Franco Baresi, la rivoluzione possibile

Franco Baresi, la rivoluzione possibile

Da giovanissimo, il soprannome “Piscinin” (“piccoletto” in milanese) non gli rende giustizia e nel giro di una manciata di anni è ribattezzato “Kaiser Franz” per il pugno con cui comanda la difesa, in omaggio a Franz Beckenbauer. Stiamo parlando di un autentico gigante del pallone, tra i migliori calciatori di sempre: Franco Baresi, ex capitano degli Azzurri e del Milan, dirigente sportivo e attuale vice presidente onorario del club rossonero. Lo scatto in difesa, la velocità di gioco, il controllo della palla, l’eleganza unita all’umiltà di Franco Baresi restano nella storia del calcio. Un calcio che non c’è più e che ha ispirato intere generazioni.

Lo stratega del fuorigioco, degli anticipi e delle chiusure impossibili. Difensore libero, capace di impostare l’azione di attacco, Franco Baresi è un campione dentro e fuori il campo di gioco. Campione di coraggio, ma soprattutto di attenzione e rispetto: le virtù della vera conoscenza, malamente dimenticate, per dirla con Simone Weil. L’uomo che ha guidato la rivoluzione di Arrigo Sacchi e Silvio Berlusconi, dando vita a una nuova era del calcio. Campione del mondo nel 1982 e vicecampione nel 1994 con la nazionale italiana, ha vestito la maglia azzurra per tredici anni, ricoprendo il ruolo di capitano dal 1991 al 1994. La sua esperienza internazionale include la partecipazione a tre edizioni della Coppa del Mondo e due Campionati d’Europa. La sua carriera è un inno alla lealtà e alla dedizione verso il Milan, la squadra che chiama «casa» dal 1977 al 1997, indossando la fascia di capitano per 15 stagioni.

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Insieme a Tassotti, Maldini e Costacurta, dà vita alla linea difensiva più forte di sempre, contribuendo a stabilire un record senza precedenti: 58 partite consecutive senza subire sconfitte nei cinque principali campionati europei. Lo straordinario recupero dopo l’infortunio nei Mondiali del ‘94 e le lacrime per quel rigore finito alto sopra la traversa restano l’esempio più concreto di un campionissimo che dopo aver dato tutto se stesso vede infrangersi il sogno di un’impresa veramente epica. Franco Baresi ha incontrato la vittoria e la sconfitta e le ha trattate allo stesso modo. Poche parole, mai una di troppo. Il suo nome è scolpito nell’olimpo del calcio, ma l’uomo arriva sempre prima del campione.

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L’importanza di allenare il talento

Franco Baresi ha aperto le porte all’innovazione nel calcio, promuovendo la creazione di un sistema di raccolta e analisi dei dati per supportare le decisioni, che ha portato successivamente alla creazione del Milan Lab. I dati raccontano tutto: performance, gestione degli asset e delle risorse, salute dei giocatori, previsioni di gioco, sentiment dei tifosi. «L’analisi dei dati da alcuni anni è diventato un tema importante nel calcio, come lo era già in altri sport» – spiega Baresi. «Col Milan Lab abbiamo anticipato i tempi. Oggi, l’intelligenza dei dati è sempre più utilizzata, soprattutto a livello di scouting e di prevenzione infortuni, per limitare gli errori nei processi decisionali. Quando non si hanno a disposizione budget importanti per fare mercato, l’approccio data-driven diventa decisivo, perché il margine di errore si riduce». Il calcio ha subito una trasformazione significativa dopo l’era di Sacchi e Berlusconi: si sono introdotti nuovi metodi di allenamento, modelli di gioco basati sui dati, sessioni di training incentrate sulla mentalità individuale e di squadra, oltre a un’attenzione particolare alle abitudini dei giocatori. «Come la fortuna aiuta lo spirito audace, l’innovazione si realizza grazie alla mente preparata» – racconta Franco Baresi. «Io ho avuto la fortuna di avere come allenatore Liedholm, che proponeva un calcio innovativo. Questo approccio mi ha permesso di accogliere le nuove idee di Sacchi. Dopo i primi tempi, caratterizzati dalle naturali difficoltà ad adattarsi al nuovo sistema, vedere che l’innovazione di Sacchi e Berlusconi funzionava ci ha dato l’entusiasmo per creare quel modello di gioco che ha rivoluzionato il calcio».

L’importanza di “allenare” il talento e di trasmettere esperienza e conoscenza alle generazioni future: un tema comune alle imprese del Made in Italy. Come si coltiva l’eccellenza? «Bisogna sempre trovare l’equilibrio tra libertà e rigore. I calciatori non sono burattini» – afferma Baresi. «Lo sviluppo del talento all’interno di un gruppo è un tema molto delicato. Ci vuole la sensibilità giusta per mediare tra rispetto delle regole, sistema di lavoro e rispetto dell’individualità del giocatore in campo o del dipendente in azienda. Riuscire ad assecondare la sensibilità personale, senza compromettere gli equilibri del gruppo, è il modo migliore per riuscire a sviluppare il talento. Nel calcio, l’ho sperimentato nella mia esperienza diretta sia come direttore del settore giovanile che come capitano».

Che cosa significa essere campioni? «Lealtà e rispetto sono valori senza tempo. Non sono le vittorie, ma le sconfitte a mostrare che tipo di persona siamo»

Cambiamento e leadership

Il cambiamento obbliga tutti ad adattarsi per resistere e trovare nuove strategie di gioco. Come si cambia, rimanendo fedeli a se stessi? «Non è facile innovare, mantenendo la propria identità sia personale sia aziendale. Se si è arrivati a certi risultati, significa che si è partiti da valori importanti, da un sistema che funziona. Quindi, quando il mondo intorno a noi cambia, è importante riuscire a mantenere le proprie radici: come il Made in Italy che poggia il suo valore intrinseco sull’eccellenza, ma che richiede anche di trovare modi creativi per affrontare le sfide future. Questo è ciò che abbiamo realizzato con il Milan di Sacchi e Berlusconi. Partendo da una base solida italiana, siamo riusciti a creare un nuovo metodo di gestione dei giocatori dagli allenamenti alla partita, dalla alimentazione alla reputazione. Il punto di partenza è riconoscere la forza delle proprie radici e proteggerla, ma senza fughe in avanti o in solitaria, dettare dalla paura del cambiamento». La differenza tra i campioni di oggi e quelli di ieri può essere oggetto di dibattito e dipende da vari fattori: stile di gioco, livello di esposizione mediatica, aumento del livello di competizione che può rendere più difficile emergere. «Innanzitutto, è fondamentale capire che cosa significa essere un campione» – spiega Baresi. «Non dipende semplicemente dal sollevare trofei in aria, ma dal modo in cui ci si è comportati nella ricerca della vittoria, da come si è contribuito a offrire un esempio alle generazioni future». Se i dati raccontano tutto, è impossibile dimenticare. Nel suo libro “Libero di sognare” (2021, Feltrinelli), Franco Baresi afferma: «Non ricordare tutto, però, è il modo per non perdere di vista le cose importanti». Quali sono le cose fondamentali che non bisogna mai perdere di vista? «Lealtà e rispetto sono valori senza tempo. Come abbiamo vissuto certi momenti, come li abbiamo superati, come ci siamo rialzati e come abbiamo reso partecipi gli altri fanno la differenza. Non sono le vittorie, ma paradossalmente sono le sconfitte a mostrare che tipo di persona siamo».

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