Il valore oltre il prodotto. La grammatica digitale del lusso

Il valore oltre il prodotto. La grammatica digitale del lusso

Dall’analisi dei cambiamenti alle implicazioni dell’intelligenza artificiale nella creazione di contenuti ibridi ultra-personalizzati. La nuova frontiera della comunicazione di marca

Il digitale ha avuto un impatto significativo sulla comunicazione nel settore del lusso. Attraverso i siti web ufficiali e i social media, i brand hanno ampliato la capacità di raggiungere un pubblico più ampio, di creare un’immagine di marca, di raccontare la loro storia e di coinvolgere i clienti in modo più interattivo. L’introduzione dei negozi online ha rivoluzionato il modo in cui i prodotti di lusso vengono venduti e acquistati. Il digitale ha aperto la strada a esperienze virtuali uniche e personalizzate. L’analisi dei dati ha permesso di comprendere meglio gusti e preferenze dei clienti, promuovendo l’idea di un lusso su misura. Per Myriam Benothman, che da anni si occupa di sviluppare la strategia editoriale di uno dei brand più iconici del lusso – «l’innovazione tecnologica può ispirare al contempo stupore e preoccupazione, soprattutto quando il cambiamento avviene in maniera repentina». Un aspetto chiave del ruolo del brand editorial strategist è la gestione della storia del marchio. Questo significa sviluppare una narrazione coerente e coinvolgente che si estende attraverso tutti i canali di comunicazione del marchio.

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«Mi sono accostata al web nell’ormai lontano 1997, vedendolo nascere e svilupparsi in Italia, con un inserimento progressivo nelle dinamiche di comunicazione one-to-many. Da semplice estensione della comunicazione tradizionale, con minisiti e banneristica basata sulle immagini prodotte per la pubblicità, a vero e proprio driver di comunicazione bidirezionale con l’avvento dei social e dell’HTML dinamico. Gli utenti hanno scoperto la possibilità di interagire con brand prima lontanissimi, passando da fruitori del contenuto a “giudici” e “creatori” nell’arco di mezza decade».

L’idea di un lusso su misura, rende i brand più vicini? – «Questo concetto è estremamente prezioso per i brand del lusso in quanto svolge un ruolo centrale nella creazione e nel mantenimento dell’equity del marchio. Senza questo valore, i brand del lusso rischierebbero di essere considerati semplici oggetti di consumo anziché contenitori di sogni».

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Il mix di comunicazione che permette di veicolare il valore di un marchio più che una sfida sembra quasi una magia – «Quando funziona può sembrare veramente una magia. Una magia spesso diffusa in maniera incontrollata su moltitudini di formati, piattaforme, lingue e filtri diversi. Un cambiamento epocale, accelerato dalla reclusione indotta dalla pandemia, delle modalità in cui viene gestita la comunicazione: dalla pianificazione del messaggio, con relative logiche di distribuzione, alla creazione del contenuto e misurazione della performance dello stesso».

Cosa comporta tutto questo? – «Un’altissima complessità nella gestione dell’intero flusso, con la creazione di marketing mix modeling per valutarne il ritorno d’investimento e le leve migliori da attivare di volta in volta, mettendo in campo risorse e tempi sempre più inadeguati alla velocità a cui si muove il mercato».

E l’intelligenza artificiale? – «L’AI ha già cambiato il modo in cui viviamo e lavoriamo, rimanendo per lo più dietro le quinte. Il rapido sviluppo dell’AI generativa sta rivoluzionando le regole del gioco ed è importante che gli addetti ai lavori si adattino per coglierne le opportunità che si manifestano a vari livelli».

Quali livelli? – «Ovviamente, per primo metto il controllo qualità di contenuti umani. In altre parole, una volta stabilito il corretto framework, l’AI potrà intervenire con logiche di monitoraggio dei contenuti creati a livello multipiattaforma e multilingua, su base regolare e costante, imparando dagli errori dei “super user” – content creator e controller – e dalle reazioni degli utenti, fornendo un supporto prezioso ai team marketing centrali e locali».

E poi? – «La creazione di contenuti ibridi o basati interamente sull’AI».

Interamente? – «Una volta raggiunto un livello sufficiente di “preparazione”, l’AI potrà produrre contenuti da sottoporre al controllo dei super user, con un impatto potenziale molto elevato sulla gestione operativa delle attività di comunicazione».

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Per esempio? – «Immaginiamo dei post social preconfezionati da rivedere in misura sempre minore, ottimizzati progressivamente, tanto da non richiedere la supervisione o l’intervento umano. In alternativa, contenuti ibridi, prodotti a livello umano e coadiuvati dall’AI, o viceversa, a seconda del livello di importanza attribuita in fase di pianificazione. La qualità delle immagini generate dalla computer-grafica è tale da ipotizzare l’avvento imminente di modelli virtuali inseriti in contesti creati ad hoc, con costi via via più contenuti rispetto alla produzione di una campagna pubblicitaria tradizionale.

Per arrivare dove? – «Al vero nodo dell’intero processo: valutare l’effettiva performance e diffusione qualitativa dei contenuti, con un adattamento reattivo in base al comportamento degli utenti destinatari dei messaggi. Un monitoraggio istantaneo, capillare e costante in maniera ultra-personalizzata. Sono anni che si parla di user centric experience, con l’obiettivo di mettere l’utente al centro e fornire un’esperienza sempre più personalizzata. A livello più strategico di data monitoring, ciò permetterebbe di valorizzare, o attenuare, determinati angoli e sfaccettature della comunicazione, in base a una moltitudine di variabili quali cultura, età e contesto socio-demografico di chi riceve il messaggio».

Non hai paura di perdere il lavoro? (Sorrido. Anche Miriam sorride. Si ferma un attimo. Riflette. E accenna a un nuovo sorriso. Quasi impercettibile) – «Sento sempre più spesso la frase: “Perderemo tutti il nostro lavoro”. Immagino sia simile a quanto accaduto, forse con minor consapevolezza, con l’avvento della meccanica in agricoltura e della robotica nell’industria. Attività manuali che richiedevano l’intervento umano sono state sostituite da macchine più efficienti, costringendo le società a rivedere il proprio assetto e il panorama di competenze professionali richieste, con impatto diretto sui lavoratori coinvolti».

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Ma torniamo all’AI, a livello operativo – «Ciò che mi intriga maggiormente è la messa in opera del framework all’interno del quale i contenuti verranno creati, controllati e pianificati. Le regole stabilite a monte sono fondamentali in quanto l’intelligenza impara in base a una logica di punizione/gratificazione, con implicazioni profonde sul ruolo di chi stabilisce tali regole e su come il contesto valoriale ne influenzi la definizione. Se da una parte abbiamo il grandissimo potere di affrancarci da una mole imponente di attività operative, dall’altra abbiamo la responsabilità di guidare un processo etico e trasparente, nel rispetto delle differenze che contraddistinguono un pubblico del lusso sempre più ampio e variegato. Non si può pensare di costruire un framework a visione puramente occidentale, con l’ambizione di darne una valenza universale».

Come possiamo collegare l’AI, in particolare quella generativa, al processo creativo che alimenta le aziende del lusso, considerando la sua base probabilistica?«Infatti, non si può immaginare un utilizzo opportunistico dell’AI sul breve periodo, in quanto costruire la relazione con un consumatore in ambito Luxury può richiedere diversi anni. Il tema del Loyalty building, così come dell’Equity building di un brand richiederanno sempre un pensiero strategico-creativo che non potrà essere sostituito dalla tecnologia, come nessun computer o macchina potrà mai soppiantare il genio, la passione e l’artigianalità alla base di qualsiasi creazione in ambito Luxury».