L’intelligenza artificiale e il diritto dei mercati

Il 55% delle aziende farmaceutiche utilizza l'AI per la progettazione di prodotti e servizi

Controllo dei prezzi, il difficile equilibrio tra benefici e abusi. Il futuro delle tecnologie algoritmiche nei mercati sotto la lente della concorrenza e dell’antitrust. Il dibattito giuridico sull’elemento umano

L’uso dell’intelligenza artificiale continua a crescere in molti settori del business e a mutare, in profondità, il funzionamento dei mercati di tutto il mondo. Quando si parla di AI, ci si riferisce genericamente a quelle tecnologie che si basano su combinazioni di algoritmi informatici programmati per prendere decisioni spesso complesse. L’algoritmo vuole simulare i meccanismi dell’intelligenza umana: impara da un certo insieme di dati (per esempio, combinazioni di parole o di immagini) e, sulla base di quanto ha appreso, diventa in grado di valutare autonomamente un nuovo dato estraneo all’insieme di partenza, come farebbe la mente umana. Per molti settori, l’intelligenza artificiale non è un fenomeno nuovo. Alcuni tipi di intelligenza artificiale esistono da più di mezzo secolo e sono da tempo utilizzati per determinare i prezzi sul mercato: pensiamo al costo dei biglietti delle compagnie aeree; delle camere degli hotel; o dei titoli sui mercati finanziari. I nuovi algoritmi sono tuttavia molto più potenti dei precedenti per due ragioni: rispetto al passato, hanno a disposizione una quantità immane e crescente di dati da cui imparare; inoltre, l’algoritmo riesce a generare nuovi contenuti che pure diventano oggetto di apprendimento, in un processo rapido e incessante, in cui l’algoritmo evolve senza alcun intervento umano.

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Le aziende preferiscono affidarsi a questi algoritmi sofisticati perché sono in grado di regolare i prezzi in tempo reale più rapidamente ed efficacemente rispetto agli operatori umani. L’algoritmo osserva l’ambiente circostante, registra le informazioni, e reagisce alle oscillazioni di domanda, offerta, e soprattutto dei prezzi operati dalle imprese concorrenti, con lo scopo di massimizzare i profitti. L’algoritmo sperimenta vari livelli di prezzo e, come dicevamo, impara dalle sue precedenti decisioni sui prezzi. «Il dato significativo nel caso dell’AI è che gli stessi progressi nella tecnologia digitale che stanno generando nuovi comportamenti sul mercato stanno anche fornendo alle autorità nuovi strumenti di indagine e di azione» – spiega, in questa intervista, Letizia Gianni, avvocato che si occupa di concorrenza e antitrust a Washington DC.

Perché i prezzi algoritmici stanno attirando l’attenzione di esperti di diritto della concorrenza e delle autorità antitrust?

«Di recente, studiando il mercato tedesco della benzina al dettaglio, alcuni economisti hanno ipotizzato che l’adozione su larga scala di software per determinare i prezzi algoritmici possa condurre un aumento dei margini per le imprese, dato da un innalzamento generalizzato dei prezzi. È come se gli algoritmi dei vari venditori convergessero tutti verso livelli di prezzo più alti, a danno di chi compra. L’ipotesi ventilata dalle autorità antitrust è che gli algoritmi possano facilitare una collusione tacita tra concorrenti sui prezzi, condotta vietata dalla normativa antitrust di più di 125 paesi nel mondo. E i consumatori, che cercano tutela contro possibili abusi, stanno cominciando a testare tale ipotesi nelle aule dei tribunali».

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Qualche esempio?

«A gennaio di quest’anno, in Nevada una coppia di clienti ha fatto causa ad alcuni degli hotel più famosi di Las Vegas Strip – la strada più famosa della città, cuore pulsante dell’industria dell’intrattenimento e del gioco d’azzardo – accusandoli di essersi accordati per far pagare agli ospiti prezzi eccessivi per le camere determinati dallo stesso algoritmo. I due hanno anche agito contro la compagnia che ha creato l’algoritmo. Questo è solo uno di un’ondata crescente di casi antitrust che puntano il dito contro i modelli algoritmici che sarebbe usati per coordinare i prezzi sul mercato. Questi casi offriranno l’opportunità di approfondire la conoscenza del funzionamento dei prezzi algoritmici. È evidente che, più un mercato è trasparente quanto ai prezzi applicati, più gli algoritmi sono in grado di raccogliere moltissimi dati sui prezzi e monitorarli costantemente».

Una bella sfida per i regolatori

«Ogni stagione di innovazione tecnologica sui mercati pone sfide inedite alle autorità regolatrici competenti. La sfida più immediata è, di norma, quella di saper adattare le categorie analitiche usate in precedenza alle nuove condotte di mercato. Eppure, il dato significativo nel caso dell’AI è che gli stessi progressi nella tecnologia digitale che stanno generando nuovi comportamenti sul mercato stanno anche fornendo alle autorità nuovi strumenti di indagine e di azione».

Puoi spiegare meglio?

«La crescente complessità digitale del mercato spinge le autorità antitrust a usare algoritmi di apprendimento automatico per supervisionare il comportamento delle imprese sul mercato. Per equipaggiarsi in tal senso, le autorità devono necessariamente trasformarsi, dotarsi di nuove professionalità e tecniche di investigazione. Negli Stati Uniti, il Dipartimento di Giustizia sta assumendo “data scientists” che sappiano istruire i giuristi su come utilizzare gli strumenti algoritmici per raccogliere le prove di comportamenti illeciti sul mercato. Questi sviluppi sono destinati a porre nuove delicate questioni all’autorità, che dovrà saper offrire garanzie adeguate di imparzialità e legittimità nell’uso di algoritmi nell’azione amministrativa. Un giorno non lontano, le parti in causa dovranno difendere i rispettivi algoritmi di fronte a un giudice, e l’autorità investigativa dovrà rispondere alle stesse domande poste ai soggetti investigati: chi ha costruito l’algoritmo e come funziona? Chi lo supervisiona ed è responsabile del sistema»?

Ecco. Siamo arrivati al nodo della questione

«Si. È nodo centrale del dibattito giuridico su AI, nell’antitrust come negli altri campi in cui l’uso dell’intelligenza artificiale sta creando nuove istanze di protezione (penso all’uso dell’AI nei processi di assunzione di lavoratori che si sentono discriminati dai criteri di selezione applicati dall’algoritmo, oppure alle aziende che soffrono danni reputazionali a causa degli sbalzi di prezzi determinati dagli algoritmi). Credo che il problema sia individuare l’elemento umano nell’algoritmo e delimitarne il perimetro. L’algoritmo è stato programmato da una mente umana, che può avervi certo trasferito un intento discriminatorio o collusivo. Se l’algoritmo invece produce autonomamente effetti che non sono frutto di un accordo collusivo, ma della semplice interazione delle scelte delle singole imprese di avvalersi di un algoritmo, magari sapendo che i concorrenti fanno lo stesso, diventa molto più difficile addebitare alle imprese la responsabilità di quegli effetti».

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Mi viene in mente una startup, o un imprenditore che vuole innovare

«Penalizzare la scelta dell’imprenditore di utilizzare strumenti algoritmici sarebbe di per sé controproducente. La società ha tutto l’interesse a che gli attori economici sfruttino al massimo i benefici della tecnologia per fissare i prezzi in maniera efficiente. Le tecnologie algoritmiche sono ancora costose ma diventeranno presto molto più accessibili. Non bisognerà allora privarsi di tutti i vantaggi che deriveranno dall’adozione ad ampio raggio delle tecnologie algoritmiche in tutti i settori, sapendo intercettare e neutralizzare i possibili abusi».