Dati resilienti, in cinque mosse

Dati resilienti, in cinque mosse

A cura di Mehul Doshi, Chief Evangelist, Director Business Development EMEA CLC di Fujitsu

Quello che consideriamo possedere un valore in termini di business varia nel tempo. Greci e Romani commerciavano enormi anfore di olio d’oliva per tutto il mondo allora conosciuto. I mercanti europei del Medioevo accumularono intere fortune con la seta e con le spezie. La rivoluzione industriale ha trasformato la portata e la scala del business grazie alla meccanizzazione. Negli ultimi 50 anni, alcune delle aziende più grandi e in rapida crescita si sono concentrate sulla tecnologia dell’informazione – hardware informatici, software, Internet e, sempre più spesso, sui dati residenti all’interno di questi ambienti.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Oggi i dati rappresentano l’ossessione di qualsiasi azienda interessata a lavorare su scala globale e a raggiungere l’ambito status di “unicorno”. Se state lavorando per trasformare il vostro business e portarlo a un livello del tutto nuovo, è molto probabile che i dati abbiano un qualche ruolo nella vostra strategia.

Ovviamente, non stiamo parlando di un percorso facile. Decidere semplicemente di valorizzare i dati, trasformandoli in un motore per la crescita, non è infatti sufficiente. Il ransomware, ad esempio, rappresenta una sfida cruciale in questo momento storico: come pensate di proteggere i vostri dati (e l’investimento che rappresentano)? Anche la sostenibilità, d’altronde, è un altro tema importante, che sta diventando sempre più delicato quando si tratta di associarlo al business: siete in grado di allineare il consumo di dati sempre crescente agli obiettivi di sostenibilità fissati della vostra azienda? E affidarsi completamente al cloud è ancora quella scelta pressoché automatica e naturale che sembrava essere qualche anno fa? Oppure l’opzione più realistica e conveniente è rappresentata invece da un ambiente ibrido?

Abbiamo prestato attentamente ascolto ai nostri clienti. Sulla base delle loro riflessioni e dei loro feedback, abbiamo identificato cinque scenari e altrettante, relative sfide per le piattaforme di dati resilienti e abbiamo ragionato sulle possibili soluzioni.

  1. Iniziare mettendo in discussione la propria strategia di archiviazione e di gestione dei dati

Siamo convinti che il segreto per ottenere i migliori risultati dalla propria trasformazione digitale stia nella pianificazione.

Ma come si fa a sapere quali sono i passi giusti da compiere? Oggi, ogni azienda possiede dati “sparpagliati” su infiniti dispositivi, utenti, sedi e cloud. Con la proliferazione dello shadow IT è molto probabile che esistano anche dati, applicazioni e casistiche d’uso di cui le aziende non sanno niente. Ben poche organizzazioni dispongono di conseguenza di un quadro completo e preciso dei dati che possiedono e di dove li possiedono.

Leggi anche:  Cegeka lancia GRACE, il primo AI Sales Agent

Consigliamo ai clienti di iniziare con servizi di analisi e implementazione di “esplorazione dei dati” standardizzati basati su AI, per capire dove si trovino i dati e i workload, cosa facciano e cosa ne stia limitando il potenziale per diventare il motore della trasformazione digitale.

Da notare che questo passaggio non riguarda le soluzioni, bensì l’ottimizzazione dell’intera infrastruttura – sia essa on-premises, piuttosto che in cloud. Occorre infatti un’analisi obiettiva che esamini l’intero ambiente enterprise col relativo patrimonio di applicazioni prima di poter sviluppare una strategia di trasformazione che possa essere perfettamente allineata agli obiettivi di business.

  1. Valutare anche le alternative al cloud ibrido

Detto sinceramente, la diatriba tra cloud e on-premises è stata già risolta tempo addietro. È sempre meno probabile oggi che un ambiente IT rientri integralmente in una sola delle due casistiche.

Per ragioni che oggi sono ben chiare – complessità delle applicazioni legacy, latenza, compliance – l’ambiente on-premises è ormai sempre associato all’impatto ambientale, anche nelle startup di recente costituzione. C’è poi la questione dei costi: molte aziende stanno facendo ritornare nuovamente on-premises i loro dati per evitare i costi eccessivi sostenuti nel cloud. Secondo la società di analisi IDC, il 71% delle aziende prevede di riportare alcuni o tutti i workload dal cloud all’on-premises.

Consigliamo di valutare tre differenti tipologie di infrastruttura per ottenere i vantaggi del cloud ibrido:

  • Virtualizzazione server tradizionale – sufficientemente flessibile per l’ottimizzazione ma complessa, richiede di dotarsi internamente di competenze significative.
  • Sistemi convergenti che combinano componenti standard ottimizzati per i workload virtuali – sono predefiniti, quindi di facile implementazione, ma sono impossibili da ottimizzare, rendendo complessi eventuali cambiamenti futuri.
  • Sistemi iperconvergenti – economicamente interessanti, con un time-to-value rapido, perfetti per esplorare le possibilità dei data center di tipo software-defined.
  1. Riconoscere l’importanza dello storage on-premises

L’affermazione del modello ibrido implica la necessità di storage on-premises.

Il tradizionale storage RAID raggiunge i più alti livelli di prestazioni e affidabilità per quanto concerne l’immagazzinamento dei dati; tuttavia può limitare la possibilità di espanderne la capacità. Il Software-Defined Storage (SDS), con il suo intuitivo concetto scale-out di “basta aggiungere dei nodi in più”, rappresenta una soluzione a questo problema. Non è sempre quella più adatta, ma riesce a gestire le sfide delle modalità digital-native del lavoro – elementi come microservizi per garantire flessibilità, container per il deployment e l’esteso ricorso alle API – che mettono sotto pressione i sistemi e lo storage sottostante in modalità assai differenti.

Leggi anche:  Continental sceglie JAGGAER per l’implementazione di una strategia globale di digital procurement

SDS ha comunque le sue complessità da gestire, richiedendo un know-how del tutto nuovo. Il nostro consiglio è di mitigare le potenziali complessità implementando un’infrastruttura totalmente funzionale abbinata a un sistema storage approfonditamente collaudato e a un layer di virtualizzazione pronto all’uso.

  1. Essere sempre pronti e preparati in tema di protezione dei dati

Protezione dei dati, ransomware, disaster recovery e cyberattacchi sono spesso argomenti ai quali non si presta la necessaria attenzione finché non è troppo tardi – vale a dire, dopo che è accaduto il peggio. Un’efficace pianificazione di backup, archiviazione e ripristino dei dati permette di mantenere sempre il controllo della situazione.

Prima di pensare alle opzioni tecnologiche, occorre definire i parametri SLA (Service Level Agreement) in base alle effettive necessità di business. Il parametro RPO (Recovery Point Objective) indica quanto indietro nel tempo occorre andare prima di incontrare un punto di ripristino, ovvero una copia di backup eseguita prima di qualsiasi evento distruttivo. I valori di RPO possono essere anche di pochi secondi prima, nel caso dei dati operativi di produzione. Con il parametro RTO (Recovery Time Objective) si definisce invece quanto tempo occorre prima di poter completare i ripristini e tornare in attività. Qui è inutile spendere per quello che non occorre, visto che non tutti i dati sono mission-critical. Il nostro consiglio è di gestire e classificare i dati secondo le esigenze di business, in modo da bilanciare SLA accettabili da un lato e costi sostenibili dall’altro.

Qui può entrare in gioco anche la compliance. Le linee guida della Banca Centrale Europea, per esempio, impongono agli istituti di conservare un preciso numero di copie di backup.

La protezione non è più, infatti, una questione che riguarda solamente il data center: oggi occorre tenera al sicuro anche i dati contenuti in tutti i progetti di shadow IT disseminati in ogni organizzazione. Fortunatamente è semplice implementare un’infrastruttura iperconvergente (HCI) per gestire questo punto. È essenziale inoltre disporre di strumenti software efficaci che assicurino il costante backup di database di grandi dimensioni, affinché i dati correnti possano essere ripristinati in qualsiasi momento attraverso backup in tempo reale. A scopo di archiviazione, invece, le librerie a nastro rappresentano una soluzione di comprovata efficacia ed economicamente conveniente.

  1. Imparare a guadagnare dai dati
Leggi anche:  Riva Acciaio digitalizza il ciclo passivo grazie alla partnership tra Esker Italia ed Elmec

Riconsiderate il punto da cui partire: state ricavando tutto il valore possibile dai vostri dati?

In passato, normalmente, i dati si “raffreddavano” col passare del tempo, venendo assegnati a supporti più lenti fino alla scadenza del periodo di conservazione o fino a essere dimenticati. Oggi sempre più aziende riconoscono invece le potenzialità di valore anche nei dati meno recenti. I dati di un sensore IoT o di una app per social media potrebbero essere poco preziosi nel momento in cui vengono creati, ma il loro valore può aumentare esponenzialmente quando vengono aggregati, analizzati o venduti ai consumatori o ad altri vendor.

Un buon punto per iniziare è quello di mettere i dati sotto controllo, identificare i duplicati nascosti nei silos o in file incompleti. Le aziende un tempo investivano nella Business Intelligence (BI) e nei data warehouse; oggi, la data analytics gestisce svariate tipologie di dati strutturati e non strutturati provenienti da differenti fonti, riuscendo a processarle molto rapidamente.

Tutto questo significa che l’archiviazione può costituire la base della protezione dei dati e la base di significative riduzioni dei costi ma, allo stesso tempo, mette a disposizione una piattaforma per la data analytics e, potenzialmente, nuovi flussi di entrate.

Riflettete a fondo, iniziate in piccolo e pagate quanto consumate

Nessuno mette da parte del denaro per progetti che “potrebbero essere buoni” da implementare; tanto meno per progetti di trasformazione “tutto in uno”. In un mondo di budget che vanno riducendosi sempre più, è essenziale definire obiettivi sensati e valutare le possibili soluzioni prima di impegnarsi con gli investimenti più importanti.

L’analisi basata su AI dei workload e dei dati può essere messa al centro di ambienti think tank come il Customer Experience Lab (CX Lab) di Fujitsu, per sviluppare piattaforme dati resilienti. Gli ambienti ibridi offrono i vantaggi economici tipici del cloud, sostituendo ingenti investimenti iniziali con spese periodiche e prevedibili che scalano proporzionalmente alla crescita del business. L’on-premises può essere sfruttato dove risulta pratico farlo.

Questo è l’approccio che consigliamo alle aziende perché possano raggiungere il loro potenziale di business.

Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito:

https://www.fujitsu.com/global/products/computing/storage/.