L’azienda punta su competenza, esperienza e innovazione. Ma serve una nuova GDPR
Parlare dei dati come “il nuovo petrolio” è diventato uno slogan un po’ troppo comodo. «Se i dati non li governi, se non li gestisci, aumenti solo il rumore» avverte Donato Cappetta, direttore dell’area Innovazione & Ricerca di Eustema, società che si occupa di strategia, e governance dei dati da più di venticinque anni. «Lavoriamo sui dati da prima che si parlasse di Big Data o di data driven economy – spiega Cappetta –. Dal 2012 come ricerca e sviluppo ci siamo spostati sulla gestione di grandi quantità di dati come filone progettuale e metodologico. Il primo punto di forza in questo ambito sono le competenze: investiamo molto sul personale, sulla formazione continua e sulle alleanze con università e centri di ricerca del territorio in cui operiamo. Spesso entrano in azienda neolaureati che hanno svolto lavori di tesi o tirocini all’interno di Eustema. Il secondo grande tema è quello dell’information technology: costruiamo l’infrastruttura informatica e tecnologica perché i nostri clienti possano estrarre reale valore dai dati, con la data science e un approccio olistico sempre più importante nell’attività di consulenza. Il terzo punto di forza è il nostro background storico da ingegneri del software: abbiamo un’esperienza consolidata su come ingegnerizzare e rendere scalabili queste soluzioni».
«La competenza è determinante – conferma Sergio Palma, direttore tecnico di Eustema –. Oggi viviamo alcune trasformazioni tecnologiche simultanee: da un lato la trasformazione delle architetture in ottica cloud, dall’altro una trasformazione tecnologica per l’elaborazione del dato quanto più possibile in real time. Da tempo stiamo caratterizzando i gruppi di lavoro di qualsiasi progetto che conduciamo con la capacità di estrarre valore dalle informazioni trattate nel singolo processo e di relazionare quei dati con il resto del contesto dell’organizzazione».
Eustema sta lavorando su progetti con al centro i dati per grandi organizzazioni, come l’Inail, il ministero dei Beni culturali, l’Archivio centrale di Stato, la Rai. «C’è una forte spinta da parte delle organizzazioni per ottenere valori dai dati – nota Palma –. A volte sono processi che non richiedono solo tecnologia, ma anche pazienza, perché fare parlare tutti i soggetti interessati non è un lavoro immediato».
Il prossimo passo che occorre per spingere la data driven economy in Italia e in Europa è un aggiornamento delle regole sulla privacy. «Tutt’oggi il trade-off tra la GDPR e la condivisione dei dati per fare diagnostica, predizione e analisi non è facile – dice Cappetta –. Stiamo progredendo verso tecniche di anonimizzazione, mascheramento, computazione di natura diversa, soluzioni che permettono di salvaguardare il dato e la riservatezza delle persone. Ormai occorre però una versione 2.0 della GDPR, applicato dal 2018 ma che è stata pensata quasi 15 anni fa in un contesto di dati molto diverso». Il punto, aggiunge Palma, è anche fare capire alle persone quanto i loro dati possano essere preziosi: «Oggi il consenso chiesto agli utenti in vari servizi pubblici o privati è restrittivo: si usa il dato solo per il preciso obiettivo per cui è stato raccolto – aggiunge Palma –. Questo però impedisce utilizzi che sarebbero utilissimi, per tutta la società, in molti ambiti, pensiamo ad esempio alla sanità. Manca un po’ di sana comunicazione al pubblico sull’uso positivo dei dati».