbon footprint di 93,7kT di cui circa l’85% prodotto dai datacenter. Avere dati oggettivi misurati e misurabili sarà un obbligo e renderà trasparente all’investitore l’aspetto “green” di una realtà, permettendo una comparabilità più realistica di quella realizzabile con i dati oggi a disposizione.
PA INNOVATIVA E SOSTENIBILE
La Pubblica Amministrazione non ha ad oggi gli stessi obblighi imposti dalla CSRD alle aziende private, ma in ogni caso si sta muovendo in una direzione che sempre più – anche se ancora a macchia di leopardo – coniuga sostenibilità e trasformazione tecnologica. «INAIL è riconosciuta all’interno della PA come una realtà che ha sempre portato innovazione» – spiega Anna Sappa, responsabile Ufficio Architetture e Piattaforme della Direzione Centrale per l’Organizzazione Digitale di INAIL. Il “passo avanti” in cui spesso l’Istituto viene posizionato deriva da un approccio aperto, curioso e sperimentale, che vuol dire anche tenersi costantemente aggiornati sui trend tecnologici e avere il coraggio di “sperimentare”.
«A noi dell’IT ci ha salvato la pandemia» – afferma Anna Sappa. «E’ stato quello il momento in cui siamo riusciti a stabilire una relazione di fiducia più stretta con i nostri colleghi del business, grazie al fatto di aver reso loro possibile il lavoro da remoto, senza dover ricorrere a soluzioni improvvisate dettate da situazioni di emergenza. L’aver avuto il coraggio di virtualizzare i desktop, in tempi precedenti allo scoppio dell’emergenza pandemica, ha fatto in modo che il lavoro potesse continuare senza interruzioni su qualunque dispositivo il collega avesse a disposizione fuori dall’ufficio. Il nostro approccio è quello di sperimentare per innovare e per farsi trovare il più possibile pronti alle evoluzioni, per governarle e non subirle. Essere proattivi è stata e sarà la chiave vincente, anche grazie a una dirigenza passata e presente che, pur nelle limitazioni del budget, ha saputo guardare al futuro» – aggiunge Sappa.
«E il futuro parla di sostenibilità. La formula, anche in questo contesto, è sperimentare per poi consolidare. In tema di “green IT”, infatti, siamo partiti da due progetti di consolidamento tecnologico, su apparati altamente performanti e specializzati per tipologia di servizio, per provare a misurare quanti “alberelli” si potessero risparmiare lavorando con una certa logica all’interno dei datacenter e siamo arrivati, oggi, a perseguire l’obiettivo di creare un framework che, ponendo l’accento sulla misurazione di indicatori e di target da raggiungere, possa essere esteso a tutti gli ambiti, sia hardware che software» – continua Anna Sappa.
Muoversi nella direzione della sostenibilità richiede la creazione di una cultura attorno a questo tema e la diffusione della consapevolezza sulla sua rilevanza, al fine di promuovere una visione condivisa che vada oltre la sensibilità individuale. In questo contesto, la Comunicazione aziendale svolge un ruolo fondamentale. In INAIL dall’inizio del 2023 è stato creato un programma intitolato Futuro anteriore che analizza i temi legati all’Agenda 2030 anche tramite applicazioni reali, ad esempio un widget che permette di verificare quanto si può risparmiare nel proprio percorso casa-ufficio, facendo scelte di mobilità differenti.
LA CENTRALITÀ DEL DATO
«La trasformazione organizzativa è la leva fondamentale per innovare e raggiungere obiettivi di sostenibilità» – spiega Marco Lanza, Group IT & Innovation director di Angelini Industries. «A questo scopo in Angelini Industries sono state create due direzioni ad hoc, una per l’innovazione e una per la sostenibilità, a riporto diretto del CEO di gruppo con l’obiettivo di creare un ecosistema integrato tra digitale, innovazione e sostenibilità». L’information technology tradizionale è stata inserita all’interno della direzione innovazione a sottolineare fortemente come non ci possa essere innovazione senza il supporto della tecnologia. «All’interno delle principali iniziative di innovazione interconnesse con la sostenibilità, si colloca la creazione di un modello dati e di una piattaforma data lake aziendale che servono da punto di riferimento per i data scientist di diverse aree, consentendo loro di esaminare in modo trasversale e completo l’impatto sulla sostenibilità e il valore finale delle iniziative» – aggiunge Lanza.
L’utilizzo di piattaforme integrate sta crescendo all’interno delle aziende. Secondo le rilevazioni di Consob, circa il 20% delle aziende si è già dotato di una piattaforma di raccolta dati ESG ai fini della rendicontazione e Angelini Industries sta creando la sua, secondo indicatori GRI e non GRI, che verranno transcodificati nel prossimo biennio in ESRS. «Nella partita legata alla misurazione, l’IT riveste un ruolo fondamentale nella realizzazione di piattaforme di monitoraggio estremamente affidabili. Tali piattaforme devono essere in grado di raccogliere dati direttamente dalla fonte in modo accurato ed efficiente, preferibilmente attraverso processi automatici anziché manuali». Proprio per dare la giusta importanza alla centralità del dato in Angelini Industries, all’interno della direzione Innovazione e al di fuori dell’IT, è stata creata la figura del chief data officer. Un’altra leva fondamentale a dimostrazione del pacchetto di azioni organizzative, trasformative e implementative che il gruppo Angelini Industries sta attuando è la costituzione all’interno della direzione innovazione della figura del chief information security officer con la responsabilità della strategia di mitigazione dei rischi in ambito cyber.
LA SOSTENIBILTÀ IN GIOCO
Il 6 febbraio 2026 si alzerà il sipario sulle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. L’evento sarà seguito da circa un paio di milioni di spettatori in presenza e da oltre due miliardi in digitale, coinvolgendo un territorio esteso di circa 20mila chilometri quadrati da Cortina a Bormio e Livigno, dalla Val di Fiemme a Verona e Milano, con oltre 20 sedi di gara. L’evento è gestito, a parte l’ambito prettamente infrastrutturale, dalla Fondazione Milano-Cortina, una fondazione di diritto privato costruita ad hoc. La Fondazione ha sviluppato il suo rapporto di sostenibilità, impatto e legacy e ha definito cinque pilastri fondamentali – come spiega il CTO Marco Moretti. Si comincia con l’ambientale, identificato dal “pillar A”, che si focalizza sui cambiamenti climatici e sugli ecosistemi naturali. Segue l’economia circolare, rappresentato dal “pillar B”, mentre il “pillar C” affronta tematiche cruciali come la parità di genere, i diritti umani, l’inclusione e l’accessibilità, con un’enfasi sulle infrastrutture e servizi post-evento. Il benessere fisico e mentale derivante dalla pratica sportiva costituisce il “pillar D”, mentre lo sviluppo economico locale sostenibile è il fulcro del “pillar E”.
Considerato che le tecnologie sono vitali per il funzionamento di una manifestazione come le Olimpiadi, dove i processi sono numerosi ed eterogenei, è indiscutibile che l’impatto della tecnologia sia di primaria importanza. Le tecnologie necessarie in un evento come le Olimpiadi possono essere suddivise in tre categorie. In primo luogo, ci sono le applicazioni, simili a quelle onnipresenti in tutte le aziende, che nella realtà Olimpica hanno una complessità inferiore dal punto di vista dei processi o dei volumi che devono gestire, ma una complessità maggiore derivante dai picchi e intensità di utilizzo, dove l’affidabilità e la disponibilità sono essenziali. «Si tratta di gestire molteplici processi, esempio la vendita dei biglietti, supervisionare i processi di accredito, ospitalità, ristorazione, logistica, monitorare il flusso di ospiti e visitatori, coordinare una vasta forza lavoro distribuita sul territorio, ecc. Milano Cortina 2026 tra l’altro sperimenterà per la prima volta circa venti nuovi sistemi che andranno a sostituire o affiancare quelli già esistenti. Successivamente, c’è il tema delle infrastrutture di telecomunicazione e connettività: sono tecnologie di media broadcasting che devono garantire l’acquisizione, la produzione e la diffusione dei contenuti audio video a livello mondiale dell’evento. Infine, la terza categoria, la più critica, riguarda il “timing scoring”, cioè la rilevazione accurata, immediata e altamente affidabile dei tempi e dello scoring legati alle performance dei vari atleti. Sono tecnologie audio video, IoT, presenti soprattutto a bordo campo o ai lati della “pista”: sensori, cronometri e telecamere che vanno a ufficializzare il risultato di ogni singola prova. «L’unica cosa che non puoi fare è dire a un atleta a fine gara di ripetere la prova perché la tecnologia non è stata in grado di raccogliere i dati relativi alla sua performance» – scherza Moretti. Conclude ricordando l’importanza della ridondanza delle infrastrutture, di continuità del funzionamento, di resilienza e di affidabilità delle applicazioni, nonché di estrema attenzione alla cybersecurity.
Infine, «Dal punto di vista dei diritti umani, le Olimpiadi sono intrinsecamente neutrali rispetto a bandiere, ideologie, culture o religioni. Lo sport prevale su qualsiasi tipo di distinzione e unisce persone di ogni provenienza. Parlando di uguaglianza di genere, ad esempio, è importante sottolineare l’ascesa dello sport femminile da una parte e dall’altra che, a livello di Fondazione Milano Cortina, la percentuale di donne impiegate è circa la metà. Parlando di inclusione e accessibilità, le Paralimpiadi rappresentano la celebrazione della riduzione delle differenze. Tuttavia, un aspetto cruciale della sostenibilità sociale è anche la creazione di infrastrutture accessibili nelle comunità locali e l’adozione di tecnologie innovative per favorire l’inclusione. Portare infrastrutture presso molte comunità montane che non hanno oggi le stesse possibilità digitali di una metropoli significa ridurre il digital divide che le affligge». L’importante è mantenere queste infrastrutture adeguate nel tempo, attività che dovrà essere gestita post-evento in modo opportuno dalle realtà centrali e locali dell’amministrazione statale per non perdere il vantaggio acquisito con l’evento Milano Cortina 2026. Moretti conclude lanciando un appello a tutti i giovani che vogliono lavorare all’evento Milano Cortina 2026: «La Fondazione è alla ricerca di addetti in tutti i settori e si parla di centinaia di persone. Solo nel comparto IT, dovranno essere assunte quest’anno circa 50 persone».
LA FORMULA DELLE CINQUE R
I data center sono energivori per definizione. Quando si parla di ridurre questo consumo e le relative emissioni di CO2, Milo Gusmeroli di Banca Popolare di Sondrio propone la formula delle cinque R: riduzione, risparmio, riutilizzo, ricompensa e riflessione/rimisurazione. «La riduzione è fondamentale poiché i fabbisogni tecnologici non possono essere eliminati completamente, anzi tendono a crescere, ma i consumi possono essere ottimizzati attraverso l’uso di software di qualità e un monitoraggio adeguato nel continuo dello stesso, prevenendone pure l’obsolescenza. Inoltre, un’interdipendenza efficiente tra le diverse applicazioni può ottimizzare le comunicazioni tra i servizi e quindi i consumi, un’architettura ben calibrata e una gestione attenta dei dati, mantenendo solo ciò che è strettamente necessario, consente di non ampliare a dismisura gli spazi di archiviazione. Risparmiare – spiega Gusmeroli – vuol dire anche imparare a utilizzare metodologie applicative e architetture flessibili, ovvero legate allo stretto fabbisogno o anche condivise, purché si sia coscienti che è importante l’adozione ma anche il “ritorno o l’exit strategy” senza la creazione di vincoli o lock-in, si pensi per esempio al cloud e alla sua ibridizzazione. Riusare è importante perché oggi, grazie alla disponibilità di API o microservizi, è possibile evitare la duplicazione delle chiamate applicative e in più non si deve dimenticare di riutilizzare l’hardware in dismissione, magari non di ultima generazione, per garantire la necessaria ridondanza».
Ricompensare vuol dire aver presente che l’uso dell’energivora tecnologia crea possibilità di risparmio diretto (risparmio di carta o remotizzazione del lavoro) o indiretto per i propri clienti, agevolandone la fruizione dei servizi, per esempio mettendoli online ed evitando gli spostamenti fisici. Ripensare il metodo di misurazione della tecnologia è un ulteriore passo essenziale. «Non è più sufficiente valutare i software in base alla correttezza del codice, alla loro vulnerabilità o all’uso di librerie obsolete» – continua Gusmeroli. «Dobbiamo adottare misurazioni più focalizzate sull’ESG, considerando non solo il consumo energetico ma anche l’impatto sociale e ambientale delle soluzioni adottate, e la loro accessibilità e utilizzo responsabile. Inoltre, è necessario ripensare i processi anziché limitarsi a rifarli. Semplicemente riorganizzare i processi interni non è sufficiente per migliorare quelli tecnologici; occorre una completa revisione. Per questo, è importante anche riconsiderare la collaborazione con il business in ottica ESG a 360 gradi».
INAIL ha intrapreso un’iniziativa interessante partendo da un insieme di applicazioni, sempre secondo il metodo della sperimentazione, e utilizzando la soluzione CAST per un’analisi molto approfondita del codice sorgente. Questo processo di indagine si è esteso anche alla valutazione del software in termini di sostenibilità, cioè di impatto sui consumi dell’infrastruttura, grazie alle funzionalità specifiche di questa piattaforma – come riferisce Anna Sappa di INAIL.
Inoltre, grazie a fondi europei, INAIL sta riscrivendo (sesta “R”) le applicazioni istituzionali secondo un modello di co-creazione con i colleghi delle funzioni amministrative che le utilizzeranno. «E in questo processo di produzione, il nuovo software realizzato sarà misurato in termini green impact e reindirizzato al rispetto di parametri che la piattaforma CAST ci mette a disposizione per valutare la aderenza agli obiettivi che ci siamo dati».
Altro ambito IT in cui è possibile conseguire benefici a livello di sostenibilità riguarda l’adozione di ambienti cloud; per INAIL è divenuto uno standard scegliere il cloud per tutte quelle applicazioni che non presentano criticità in tal senso, ovvero in tutti quei casi in cui non intervengono problemi di privacy e sensibilità delle informazioni gestite e, in particolare, ogni qualvolta ci si trovi a erogare soluzioni digitali che presentano stagionalità o picchi di traffico. «Per le trasformazioni digitali più significative, come l’adozione del SaaS o la migrazione dell’ERP in cloud, l’INAIL si è impegnata a valutare anche i relativi indicatori chiave di sostenibilità» – dichiara Anna Sappa. Al contempo, INAIL sta attivamente monitorando l’impatto ambientale del proprio datacenter, sia per quanto riguarda il consumo energetico sia per lo spazio fisico occupato, tenendo conto del fatto che una parte considerevole delle applicazioni rimarrà on-prem. «Già nel 2017 il rifacimento del data center interno Tier3 era stato pensato con un’attenzione verso il risparmio energetico, basti pensare al circuito di raffreddamento interno che riutilizza il calore prodotto dal datacenter per scaldare gli ambienti destinati a ufficio».
MISURARE PER CERTIFICARE
Per gli aspetti di sostenibilità non è più sufficiente quindi misurare solo il software e la sua qualità ma anche il processo di sviluppo e manutenzione degli applicativi nella loro interezza. A tal scopo, grazie all’iniziativa della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, è stata emanata a luglio 2023 una Prassi di Riferimento UNI (PdR/UNI 147:2023) che seguendo le fasi del ciclo di vita del software definisce 58 KPI con lo scopo di misurare la sostenibilità di un progetto software. Angelini Industries sta lavorando per costruire un modello di sustainability case basato sulla PdR/UNI 147:2023 per la valutazione del portafoglio digitale dei nuovi progetti più importanti – come riporta Marco Lanza. Nel 2023 è stata condotta un’indagine sull’impronta carbonica dell’intera infrastruttura e dei dispositivi personali dell’azienda, evidenziando che il 70% di essa è attribuibile allo Scope 3. Per esempio, si è constatato che l’impatto delle infrastrutture è significativamente inferiore rispetto all’acquisto di licenze da parte dei fornitori principali, così come rispetto all’impronta carbonica generata dall’utilizzo dei device da parte dei singoli utenti. Nel 2024, il gruppo Angelini Industries prevede di intraprendere azioni mirate per mitigare le scoperte emerse dalle indagini. Dal punto di vista delle procedure di appalto, Angelini Industries sta attualmente implementando incentivi per i fornitori, premiando non solo la sicurezza delle soluzioni proposte, ma anche il loro impatto ambientale derivante dal consumo energetico. Questo approccio influenzerà anche i processi di approvvigionamento.
«Oggi, in quanto clienti dei loro cloud, dovremmo anche misurare i nostri hyperscaler – interviene Anna Sappa di INAIL – per pretendere da loro elementi di chiarezza sulla politica adottata a livello di ESG. Non ci sono, ad oggi, elementi indicati trasparentemente nei contratti; e questo ci rende miopi nelle scelte e impossibilitati a orientare le scelte in base a criteri che, invece, dovranno diventare sempre più importanti per spingere il mercato a impegnarsi sempre di più nella direzione della sostenibilità».
Per il country manager di CAST Italia, la vera innovazione dipende dall’adozione di uno standard «perché senza un metodo standard che permetta di uniformare le misurazioni, qualsiasi normativa rimane sterile» – afferma Massimo Crubellati. «Una regola UNI è multidisciplinare e può essere usata da tutte le aree aziendali per imporre misurazioni e certificazioni attendibili. Adottare queste metodologie su ambiti nuovi è relativamente semplice, il difficile è farlo su tutto il parco applicativo esistente». CAST ha messo a punto alcuni framework che consentono l’analisi dei singoli ambiti applicativi – i legacy che tutti hanno – e la costruzione di una journey trasformativa e di una roadmap che possano tenere conto, oltre che degli aspetti di innovazione tecnologica e di adozione del cloud, anche degli aspetti più specificatamente di impatto ambientale, arrivando a definire anche i risparmi economici indotti che possono essere usati all’interno dei business case o inseriti nei bilanci. Tutto questo grazie agli standard che correlano inequivocabilmente la misura con il relativo saving di CO2.
Concludendo si può affermare che è necessario darsi obiettivi trasformativi definiti per passi successivi che, poi, tramite la misurazione basata su standard, possano sfociare in una roadmap che tenga conto di valori oggettivamente misurabili consentendo di portare i valori di sostenibilità e di risultati economici indotti a livello di bilancio e di fiducia da parte del business. Serve un linguaggio comune sostenuto da qualche piattaforma basata su standard che certifichi il dato e lo renda usabile in quanto dimostrabile. «Anche la sostenibilità ha un prezzo» – afferma Gusmeroli di Banca Popolare di Sondrio. «E va pianificata con rigore, metodo e attenzione a tutti gli aspetti economici, ambientali e sociali».
RIVOLUZIONE CSRD
L’introduzione della CSRD fa crescere il numero di imprese che devono redigere il bilancio di sostenibilità rispetto all’attuale NFRD (Non-Financial Reporting Directive). In Italia si passerà da circa 200 imprese obbligate alla rendicontazione di sostenibilità a circa 4-5mila. Ma ci si aspetta nei prossimi anni un allargamento ad aziende di dimensioni minori e anche, forse, alla Pubblica Amministrazione.
Il bilancio di sostenibilità non potrà più essere un documento a sé stante ma sarà obbligatorio inserire il bilancio ESG all’interno della relazione sulla gestione diventando parte integrante del bilancio economico-finanziario delle aziende. Con la direttiva CSRD, l’Unione Europea chiarisce che le performance ESG non sono meno importanti della performance economica di un’azienda. La CSRD richiede che, oltre al bilancio civilistico, anche il bilancio di sostenibilità venga verificato da una società di revisione accreditata che garantisca la conformità del bilancio alla normativa, rendendo di fatto i dati ESG più affidabili e comparabili – in quanto misurati oggettivamente. Siccome nel rendicontare l’informativa di sostenibilità si dovranno includere le informazioni sugli impatti materiali, sui rischi e sulle opportunità connesse all’intera catena del valore, potrà essere richiesto ai vari fornitori di fornire e condividere con l’azienda informazioni relative a specifici indicatori di sostenibilità. L’azienda dovrà quindi ridefinire le policy di rendicontazione, le metriche e il reporting package nonché stabilire i flussi di controllo per questo nuovo ambito.
KPI PER LA SOSTENIBILITÀ DIGITALE
La Prassi di riferimento UNI/PdR 147:2023, voluta e ideata dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale, definisce i requisiti e gli indicatori di prestazione (KPI) che i progetti di trasformazione digitale devono avere per essere considerati coerenti con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030. Tali requisiti sono specificati da una serie di indicatori (KPI), relativi alle componenti infrastrutturali, architetturali e applicative di un progetto di trasformazione digitale. Gli indicatori sono riferiti a specifici SDG e alle principali fasi del ciclo di vita di un progetto. Nel loro insieme, costituiscono una check-list con la quale confrontarsi a partire dalle fasi iniziali di impostazione del progetto fino alla sua attuazione, monitoraggio e chiusura. La sostenibilità digitale indica nel contempo il ruolo delle tecnologie digitali quali strumenti per lo sviluppo di un futuro sostenibile e la direzione da dare alla tecnologia digitale perché sia sviluppata sulla base di criteri di sostenibilità. Lo scopo della Prassi è, anche, di andare oltre il principio Do No Significant Harm (DNSH), adottato dalla UE per i piani nazionali di Next Generation Europe, che si limita a richiedere alle organizzazioni di adottare misure appropriate per “evitare o minimizzare i danni significativi o irreversibili causati dall’attuazione delle loro iniziative”. Una gestione responsabile dei progetti di trasformazione digitale che potrebbero avere un impatto significativo sull’ambiente, sull’economia, sulla salute, sulla società e sui diritti umani, dovrebbe guardare infatti oltre gli impatti negativi e perseguire un processo di miglioramento continuo. Al giorno d’oggi, digitalizzazione e sostenibilità convergono: non è più possibile scorporare le tendenze digitali dalle tendenze della sostenibilità e “fare impresa” in maniera sostenibile e grazie alla digitalizzazione consentirà alle aziende di creare valore per il business, la società e il pianeta intero.
La trasformazione digitale, intesa come conseguenza socio-economica derivante dall’impatto della digitalizzazione sui processi aziendali e sui comportamenti delle persone, induce ogni organizzazione a dover sviluppare una riflessione sulle modalità con le quali debba essere ripensato il proprio modello di business in virtù, appunto, degli impatti sociali ed economici del digitale sulla propria struttura e sui mercati di riferimento. Perché tale percorso di trasformazione digitale sia coerente con la necessità di orientare il cambiamento sulla base di modelli di sviluppo sostenibile e nella direzione indicata dall’Agenda 2030, si dovrebbe adottare una logica orientata alla sostenibilità digitale.
Al fine di garantire una misurazione del livello di sostenibilità di un progetto di trasformazione digitale, sono stati quindi individuati 58 indicatori di performance (KPI) che nascono da una analisi nei differenti ambiti (Architetture, Infrastrutture e Applicazioni) che caratterizzano le scelte sulle tecnologie, gli aspetti organizzativi e i criteri di sviluppo di un progetto di trasformazione digitale. Le imprese devono comprendere che un modello di business sostenibile è fondamentale per creare valore non solo per sé stesse. La trasformazione digitale non è solo un cambiamento tecnologico, ma anche una riflessione critica sui modelli di business alla luce degli impatti sociali ed economici della digitalizzazione.
SFIDE E OPPORTUNITÀ
In conclusione, l’introduzione della CSRD e l’adozione delle linee guida UNI/PdR 147:2023 rappresentano due importanti sviluppi nel contesto della sostenibilità aziendale e della trasformazione digitale. La CSRD pone l’accento sull’importanza della rendicontazione ESG obbligatoria e sulla revisione da parte di società di revisione accreditate, contribuendo a promuovere una maggiore trasparenza e responsabilità aziendale a livello europeo. D’altra parte, le linee guida UNI/PdR 147:2023 offrono un quadro strutturato per valutare e misurare la sostenibilità dei progetti di trasformazione digitale, integrando la sostenibilità in tutte le fasi del ciclo di vita del progetto. Tuttavia, entrambe queste iniziative presentano sfide significative. La CSRD impone alle organizzazioni un adattamento complesso ai nuovi requisiti normativi e richiede investimenti considerevoli in risorse e tecnologie per garantire la conformità e la qualità dei dati ESG. Allo stesso modo, l’implementazione delle linee guida richiede un cambiamento culturale e organizzativo all’interno delle aziende, insieme a un impegno costante per integrare la sostenibilità in tutte le fasi del processo decisionale. Inoltre, c’è la sfida di garantire che queste iniziative siano realmente efficaci nel promuovere una sostenibilità autentica e che non si trasformino in esercizi di conformità formale. È necessario un impegno continuo da parte delle aziende, delle istituzioni e della società civile per garantire che la sostenibilità diventi un pilastro centrale delle operazioni aziendali e della trasformazione digitale.
Foto di Gabriele Sandrini
Point of view
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