Giulio Sapelli, identità e contaminazione

Giulio Sapelli, identità e contaminazione

Il Made in Italy è resiliente per definizione: il rapporto continuo con il limite ne caratterizza la forza propulsiva, attraverso una lunga storia di trasformazioni e continue contaminazioni. «Il Made in Italy è naturalmente embedded, open e connesso con la bellezza e la cultura del nostro Paese» – spiega Giulio Sapelli, economista, esperto di organizzazione aziendale, docente di Economia politica e Storia economica alla Statale di Milano. Il Made in Italy diventa occasione di riflessione sulle capability e sulle componenti di prodotto, processo e materie prime, dati compresi. Riflessione che si estende al concetto stesso di cambiamento che non è necessariamente solo “disruptive”.

«Il Made in Italy è esperienza di adattabilità e continua reinvenzione. Prendiamo le distanze dalle mitologie e dalle celebrazioni, e ricordiamoci che siamo stati sempre una economia aperta» – afferma Sapelli. «Il rapporto tra dimensione di impresa e processo di innovazione costituisce una delle questioni fondamentali. Mentre il capitalismo è diventato completamente mobile, intanto la mobilità è diventata compiutamente capitalistica nell’interconnessione di logistica, digitalizzazione, transizione energetica, struttura produttiva delle fabbriche e consumatori alway-on. Quando diciamo che i campioni dell’innovazione incontrano i campioni del “saper fare italiano” – espressione che prediligo rispetto al barbaro “Made in Italy” – stiamo proponendo un approccio di risoluzione dei problemi basato sull’esperienza pratica e sull’apprendimento attraverso la scoperta. Il tema possiede il dono della rilevanza euristica, che dovrebbe essere fonte di ispirazione. L’identità, l’innovazione, la diversificazione e l’eccellenza sono gli asset della nostra presenza sul mercato globale. Gli investimenti dall’estero sono la conseguenza dell’attrattività di questo valore».

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Il Made in Italy come filosofia pratica

Dal punto di vista storico-economico, la manifatturiera italiana è la forza trainante dell’economia nazionale che, pur arrivando tardi e trovandosi inizialmente tra gli ultimi, riesce a distinguersi. «Il Made in Italy non è solo un’etichetta, ma una filosofia pratica che si esprime attraverso la produzione di beni di eccellenza» – continua Sapelli. «Tuttavia, il suo futuro è legato a doppio filo una serie di sfide aperte che richiedono attenzione particolare e strategia oculata. Prima fra tutte, la competitività, che impone di mantenere un prezzo di produzione competitivo senza compromettere la qualità. La logistica avanzata assume un ruolo cruciale per garantire che i prodotti italiani possano raggiungere i clienti finali in tutto il mondo. L’energia, elemento essenziale per la produzione, richiede soluzioni sostenibili per preservare l’ambiente, ma senza rottamare dall’oggi al domani intere filiere produttive. Le materie prime, fondamentali per i processi di trasformazione, devono essere gestite in modo responsabile. La sostenibilità, che influenza sia la produzione che la brand equity, rappresenta un aspetto sempre più rilevante nell’attuale panorama globale. La tracciabilità e la qualità dei beni prodotti sono elementi irrinunciabili per mantenere la fiducia dei consumatori. La formazione è fondamentale per garantire il trasferimento del know-how alle nuove generazioni. L’innovazione deve permeare tutti i processi, rappresentando il motore trainante del Made in Italy nel contesto internazionale, puntando su IoT e intelligenza artificiale». Tutti questi elementi devono integrarsi con uno stile manageriale italiano – sulla scia delle lezioni di Olivetti, Ferrari, Mattei, Ferrero – per coniugare tradizione e modernità. Per farlo – suggerisce Sapelli – «è necessario che il Made in Italy diventi parte integrante del “costume nazionale”, motivo di orgoglio collettivo, spinta verso all’eccellenza, luogo del trasferimento di una tradizione unica al mondo». I nemici del Made in Italy sono numerosi, e non tutti sono al di fuori dei confini nazionali. «La nostra incapacità di costruire un fronte comune e di sviluppare un sistema coeso ostacola la nostra crescita a livello internazionale. L’impresa non dovrebbe essere solo una realtà economica, ma una vera e propria comunità. Senza una solida comunità d’impresa, qualsiasi tentativo di esprimere il “genius loci” rischia di essere insostenibile nel lungo periodo. È fondamentale coltivare un senso di unità e collaborazione tra le imprese italiane, creando una sinergia che possa rafforzare il nostro posizionamento sul mercato globale, rafforzando le partnership internazionali e i rapporti bilaterali. Solo attraverso un impegno condiviso e una visione comune possiamo preservare il valore delle nostre produzioni di eccellenza».

Made in Italy come intreccio di sapienza artigianale e innovazione della capacità imprenditoriale. «Il Made in Italy non è solo un’etichetta, ma una filosofia pratica»

Lo scenario del cambiamento

Dalle Torri Gemelle del 2001 alla pandemia, dalla guerra in Ucraina all’attacco di Hamas in Israele del sette ottobre, viviamo un delicato passaggio storico in mezzo a macerie e nuovi equilibri, ancora tutti da costruire. Tra la “Via della seta” e la “Via del cotone”, il mondo non sa più che strada prendere – spiega Sapelli. «Gli USA sono al palo. L’Europa non riesce a trovare la sua centralità. Dobbiamo prepararci ad affrontare nuove sfide di natura economica, tecnologica e geopolitica. Gli attacchi del 2001 e la barbarie omicida di Hamas hanno la stessa impronta terroristica. Qui emergono le contraddizioni interne al mondo capitalistico». Dal Medio Oriente all’Africa, se vogliamo veramente comprendere ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi, dovremmo rileggere l’Anabasi di Senofonte – continua Sapelli. «Il resoconto di Senofonte diventa metafora della capacità di adattamento alle circostanze mutevoli e “risalita” letterale verso una maggiore consapevolezza della condizione umana. Dobbiamo pensare a costruire la pace se vogliamo dare futuro anche alle nostre imprese». Gli shock esogeni al ciclo economico interrompono la circolarità dei capitali e delle merci. «L’economia capitalistica è legata alle dinamiche relazionali» – spiega Sapelli. «Il Made in Italy costituisce un connubio storico concreto, radicato nelle profondità della tradizione e al contempo permeato da un approccio innovativo, capace di abbracciare il progresso». Due sono le componenti del Made in Italy: «La competenza, intesa come conoscenza approfondita, e la capacità vocazionale, intesa come competenza intrinseca guidata dalla passione.

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In un’epoca che si muove verso una sorta di neospinozismo, dove la natura artificiale sembra sostituire la divinità, il Made in Italy rimane saldamente ancorato alla competenza e alla passione delle persone, alla capacità di creare prodotti reali che il mondo ci chiede, valori trasmessi attraverso le istituzioni primarie dello sviluppo economico: la famiglia e l’impresa familiare». Mentre si ridimensionano le previsioni di crescita dell’Italia, gli italiani contribuiscono a far crescere il Pil del mondo. «L’Italia non è indietro in termini di competenze ad alto valore aggiunto. Il vero problema – conclude Sapelli – sta nella mancanza di riconciliazione tra i saperi. La vocazione del Made in Italy non è destinata a un posizionamento di nicchia. Ciò che rende unico il Made in Italy è la sua capacità di generare imprenditori, di coltivare cultura umanistica e istruzione tecnica. Da qui dobbiamo ricominciare, facendo attenzione a non smarrirci nelle celebrazioni».