Ferrari come sintesi perfetta di design, ingegneria e innovazione. La rivoluzione informatica di Maranello iniziata da Enzo Ferrari si traduce in una visione del futuro che sopravanza i tempi e risponde alle esigenze di una tecnologia human-centric
di Giuseppe Mariggiò
Enzo Ferrari sta alla storia dell’automobilismo come Adriano Olivetti a quella dell’informatica. Per Enzo Ferrari, la vera materia prima delle fabbriche non sono le macchine, le tecnologie. «La Ferrari è fatta prima di tutto di persone». Per Adriano Olivetti, la fabbrica è per l’uomo. «Non l’uomo per la fabbrica». Il 1984 è un anno di svolta per entrambe le aziende. L’AT&T entra nel capitale Olivetti e segna l’ingresso definitivo dell’azienda nell’era dell’informatica, con il successo dell’M24 (processore Intel 8086), presentata a marzo alla fiera di Hannover. Mentre a ottobre, al Salone dell’auto di Parigi, Ferrari svela la mitica Testarossa firmata Pininfarina, prima super car in serie limitata. Sintesi assoluta di progettazione, meccanica e stile. Si comincia a parlare di rivoluzione informatica come supporto alla progettazione e alla produzione.
Quello stesso anno, Data Manager dedica la storia di copertina di ottobre alla trasformazione della fabbrica di Maranello con un’intervista raccolta da Sandro Frigerio al fondatore Enzo Ferrari, insieme a Piero Lardi Ferrari, Mauro Rioli, Mauro Forghieri e Andrea Ferrari. Nel trentacinquesimo anniversario della scomparsa di Enzo Ferrari, ripubblichiamo quel racconto per l’incredibile attualità dei contenuti e per la lungimirante visione di cambiamento. Lontani dalle crociate protezionistiche, tuttavia consapevoli della necessità di valorizzare la filiera dell’automotive in Italia nel nuovo contesto di mercato, non possiamo che registrare lo spostamento transalpino dell’asse di controllo Stellantis.
Ferrari resta da sola in pista a difendere il vessillo dell’auto Made in Italy con un posizionamento ai vertici delle classifiche per riconoscibilità, successo, sportività, lusso, eleganza, capacità di influenzare mode e tendenze, e trasversalità oltre le definizioni. Il Cavallino Rampante vanta il maggior numero di Campionati Piloti (15), il maggior numero di Gran Premi disputati (830), e il maggior numero di vittorie in assoluto (216). Dopo l’annuncio della prima Ferrari cento per cento elettrica nel 2025 e dopo un 2022 da record, con risultati finanziari eccezionali e previsioni al rialzo anche per la guidance 2023, il Cavallino consacra il centenario della 24 Ore di Le Mans con la vittoria destinata a entrare negli annali dell’automobilismo, mentre in casa al GP di Monza strappa il podio con Sainz terzo, e Leclerc quarto, riflessi di un Paese che deve correre di più in pista e fuori. Da quando ha separato le sue attività dal gruppo FCA nel 2015, la casa automobilistica di Maranello ha registrato performance eccezionali, con rendimenti complessivi che hanno raggiunto un sorprendente 500 per cento. Questo livello di successo rappresenta un incremento dieci volte superiore, in media, rispetto ai risultati conseguiti dagli altri produttori automobilistici. Sul mercato azionario, Ferrari è stata equiparata a giganti del lusso che operano al di fuori del settore automobilistico. Nel 2022, Ferrari ha venduto nel mondo 13.221 auto (+18,5% rispetto al 2021), e la domanda è in ascesa anche nel 2023.
Tra le chiavi del successo della Casa di Maranello c’è la sinergia tra il Centro Stile e i reparti di ingegneria aerodinamica e sviluppo che si trovano fisicamente a pochi metri l’uno dall’altro. Una filosofia che non ammette compromessi tra design e performance. ll sogno di Enzo Ferrari ha lasciato un’impronta indelebile e continua a guidare l’innovazione. Il Cavallino rimane icona di eccellenza tecnica e simbolo di know-how Made in Italy. Enzo Ferrari era noto per la sua intransigenza per la perfezione tecnica e l’innovazione. Questo approccio alla progettazione e all’ingegneria si riflette ancora oggi nelle auto Ferrari, che sono sinonimo di prestazioni eccezionali e tecnologia all’avanguardia.
L’eredità di Enzo Ferrari è profondamente radicata nella cultura aziendale. La dedizione alla qualità, all’artigianalità e alla passione per l’auto sono segno distintivo che si riflette ancora nelle creazioni e nel marchio Ferrari. Una delle collaborazioni più celebri è stata con la casa di design italiana Pininfarina. Mauro Forghieri, più ingegnere che designer, ha contribuito significativamente all’ingegneria delle vetture Ferrari da corsa, apportando molte delle innovazioni tecniche che hanno reso le vetture Ferrari competitive in pista. La storia di copertina datata 1984, nonostante la patina del tempo, ci offre uno spaccato affascinante sull’evoluzione tecnologica nell’industria automobilistica e sulla transizione di Ferrari verso l’adozione di sistemi informatici avanzati nella progettazione e nella produzione delle vetture da corsa. Questo cambiamento non solo ha contribuito al progresso delle prestazioni delle vetture, ma ha anche aperto nuovi orizzonti nell’ingegneria automobilistica e nell’ottimizzazione dei processi creativi.
Quarant’anni fa, si faceva riferimento a sistemi mainframe come l’Univac 1108 per automatizzare i calcoli complessi. Fortran dominava nel campo dell’elaborazione ingegneristica, la condivisione dei dati avveniva via modem e il collaudo delle vetture avveniva principalmente su pista con piloti collaudatori. Non si parlava ancora di cloud, intelligenza artificiale e di framework IT iperconvergenti, eppure la direzione intrapresa da Ferrari era già quella giusta con la generazione di software e applicativi orientati alla grafica tridimensionale assistita, con i modelli matematici per la progettazione, con l’accelerazione dei tempi di sviluppo, la simulazione dei comportamenti in pista, l’ottimizzazione delle prestazioni e la strategia di gara, e la R&D impegnata nell’evoluzione di leghe leggere e materiali compositi.
Drive to the future
L’impatto strategico di un’industria si trasmette su diverse dimensioni, che vanno oltre l’aspetto economico e influenzano profondamente la società, l’ambiente e la tecnologia. L’industria automobilistica rappresenta un pilastro dell’economia in molti paesi, contribuisce all’export e al PIL, genera occupazione direttamente e attraverso l’intera catena di fornitura, dall’assemblaggio dei veicoli alla produzione di componenti e rappresenta un motore di innovazione tecnologica.
Negli anni 70, il settore automobilistico si trova ad affrontare la crisi energetica scatenata dalla guerra del 1973 e l’embargo petrolifero dei paesi dell’OPEC, con la conseguenza di un repentino aumento del prezzo del petrolio e dei suoi derivati, mettendo in luce, anche per i decenni successivi la dipendenza dai combustibili fossili e la loro vulnerabilità agli shock energetici. Oggi, il settore automobilistico è ancora una volta di fronte a un punto di svolta energetico. Tuttavia, l’obiettivo è diverso: la transizione energetica mira a ridurre l’impatto ambientale delle automobili, spostandosi verso fonti di energia più pulite e sostenibili. Le dinamiche geopolitiche, come le tensioni commerciali e l’accesso alle materie prime, possono influenzare i costi di produzione e l’intera supply chain dell’industria automobilistica. I cambiamenti demografici, come l’invecchiamento della popolazione e le preferenze dei consumatori per la sostenibilità e la tecnologia, influenzeranno le scelte di acquisto e l’offerta di modelli di veicoli. Grazie al connubio tra IoT e l’intelligenza artificiale, l’auto diventa non solo il touchpoint della smart city per ottimizzare la viabilità e la sicurezza stradale, ma anche un nuovo ecosistema di servizi a valore aggiunto.
Stiamo assistendo a una profonda trasformazione del settore automotive, perché rispetto al passato, cambia il concetto stesso di mobilità. Se il rapporto con l’automobile di massa diventa sempre meno emotivo e più razionale, la relazione con le supercar Ferrari continua a correre sul filo della passione. Miglioramento continuo e superamento delle aspettative, gestione proattiva della governance e del rischio, trasparenza, inclusività, responsabilità, partecipazione alla crescita del territorio sono le parole chiave che definiscono la strategia di sostenibilità della Casa di Maranello che si estende a tutta l’innovazione di prodotto e di processo, per garantire sia comportamenti etici sia rendimenti elevati e sostenibili agli azionisti. Ferrari è più che mai focalizzata a diventare carbon neutral entro il 2030, attraverso l’adozione di tecnologie all’avanguardia e di un approccio di ricerca continua, grazie all’installazione di un nuovo impianto da 1 MW di celle a combustibile a ossido solido (solid oxide fuel cell) negli stabilimenti di Maranello.
L’innovativa tecnologia adottata offre, oltre all’alta efficienza, anche la flessibilità di scelta fra le fonti energetiche, che alimentano l’impianto senza ricorrere alla combustione: idrogeno, gas naturale, biometano o la loro combinazione. Entro la fine del decennio, Ferrari prevede di avere la maggior parte dei suoi veicoli dotati di propulsione elettrica o ibrida. Gli innovativi motori elettrici saranno realizzati nel nuovo e-building che vedrà la luce entro il 2024. Tuttavia, nonostante la transizione verso motori più ecologici, il motore a combustione interna tradizionale, che ha contribuito a rendere famose le supercar Ferrari in tutto il mondo, continuerà a esistere, grazie all’utilizzo degli e-fuel, carburanti sintetici prodotti utilizzando fonti di energia rinnovabile che permetteranno a Ferrari di perseguire l’obiettivo di neutralità carbonica, contribuendo a ridurre le emissioni associate ai veicoli con motore termico.
Con la prima 125 S che varca i cancelli di Maranello nel 1947, inizia la storia di un mito, ma al tempo stesso prende forma anche l’idea di fabbrica innovativa in grado di esprimere ai massimi livelli l’eccellenza e il talento delle persone. Dopo la scomparsa di Enzo Ferrari (14 agosto 1988), viene lanciato il piano di rinnovamento degli insediamenti produttivi (Formula Uomo). Nella sua autobiografia, Enzo Ferrari scrive: “Chi verrà dopo di me ha accettato un’eredità molto semplice: mantenere viva la volontà di progresso perseguita nel passato”. Un progresso concepito come una corsa ostinata verso la perfezione e un’eredità in continua evoluzione che rappresentano fonte d’ispirazione e punto di riferimento anche per le decisioni attuali e future.
Incontro con Enzo Ferrari
(Tratto dalla storia di copertina di Data Manager, ottobre 1984)
A Maranello, riconosciuta università della meccanica automobilistica, l’elaboratore è entrato a passi felpati, aiutando i progettisti senza tentare di sostituirsi alla loro creatività. Oggi, convive armoniosamente in un contesto di altissima tecnologia e finissimo artigianato, contribuendo alla nascita delle più prestigiose autovetture del mondo
di Sandro Frigerio
Autostrada del Sole, casello di Modena. Una Ferrari 400 esce dalla barriera e attraversa la via Emilia per andare a prendere la strada dell’Abetone e raggiungere, dopo pochi chilometri, Maranello. Si compie così il rito del collaudo che da anni ognuna delle auto con l’insegna del cavallino compie fedelmente, come si conviene a un’azienda che non ha perso il sapore dell’atelier artigiano. Ma anche i riti si modificano. Nella patria dei pistoni, degli otto e dei dodici cilindri si è ormai cominciato a parlare di «kilobyte» per i sistemi di progettazione, di «k-parole» per le macchine a controllo numerico, di linguaggi Fortran e di real-time. All’ingresso della palazzina della gestione sportiva, Giuliana e Brenda, rispettivamente le assistenti di Enzo Ferrari e del figlio Piero Lardi Ferrari, hanno da qualche tempo una compagna in più, una workstation ciascuna, l’avanguardia di una pattuglia che si sta insediando silenziosamente. Ma è soprattutto dietro le quinte, negli uffici tecnici e di progettazione che il computer sta generalizzando la sua presenza. Entrato negli anni Settanta a supporto del calcolo e della progettazione per le vetture di F1, ha poi cominciato a fornire dati e istruzioni anche all’area della produzione, alle macchine a controllo numerico, e ad affermare la sua presenza negli uffici.
È sera, ma la giornata non si è ancora conclusa per il fondatore Enzo Ferrari; l’attende un appuntamento con il sindaco di Maranello per trattare e risolvere insieme, come fanno ormai da tanti anni, i problemi di questa cittadina ai piedi dell’Appennino, che il cavallino ha reso famosa in tutto il mondo. Accetta di buon grado di parlare – lui che è nato tecnico – delle nuove frontiere della tecnologia, che sanno più di camice bianco che di officina. Sta riempiendo con la sua scrittura ordinata una pagina dell’agenda che tiene aperta sullo scrittoio, un’abitudine che conserva da sempre. È vero, gli chiediamo, che le nuove tecnologie, il cuore elettronico del computer, cambieranno la Ferrari e faranno nascere una vettura diversa?
«Questi nuovi strumenti – risponde Enzo Ferrari – ci hanno dato una rapidità di calcolo un tempo impensabile, risolvendo problemi che hanno reso sempre difficile la vita dei progettisti. Ricordo che nel 1946, quando feci la prima macchina, la 125 progettata dall’ingegner Gioachino Colombo, un dodici cilindri di 1500 cc, chiesi che l’albero a gomiti venisse fatto a contrappesi spostati, quindi più leggero e con minori vibrazioni. L’incarico venne dato a un professore universitario che, per fare tutti i calcoli necessari, impiegò tre mesi e mezzo. Oggi, il lavoro si ridurrebbe a tre giornate di un ingegnere interno. Il vantaggio del calcolatore sta nella velocità e nell’immediatezza. Un tempo c’erano ottimi progettisti disegnatori, ma poi occorreva l’ingegnere che, sulla base delle loro indicazioni, calcolasse tutti i particolari. Oggi, grazie al computer, il progettista è autonomo, ed è un progresso indiscusso».
Non c’è il pericolo che il calcolatore finisca con l’impoverire la fantasia dell’uomo e del progettista? «L’automobile nasce da una scelta di elementi su cui lavorare, confrontare. Il costruttore la deve sognare, definire nella propria mente nei diversi particolari e a quel punto inizia un’opera di discussione, di confronto con i collaboratori, ma l’idea rimane quella di base. Personalmente, apprezzo le nuove tecnologie perché consentono di rendere rapidamente esecutiva una idea di base».
Ingegner Ferrari, prescindendo dagli aspetti pratici, come si convive con il calcolatore in un’azienda che da quarant’anni è considerata l’università della meccanica automobilistica? Approderà mai una tastiera sul suo tavolo? «Sul mio credo proprio di no: ci sono già abbastanza telefoni, tastiere per far posto anche al computer. E poi io sono nato in un’altra epoca, in una scuola dove si arrivava alle quattro operazioni fondamentali. Però una tastiera è arrivata sul tavolo di Giuliana: il fatto che oggi posso chiamare la mia segretaria per cercare delle informazioni senza consultare le agende che dal 1919 riempio quotidianamente è, quanto meno, molto apprezzabile».
Le nuove tecnologie stanno cambiando il modo di lavorare in fabbrica e in ufficio. «È vero, ma sono arrivato alla convinzione che alla base di tutto rimarrà, comunque e sempre, l’uomo. Le faccio un esempio: qualche giorno fa, mi è arrivato il pagamento di una fornitura che anziché di 75 milioni è risultato essere di 750. La macchina o il programma possono essere perfetti, ma all’origine c’è l’uomo». E l’uomo, lei in questo caso, rappresenta il punto d’incontro, il filo conduttore tra il passato e il presente della Ferrari. È il caso di parlare di bilanci? «Non so cosa significhi essere Ferrari, se questa è la domanda. Non lo so e non lo voglio sapere, altrimenti comincerei a preoccuparmi di star vivendo in un sogno. L’unica cosa che so è che ho sempre voluto rimanere fedele a quello che ero tanti anni fa, un ragazzo di periferia in una città postbellica, pragmatista e individualista. Uno che è sempre stato nepotista dal basso, che ha creduto ai valori della famiglia, che ho cercato di tenere unita anche in fabbrica, assumendo magari il fratello, il figlio dell’operaio. Sono valori importanti, cose che incidono un po’ su tutto. Ho sempre pensato che la vera materia prima delle fabbriche non sono le macchine, le tecnologie, le mura, ma l’uomo».
In questi anni, malgrado le difficoltà dell’economia e un mercato generale dell’auto stazionario o in regresso, gli spazi per le Ferrari sono cresciuti. Perché? «Perché siamo rimasti fedeli a noi stessi, producendo qualità e non quantità, poco ma ottimamente. Chi ha in mano un contratto di acquisto di una Ferrari si vede spesso offrire più del prezzo del listino». Chi compra ancora una Ferrari? «Ci sono gli sportivi che non vogliono rinunciare ai piaceri di una velocità istantanea, che è la caratteristica che interessa di più nelle condizioni attuali del traffico. C’è chi compra la Ferrari come ricompensa per una vita di lavoro. C’è l’appassionato di meccanica che acquista una nostra vettura come fosse la statua di uno scultore famoso. Un cliente americano qualche tempo fa ha acquistato una 512 BB per esporla nell’atrio della sua villa».
Le Ferrari sono le auto dei sogni. Qual è l’auto sognata da Enzo Ferrari? «Qualche tempo fa, l’inviato di un grande giornale inglese mi chiese…». Forse qual è stata la sua macchina preferita? «No, no; l’auto preferita non c’è, ogni epoca ha avuto la sua auto e il suo pilota. Mi chiese invece come sarebbe stata l’auto di domani, e io risposi che sarà quella di uso comune, di modesta cilindrata, azionata da un compressore a geometria variabile e con apparecchiature di controllo elettroniche, che governeranno il cambio di velocità, il sistema frenante. Il pilota dovrà occuparsi unicamente della interpretazione degli errori di chi lo precede, o venga da destra o da sinistra. Se poi lei volesse chiedermi fino a qual punto l’automobile si identifichi con la civiltà, preferisco evitare un mio giudizio, che sarebbe comunque interessante. Ricordo però che Woodrow Wilson prima di diventare presidente degli Stati Uniti, fece condurre una inchiesta tra le massaie delle periferie rurali di Princeton – era rettore della locale università – sulla diffusione dell’automobile. Una di queste massaie rispose: “Certo che ho la macchina”. E quando le venne fatto notare che in casa sua mancava una vasca da bagno, rispose che per portare i figli a scuola non poteva mettere le ruote alla vasca. Personalmente, sono della convinzione che l’automobile abbia rappresentato il più potente strumento di diffusione della socialità, in tutto il mondo».
IL RINNOVARSI DI UN MITO
Quando dieci e più anni fa, l’Occidente industrializzato si trovò a fronteggiare la prima crisi petrolifera, le profezie si sprecarono: il futuro, si diceva, vedrà più treni e più autobus e meno auto, ci sarà il «nuovo modo di fabbricare l’automobile», e per le auto sportive saranno tempi grami, tra targhe alterne e buoni per la benzina. Di quelle profezie poco si è avverato. Le ripercussioni sul settore non sono mancate, e anzi, probabilmente parte dell’evoluzione tecnologica avvenuta sui motori e le carrozzerie si deve proprio alle nuove consapevolezze nate in quel periodo. Oggi, l’auto è, almeno in Europa, un mercato di sostituzione, ma chi più che mezzi di trasporto produce gioielli a ruote come Ferrari non ha certo problemi di mercato, di domanda. Se all’inizio degli anni 70 da Maranello uscivano 1200 veicoli all’anno, ora sono circa duemila e 500, con tempi di attesa che sono dell’ordine dei diversi mesi. C’è dunque una ricetta Ferrari? «Non so se c’è una ricetta – risponde Piero Lardi Ferrari, direttore esecutivo della Gestione Corse. «Quel che posso dire è che in quegli anni nel mondo sindacale e politico si professava la diversificazione produttiva. E noi, ligi, ci mettemmo a far cabine di trattori per la Fiat Trattori di Modena, qui a due passi. Niente di male, intendiamoci, anche perché quella decisione ci permise di fare investimenti di rilievo nei settori carrozzeria e verniciatura. Il punto è che negli ultimi anni la diversificazione ha funzionato alla rovescia: il personale che produceva trattori è stato spostato sulle linee delle vetture da gran turismo, perché un mercato scendeva e l’altro saliva».
Alla base del successo c’è una ragione: «Abbiamo trovato la nicchia giusta del mercato: abbiamo offerto un prodotto che si distingueva, che non è diretto concorrente con nessuno. Non si compra una Ferrari per avere quattro ruote con cui spostarsi più o meno velocemente. La compra chi ha il piacere di guidare qualcosa di diverso. Si tratta di fedeltà di interpretazione e di logica evoluzione. Oggi, offrire una vettura come le nostre senza il condizionatore non incontrerebbe il favore nemmeno del supersportivo, ma dall’altra parte dobbiamo continuare a costruire i cruscotti e le sellerie in pelle cucita a mano. Ecco, l’automazione non ci aiuta molto in questo: per cucire le sellerie c’è ancora molto lavoro manuale». Niente ricette particolari dunque, ma una fedeltà a un’impostazione tecnica e a un’immagine. «Questo ha voluto dire anche un certo modo di produrre e di organizzarci, dimensionare la produzione delle vetture su un livello un po’ inferiore a quello che il mercato renderebbe possibile. Non si producono le Ferrari per lasciarle in magazzino, e poi, dal punto di vista del cliente, una Ferrari non si acquista perché la si trova nel salone di un concessionario. Occorre desiderarla un po’…» – aggiunge Piero Lardi Ferrari.
E così tempi di attesa e fedeltà del cliente sono parallelamente alti e, cosa curiosa, il cliente-tipo forse non c’è. Non è necessariamente il patito delle corse (anche se queste sono notoriamente l’unica voce del “budget pubblicità” Ferrari), talvolta è il patito della meccanica, che se può porta in casa un modello appena esce, e in altri casi è chi vuol concedersi nella vita qualcosa che ancora ha il sapore di diverso. Ma il sapore è ancora davvero “diverso”? Anni di presenza Fiat non hanno cambiato la Ferrari anche se, a ottantasei anni, Enzo Ferrari, oggi presidente onorario della società, si occupa prevalentemente della parte sportiva, mentre presidente e amministratore delegato sono due uomini Fiat, Vittorio Ghidella (Fiat Auto) e Giovanni Sguazzini (Piaggio).
A Maranello, Brenda Vernor è una istituzione per tutti. Parla in inglese con l’ingegnere telaista Postlethwaite e con gli interlocutori del grande circuito di Formula Uno, così come passa all’accento modenese quando ascolta i meccanici. A lei, i piloti affidano le tute. Il suo ufficio al pian terreno accanto all’ingresso è il punto di riferimento per ogni visitatore. Sulle pareti, i ricordi lieti e tristi di più di vent’anni di Ferrari, da quando infiammava il cuore di Mike Parkes, ai giorni di Gilles Villeneuve. Il tavolo coperto di firme e dediche dei piloti gelosamente difese da Brenda ha dovuto capitolare per qualche centimetro per lasciare il posto ad un nuovo arrivato: una piccola workstation con la quale Brenda prevede che dovrà fare i conti prima di arrivare a un ragionevole compromesso. Su un ripiano, grande poco più di una di quelle vecchie scatole di biscotti di latta, sta l’unità logica e di archiviazione (floppy più disco rigido da 10 milioni di carattere, l’equivalente di cinquemila pagine) di questa PowerSeries 1000 della Gould.
È un sistema stand alone che può essere collegato anche ad altre workstation per una rete tipo Ethernet o comunicare un domani anche con altri computer più grandi. Se tra tute, dediche di piloti, quadri e fotografie rievocatrici, incomincia a far capolino un video e una tastiera (è l’ormai noto “micro” della Convergent Technologies fatto proprio da diversi fornitori tra cui appunto la Gould), non si tratta di un caso o di un cedimento alla moda: la rivoluzione, a passi lenti, siamo a Maranello dove si producono 10 auto al giorno, non a Torino, dove se ne producono migliaia, è incominciata già da qualche anno e sta conquistando terreno. Prima trincea: l’ufficio progettazione.
L’ingresso del calcolatore Ferrari – inteso come supporto alla progettazione e quindi alla produzione – è avvenuto intorno alla metà degli anni 70. Il primissimo passo – ricordano a Maranello – è stato l’arrivo sui tavoli da lavoro di un piccolo stuolo di calcolatrici scientifiche utilizzate per automatizzare lunghe e pesanti serie di calcoli che con procedure manuali potevano richiedere anche diversi mesi di lavoro, dagli studi delle vibrazioni ai cicli dei motori, alla progettazione delle sospensioni. Ma saranno i computer gestionali della Fiat Trattori i primi ad aiutare a progettare i bolidi da 300 chilometri all’ora. A pochi passi da Maranello, a Modena, la Fiat – che è entrata nella Ferrari alla fine degli anni 60 – ha installato un potente mainframe, un Univac 1108, al quale la società del cavallino accede a partire dal 1975. Un comune collegamento via modem è la soluzione mantenuta fino a pochi mesi fa, finché, come vedremo, non si è deciso per la dotazione di una soluzione “in-house”.
Da quest’anno, sull’abitacolo delle vetture di F1 è apparso il nome di un nuovo sponsor tecnico, quello della Gould, che ha fornito il sistema di progettazione assistita dal calcolatore, un supermini a 32 bit della casa americana. Alla prima fase di trasferimento dei programmi, avvenuta mentre in parallelo si continuava ad utilizzare il mainframe disponibile a Modena, è subentrata la fase più recente di generazione del nuovo software, con applicativi orientati alla grafica tridimensionale e alla produzione di istruzioni per le macchine a controllo numerico o, ancora, ai modelli matematici per la progettazione e simulazione dei comportamenti delle vetture di F1.
LA CORSA CONTRO IL TEMPO
Il computer in Ferrari – parliamo della progettazione, perché le esigenze di tipo gestionale sono da qualche anno asservite da un medio-piccolo sistema IBM – ha trovato le sue prime e prevalenti applicazioni nell’area sportiva. La ragione è relativamente semplice: più mezzi a disposizione da una parte e tempi di modifica richiesti di pezzi necessariamente più ristretti della produzione “di serie” (per quanto di serie possa essere una Ferrari) dall’altra. A questo, si aggiunga un ambiente naturalmente più portato alla sperimentazione e si avranno gli elementi che hanno “congiurato” per una introduzione delle nuove tecniche in questa parte dell’azienda. Nel corso degli anni 70, nasce così un piccolo nucleo, unico per tutta l’azienda, orientato alla progettazione delle vetture da competizione, ma aperto anche alle esigenze della produzione, dove più che di CAD inizialmente si parlerà di supporto ai calcoli (il computer come potente macchina di calcolo) e quindi anche di supporto alle macchine a controllo numerico che sono diventate una realtà diffusa anche qui.
«Uno dei vantaggi più eclatanti dell’ingresso del calcolatore, anche se si trattava di un elaboratore remoto – ricorda Mauro Rioli, responsabile dell’ufficio calcoli Gestione Sportiva – è stata la possibilità di gestire la grafica della progettazione, attraverso un plotter». Proprio da pacchetti appropriati di grafica computerizzata, nasceva in quel periodo la progettazione delle carrozzerie delle vetture turbo, le Cl, C2 e C3. «Si davano le dime delle curve di sezione bidimensionale che consentivano di realizzare lo stampo della carrozzeria già in rapporto 1 a 1 – continua Rioli, in Ferrari dal 1977 – e l’output veniva generato su un plotter Calcomp 1037 di adeguate dimensioni».
Ma il computer, si sa, è possessivo ed espansivo. Una volta messo piede nella forma di qualche terminale video, di un plotter e di una stampante, non poteva fermarsi lì. «Man mano si andava avanti – spiega Rioli – nasceva l’esigenza di una macchina in loco, ma maggiore disponibilità del Centro di calcolo, organizzarlo secondo le nostre esigenze». Così, in un clima ancora sperimentale, ecco affiancarsi all’inizio degli anni 80 anche un piccolo Olivetti, un P 6066. Naturalmente non entra negli uffici di Maranello per sostituire il servizio di time sharing fornito dall’Univac di Modena, ma è pur buono per una serie di applicazioni semplici e immediate e per realizzare anche lavori di grafica bidimensionale, grazie a pacchetti software sviluppati per questa applicazione. È un elaboratore piccolo piccolo, ma contribuirà a creare la cultura della macchina in casa. E questa è l’ultima fase, incominciata sul finire del 1983.
«Sentivamo l’esigenza di un sistema più sofisticato, orientato anche alla grafica tridimensionale, con elevata potenza di calcolo e che in definitiva facilitasse una maggiore saldatura, anche in prospettiva, tra la progettazione e la produzione» – aggiunge Rioli. «Così abbiamo iniziato un discorso con la Gould che si è concretizzato nella soluzione odierna». A questi compiti provvede ora in Ferrari un sistema 32/87, una macchina della fascia alta della famiglia Concept dei supermm1 Gould, che nella configurazione attuale da 3 Mbyte di memoria, espandibili fino a 16, fornisce una potenza di calcolo di 5 milioni di istruzioni al secondo, tutti Mips necessari per i calcoli veloci del real-time e delle simulazioni. Uno dei motivi che hanno indotto Ferrari a orientarsi in tal senso sono state, come vedremo, le applicazioni sviluppate dalla Aermacchi di Varese. Così giustizia è fatta: si è partiti negli anni 70 con il sistema di gestione dei trattori e si è finiti con le applicazioni degli aerei a reazione.
Le periferiche del computer, che opera sotto il sistema operativo MPX 3.2, sono costituite da un archivio a dischi rigidi rimovibili da 300 Mbyte (sono i classici disk pack della Control Data), un’unità a nastro, la stampante di sistema. Più significativi per le specifiche esigenze della progettazione sono un plotter 1037 della Calcomp per disegnare su ampi formati, un digitizer della serie 9000 sempre della Calcomp per la rilevazione dei profili. I video sono costituiti da due terminali Tektronix 4014 e 4114 oltre a una decina di CRT standard, qualcuno dei quali con funzioni grafiche. Lo sviluppo di pesanti applicazioni grafiche e di simulazione ha richiesto fondamentalmente due cose ai tecnici di Maranello: una macchina più sgombra e, possibilmente, in casa, senza rinunciare alla velocità di calcolo e all’alta interattività. Da qualche tempo viene impiegato un pacchetto grafico, l’Euclide, sviluppato dalla Matra Data Vision (e non è un caso il fatto che Matra abbia accumulato esperienze sia nel settore spaziale sia in quello dell’automobilismo sportivo) e originariamente installato sul mainframe di Modena.
Il passo successivo è stato quindi il trasferimento del pacchetto nel nuovo ambiente: «L’Euclide è un modellatore volumetrico che in Aermacchi ha visto delle notevoli implementazioni rivolte soprattutto allo studio delle superfici, cosa fondamentale per gli aerei così come per le carrozzerie delle auto da corsa» – spiegano i tecnici del Cavallino. «E il fatto che in Aermacchi, l’applicazione funzionasse su un sistema come quello che è poi entrato in Ferrari, ha certamente avuto la sua parte nella scelta».
Per comprendere le possibilità d’impiego del calcolatore in un’azienda come la Ferrari, dove a fronte di serie produttive assai limitate gli elementi che fanno premio sono la qualità e la flessibilità della produzione, è utile seguire passo passo la nascita di una vettura. Il primo step è la stesura iniziale del layout, la progettazione di massima con l’indicazione dei componenti della vettura. Una volta considerate le diverse ipotesi, si entra nella fase decisionale, dove chi ha il compito di impostare la vettura dà le indicazioni che vengono trasmesse al disegnatore. Il maggiore contributo del computer incomincia a questo livello. Attraverso un sistema CAD, è possibile memorizzare, e poi richiamare nella scala voluta, i subcomponenti o pezzi più ricorrenti o più complessi, in generale quelli a più lunga vita. In tal modo, il progettista è in grado di spostare e combinare a piacere sullo schermo le diverse tessere che formeranno il mosaico della vettura.
Una volta definito il primo progetto sulla carta (anzi, sul video grafico), quelle stesse informazioni sono utilizzate per effettuare i necessari calcoli sulla distribuzione dei pesi e le misure e l’analisi dei componenti. Così, per esempio, le sospensioni possono essere sottoposte a uno studio cinematico e strutturale, i disegni e i singoli pezzi possono essere modificati analizzando i singoli particolari: perché ogni elemento sul video non è solo un’informazione grafica, ma fornisce gli input necessari per i complessi modelli matematici che stanno dietro. Oggi, si lavora sugli elementi finiti per l’analisi strutturale (il pacchetto Simpat) e in Ferrari si punta su un nuovo applicativo, il Nisa, per lo studio dei compositi, cioè per l’analisi di parti che impiegano componenti di materiali diversi, ciascuno dei quali risponde in maniera diversa alle diverse sollecitazioni termiche e meccaniche. Accanto a queste procedure, che riguardano l’autotelaio, i progettisti lavorano in parallelo sulla carrozzeria. Il metodo di lavoro tradizionale consiste nella realizzazione delle dime, sezioni longitudinali o trasversali prese a varie altezze della vettura che finiscono poi con l’incontrarsi al punto giusto quando si tratta di fare i modelli in legno e quindi in lamiera, secondo l’antica arte del battilastra.
La diffusione dei sistemi CAD permetterà di accelerare notevolmente questa fase, lavorando su modelli tridimensionali, eliminando quindi l’annoso problema della verifica delle rispondenze dei singoli punti per fornire direttamente le istruzioni – oggi offline con il nastro perforato o il dischetto, domani online con collegamento diretto – alle macchine a controllo numerico per la realizzazione del vestito finale. Una volta definita nei suoi aspetti principali: telaio/motore e carrozzeria, l’ultima fase è quella della simulazione del comportamento: un compito non facile soprattutto su una vettura di F1 se non si dispone di altri parametri fondamentali come i comportamenti delle gomme. Ma che cosa pensano dell’ingresso del calcolatore gli utenti veri e propri, gli uomini che progettano e vestono le auto più sofisticate? Per trovare una risposta è sufficiente spostarsi di qualche centinaio di metri, farsi aprire ai cancelli della pista di Fiorano, che Enzo Ferrari ha voluto realizzare una dozzina d’anni fa perché si potesse curare al meglio non solo la preparazione delle vetture da corsa ma anche quella delle vetture da gran turismo di serie. Qui, nelle piccole cascine ristrutturate, Enzo Ferrari passa parte delle sue giornate, quando non sì sposta, con la sua Fiat Regata 100, nell’ufficio della palazzina della Gestione Sportiva. In un’altra parte delle ex cascine, stanno gli uffici tecnici. A Maranello fin dal 1960, prima come responsabile progettazione motori, poi della gestione corse e per lunghi anni come direttore tecnico, Mauro Forghieri è stato il padre tecnico di molte delle vetture di F1 e le su nuove funzioni prevedono un coinvolgimento negli studi ed esperienze avanzate che interesseranno sia la parte sportiva sia la produzione delle gran turismo.
UNA NUOVA CULTURA PER DOMINARE IL COMPUTER
«Non mi prenda per un nemico del calcolatore – premette Forghieri – non lo sono affatto, e sono stato anzi io a volerlo negli anni 70. Una dozzina di anni fa, avevamo incominciato con i piccoli calcolatori a schede: costituivano già un grosso passo avanti rispetto ai calcoli manuali che erano d’obbligo fino ad allora, ma sì faceva in sei ore quel che ora si calcola in pochi istanti. Oggi, non si può fare a meno del calcolatore, ma ci sono anche i rischi: se va avanti così la gente disimparerà a progettare, e non meravigliamoci se le auto finiscono con l’assomigliarsi tutte, quando dati e programmi che si mettono dentro hanno la stessa tendenza. Allo stesso modo, sono convinto che il computer troverà un suo posto, una nuova integrazione con il tecnico e il progettista, ma evidentemente è un problema di natura culturale, organizzativa, prima che di tecnologie. Dobbiamo imparare a usare il calcolatore per quello che è: un velocissimo strumento di calcolo, che però non potrà sostituire tutto nella vita».
Se alla Ferrari il calcolatore è entrato prima nell’ufficio progettazione delle vetture da corsa, le ragioni – spiega Forghieri – non sono state solo tecniche o organizzative, ma in buona misura culturali. «È stato impiegato in primo luogo dalla “gente nuova”, giovani nati con il calcolatore, ed è stata un’introduzione che nel settore corse è avvenuta dappertutto, anche in pista con il sistema messo a punto da Olivetti e Longines». L’elemento generazionale ha un suo peso dunque: anche in casa Forghieri. «Io faccio ancora parte della generazione degli ingegneri nati con il regolo» – ammette il padre di tante Ferrari, rispondendo alla domanda sul suo rapporto personale col computer. «E per il momento non mi vedo su una tastiera. A casa abbiamo un home computer, un C64, ma sono i figli a farci il diavolo a quattro, soprattutto il maggiore, Alessandro che sta per laurearsi».
Ma quali sono i vantaggi di questo “odiato amico”? «C’è un grosso vantaggio» – dice Forghieri. «Il fatto che si possono affrontare tutti i problemi con un’aderenza superiore alla realtà. Non ci sono limiti al ragionamento e quindi alla sperimentazione: questo è il vero passo avanti». Svantaggi? «Dipendono dall’uomo, quando smette di utilizzare il computer per quello che può dare e dimentica che sulle spalle ha un calcolatore meraviglioso dotato della marcia in più della fantasia e della creatività». Che cosa si può fare quindi per aiutare l’uomo, il progettista a non abdicare di fronte al computer? «Vede, io apprezzo quella potenza di calcolo che vuol dire superare ogni limite applicativo, la precisione assoluta con cui posso dimensionare una biella, sollevando il progettista da una serie di compiti di routine. Ma perché la creatività non venga uccisa, occorre una nuova educazione e addestrare i ragazzi all’uso della tecnologia. Se con una mano si impara a scrivere con la penna, con l’altra si impari a usare la tastiera. Se non ci abitueremo a considerare il computer uno strumento come tanti altri non trarremo tutti i vantaggi che può darci: ho già visto ragazzi di un’intelligenza estrema non riuscire a pensare a nulla senza una tastiera davanti. La ragione è che oggi si progetta da qualcosa che già esiste, ma se si vuol progettare qualcosa di radicalmente nuovo, se si vuol partire da un foglio bianco, i risultati sono tutt’altro che incoraggianti. Non ci si può affidare interamente al computer se prima non si ha un’idea. So di essere paradossale, ma la sempre maggiore semplicità d’uso di queste macchine rischia a volte di far dimenticare all’uomo le sue funzioni. Prendiamo il regolo: era uno strumento scomodo da usare, io ne ho uno lungo due metri, ma proprio per questo motivo era utilizzato a colpo sicuro, quando si sapeva che cosa si voleva ottenere».
Accanto alla progettazione assistita, il calcolatore è entrato in pista anche per un’altra porta, non meno importante: l’analisi dei comportamenti. La Ferrari ha realizzato sulla pista di Fiorano, ormai da qualche anno, un sistema completo di monitoraggio dei comportamenti delle vetture. Scomparirà quindi la figura del pilota collaudatore che tanta parte ha avuto da decenni a questa parte? «Non credo proprio. È vero che se mettiamo un sistema di rilevazione computerizzato su un’auto otteniamo una quantità di informazioni superiore per numero e precisione a quelle di qualsiasi esperto pilota. Tuttavia – aggiunge Forghieri – raccogliere i dati è solo metà del compito. Devo essere in grado di interpretarli e comunicarli, di far capire che cosa è importante, dando un’immagine complessiva della vettura. Il computer mi fornisce una gran quantità di dati, ma poi devo analizzarli, sapere che cosa vogliono dire per poterli utilizzare. Occorrono pochi minuti per scrivere i dati, ma quanto ci vuole perché vengano letti e trasformati in decisioni operative?».
Nel quotidiano lavoro di verifica, aggiornamento, ricerca di quella soluzione che può risolvere un problema o far guadagnare qualche centesimo di secondo, il calcolatore è comunque un compagno di lavoro consolidato: «Ci aiuta nelle modifiche» – continua Forghieri. «Se per esempio si è rotta una trasmissione, c’è un problema di ingranaggi, il computer ci fornisce l’analisi dei dati in tempi ridottissimi, indispensabili per provvedere subito alle modifiche necessarie. E del resto si tratta di una situazione normale, non eccezionale. Le prestazioni dei motori tra l’inizio e la fine di una stagione salgono sempre, ma con esse aumentano anche le sollecitazioni, i rischi di rotture, e quindi occorre intervenire».
Ma può il calcolatore sostituire la sperimentazione con la simulazione in laboratorio? «No, nel modo più assoluto. Abbiamo un modello matematico con 24 gradi di libertà, ma serve per verificare se l’analisi del calcolatore risponde poi alla prova su strada, verificare in definitiva la bontà del progetto. Si possono ridurre i tempi di realizzazione, ma non sostituire la sperimentazione e comprimere la capacità di adattamento delle persone. Del resto, se Fermi avesse avuto il più potente calcolatore oggi disponibile, avrebbe rinunciato al suo esperimento della pila atomica? Certo, nell’analisi statistica il computer permette di ridurre i tempi e anche i costi della sperimentazione. Di nuovo, si tratta di sapere per che cosa usarlo».
Per tutte queste esigenze, che si basano su un’esperienza di decenni, non si trovano facilmente programmi sul mercato. Il software applicativo viene quindi sviluppato internamente. «Fanno eccezione alcuni programmi che richiedono dei supporti matematici molto spinti e che ovviamente non è proprio il caso di reinventare all’interno, con costi di qualche anno-uomo e con il rischio comunque di ottenere tempi inaccettabili. «A queste esigenze, provvede l’ufficio calcoli: cinque persone in tutto» – precisa Forghieri. «Un numero modesto, ma si tenga conto che facciamo ricerca, non produzione, anche se probabilmente non abbiamo ancora imparato a utilizzare il calcolatore per quel che può effettivamente dare».
Se il calcolatore è stato introdotto in primo luogo nella progettazione e nel settore sportivo, in questi anni l’area produzione, cioè quella delle gran turismo di serie, ha vissuto la tipica evoluzione dell’automazione industriale, come l’inserimento di sistemi a controllo numerico sempre più avanzati. Tra questi due mondi, progettazione ed esecuzione, si sta costituendo un ponte sempre più solido e non è fuori luogo parlare di prospettive di factory automation anche qui, dove modenese e computerese diventano sempre più un tutt’uno. Naturalmente, il primo passo è stato la produzione di una serie di dati sulla base dei quali è stato possibile realizzare i programmi per le macchine utensili. Il passo successivo è stato la realizzazione di un output del calcolatore, nastro o floppy, direttamente utilizzabile sulle macchine a controllo numerico.
Una serie di sistemi Olivetti OCN e Mandelli viene attualmente impiegata nello stabilimento Ferrari, e il programma più impegnativo riguarda la serie di 9 Mandelli CNM Plasma. Questi potenti sistemi, dotati di un magazzino di centoventi utensili messi in opera automaticamente sulla base delle istruzioni del programma, compiono una serie di operazioni su testate, basamenti, coppe dell’olio, scatole del cambio di tutti i motori in produzione alla Ferrari. «Abbiamo raggiunto risultati eccellenti, con elevatissimi standard di qualità e tolleranze ridottissime» – spiega Andrea Ferrari, responsabile di quest’area della produzione. «In una giornata queste macchine, nove in tutto, producono i pezzi per una quindicina di motori».
Il prossimo passo sarà il collegamento fisico tra una macchina e l’altra, attraverso una catena a pallet semoventi. L’obiettivo è in definitiva quello di realizzare un transfer che consenta di prelevare un pezzo e passarlo automaticamente alle lavorazioni successive in un continuo interamente automatizzato. Tutto questo richiede maggiore intelligenza, attraverso controllori a logica programmabile, eventualmente coordinati da un elaboratore per la raccolta di informazioni. Ma quale sarà il livello finale di integrazione è in questo momento ancora oggetto di discussione e valutazione.
Un altro dei futuri sviluppi sarà quello della dotazione di programmi per nuove macchine utensili a movimento su cinque assi – i corsi di sviluppo sempre dalla Mandelli – contro gli attuali a tre assi per lo stampo completo del telaio, anche in questo caso partendo dalle vetture da corsa. I piani di sviluppo di Ferrari non finiscono qui. Accanto alle linee di produzione, esiste la sala prova dei motori. Dei microcomputer dedicati rileveranno tutti i dati che verranno poi trasferiti, grazie a un’applicazione sviluppata dalla Sepa, società torinese del Gruppo Fiat, a un host computer, un Gould 32/27, e anche questo sarà uno dei passi per una sempre più stretta integrazione tra le diverse aree dell’azienda.