Beppe Carrella: «C’era una volta un pezzo di legno»

Beppe Carrella: «C’era una volta un pezzo di legno»

Considerato una favola per bambini, primo romanzo dell’Unità d’Italia, il Pinocchio di Carlo Lorenzini, alias Collodi, ha i colori della bandiera italiana ed è ricco di simboli e significati nascosti. Benedetto Croce scrisse che “il legno, in cui è tagliato Pinocchio, è l’umanità”. Allo stesso modo, Pinocchio è la sintesi della capacità delle imprese di investire, di rischiare e di vedere opportunità nuove, dove gli altri vedono solo “un pezzo di legno buono per il camino”.

Il Made in Italy somiglia alla favola Pinocchio perché è una storia di trasformazione, di ricerca, di nuovi inizi, ma anche di scorciatoie pericolose e fili che non si vedono. Pinocchio è il simbolo dell’eccellenza che anima il Made in Italy ma anche del suo contrario. «Pinocchio è un ribelle a tutti gli effetti. Tecnicamente non un è burattino, ma una marionetta-automa che si muove da sola» – spiega Giuseppe Carrella, per tutti “Beppe”, fondatore e partner di BCLAB, “rigattiere digitale” e “spacciatore, abusivo”, di musica rock, docente in università italiane e straniere, con un passato da CEO in diverse realtà internazionali del panorama ICT. «Anche Geppetto è un ribelle che viene portato in prigione per avere osato troppo» – continua Carrella. «Per cambiare i modelli manageriali e trovare soluzioni veramente nuove bisogna rompere gli schemi non fare la check-list o affidarsi ai piloti automatici che seguono rotte conosciute. La leadership non si basa sulle dimensioni, ma sulla capacità di configurarsi e riconfigurarsi, sfidando il tempo, lavorando sulla qualità, trasferendo il sapere. L’eccellenza non è una azione rivolta al passato ma una disposizione mentale a immaginare il futuro». Pinocchio non è il personaggio classico delle fiabe. «È un percorso iniziatico attraverso sentieri traballanti di libertà» – afferma Carrella. «Un viaggio di disobbedienza non come violazione ma come superamento delle regole in mondo immobile, fatto di slogan e pensieri stagnanti, che non spiegano nulla ma che accarezzano le orecchie di chi ascolta e che si dissolvono a contatto con la realtà, dove agiscono forze deboli che non abbiamo ancora veramente compreso».

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Leggi anche:  NIS 2, l’AI e l’effetto Taylor Swift

Le avventure di Pinocchio sono cammino che diventa eresia e confronto con i propri limiti. Pinocchio è tutto d’un pezzo come il legno di cui è fatto. Trasgredire significa uscire dalla zona di comfort, liberarsi dalla paura di fallire, andare oltre, non omologarsi, utilizzando la propria unicità e diversità. La materia narrativa delle avventure di Pinocchio sono un gioco di riflessi dove tutto è doppio e triplo. «Il percorso di Pinocchio rappresenta il viaggio di crescita che tutti dobbiamo affrontare, imprese comprese. Ma è anche un percorso di conoscenza, di conflitto tra mondo reale e immaginazione, di rapporto con il potere. Il rischio intrinseco è l’omologazione, la perdita della meraviglia» – spiega Carrella. «Nella scena del Gran Teatro dei Burattini di Mangiafoco, Pinocchio si trova con la sua unicità tra tanti burattini, costretti a recitare sempre la stessa parte e a reclamare non la novità ma la stessa commedia. Solo uno spirito ribelle e creativo può cambiare il mondo» – afferma Carrella.

Oltre il pensiero lineare

L’altro personaggio straordinario e veramente diffamato della storia è Mangiafuoco. «Per tutti è una figura negativa, in realtà è un burbero venture capitalist che alla fine finanzia Pinocchio “inesperto startupper” con cinque monete d’oro che valgono 40mila euro di oggi» – spiega Carrella. Pinocchio è da sempre considerato quello che dice le bugie. «Questa è una favola, dentro la favola. In realtà, Pinocchio è il personaggio che nel romanzo dice meno bugie di tutti. La Fata dai capelli turchini, il gatto e la volpe mentono, ma a loro non cresce il naso. Nell’antichità, la parola naso è associata al concetto di respiro vitale, di curiosità e intuito. Chi ha “il naso lungo” è in grado di prevedere e cogliere i collegamenti nascosti tra gli eventi. Ogni volta che a Pinocchio cresce il naso, intorno a lui è successo qualcosa che lo rende curioso di conoscere. Nella scena del teatro, sul palco ci sono anche Pulcinella e Arlecchino che litigano: «Il Nord e il Sud. L’Italia è stata appena fatta e già c’è la contrapposizione».

Leggi anche:  L’intelligenza è sopravvalutata?

Nel secondo capitolo, dopo la baruffa con Mastr’Antonio, Geppetto, prende il suo pezzo di legno e zoppicando torna a casa. «Questa è una delle grandi lezioni di management del romanzo. Siamo abituati al pensiero lineare, invece devi zoppicare, devi continuamente rimettere in discussione le idee per poter creare qualcosa di nuovo. I manager sono ossessionati dalle check list del leader perfetto. E quando qualcosa va storto, c’è sempre qualcuno o qualcosa da incolpare» – spiega Carrella. «Pinocchio invece odia le check list. E Pinocchio si assume sempre la responsabilità delle proprie azioni, fino a che non gli crescono le orecchie e diventa asino». Le orecchie sono un altro simbolo interessante. «Ma nessuno ci bada. Perché siamo distratti. Quando Geppetto costruisce Pinocchio, e lo fa avendo l’arte dell’intarsiatore non del falegname come tutti credono, non gli fa le orecchie. Le orecchie gli crescono quando diventa asino. Perché c’è una differenza tra ascoltare e sentire».

Pinocchio e il Made in Italy: storia di trasformazione e ricerca. L’innovazione ha il naso lungo. «Solo uno spirito ribelle e creativo può cambiare il mondo»

Cambiamento e unicità

Nel romanzo, c’è la velocità di Lucignolo, abitante del Paese delle Api industriose, e quello dell’attesa di Lumaca. Il cambiamento di ciascuno influisce anche sul cambiamento degli altri personaggi. «Le aziende devono coltivare un po’ di ribellione. Un gruppo di ribelli sconfigge sempre un gruppo di imitatori e replicanti. Ma devono anche stare molte attente. Alla fine, c’è sempre il topolino che si mangia l’elefante e mai viceversa. Le grandi aziende muoiono, perché hanno la tracotanza di pensare di essere imbattibili e invincibili. In tempo di crisi, le aziende devono prendere un pezzo di legno e immaginare cose nuove, non affidarsi al cosiddetto leader pragmatico, capace solo di riprodurre gli schemi e le idee del passato che non funzionano più». Tutti ricordiamo che nel finale Pinocchio diventa un ragazzo in carne e ossa. Ma è veramente un lieto fine? «Pinocchio è un percorso di crescita e di esperienza con i nostri limiti. Pinocchio non aveva mai pensato di diventare un ragazzo vero. È la Fata dai capelli turchini che gli inculca questa idea. Benedetto Croce lo esprime in modo sorprendente: il finale di Pinocchio è incredibilmente violento. Pinocchio diventerà come tutti gli altri ragazzi, avrà un nome e cognome, potrà dire bugie senza che il naso gli cresca, ma avrà perso la sua identità. In realtà, il finale della prima stesura di Collodi è un altro: Pinocchio finisce impiccato a una quercia dal Gatto e la Volpe. Un finale macabro, ma a cui solo gli adulti possono credere». Perché? «Come fai a impiccare un burattino di legno? I bambini non ci credono».

Leggi anche:  Scenari multirischio, guida alla resilienza