Per gestire al meglio la transizione digitale e green si devono adottare nuovi strumenti e acquisire adeguate figure professionali: le nuove assunzioni non consistono nella sostituzione di figure identiche, ma guardano al futuro, alle nuove competenze che devono gestire e sostenere la trasformazione in atto.
Da tempo, però, si riscontra una crescente difficoltà nel trovare lavoratori con le competenze necessarie: gli ultimi bollettini mensili del Sistema Informativo Excelsior, realizzati da Unioncamere e Anpal, misurano il mismatch tra domanda e offerta tra il 45 e il 47 per cento dei profili ricercati, con un aumento tra il cinque e il sei per cento rispetto a un anno fa. Non si tratta solo di un problema italiano: secondo Eurostat, il 77 per cento delle imprese Ue ha difficoltà nel reperire i profili professionali ricercati. Nel nostro Paese, si faticano a trovare ingegneri elettronici e dell’informazione, matematici, fisici, informatici, tecnici della gestione dei processi produttivi, ma anche personale specializzato, ed è un problema comune a tutti i settori: quelli messi peggio sono il legno-arredo, le costruzioni, la metallurgia, il tessile-abbigliamento-moda. Le centinaia di migliaia di posti vacanti sono un monito per rivedere il sistema formativo, anche alla luce delle previsioni del World Economic Forum: entro pochi anni metà dei lavoratori avrà bisogno di reskilling per svolgere un nuovo mestiere.
Anche per questo, la Commissione Europea ha dichiarato il 2023 Anno Europeo delle competenze con l’obiettivo di riqualificare lavoratori e giovani perché possano ricoprire posti di lavoro di qualità con la giusta preparazione, in linea con le esigenze del mercato. In un mondo in rapida evoluzione, le competenze fanno la differenza tra chi riesce a cavalcare l’onda e chi resta indietro, con importanti conseguenze per crescita economica, competitività delle imprese e qualità della vita. Le competenze digitali sono ormai necessarie per lavorare in tutti i settori: l’intelligenza artificiale, la robotica, i sistemi di automazione, l’IoT stanno infatti rivoluzionando tutte le attività lavorative.
Assieme alla transizione digitale, i macro trend dei prossimi decenni saranno la sostenibilità, l’efficienza energetica e l’economia circolare. La transizione green è una materia complessa. Da un lato le normative in materia sono in continua evoluzione, con requisiti sempre più stringenti. Dall’altro i consumatori sono molto sensibili all’argomento e il mercato si sta evolvendo rapidamente per adattarsi.
Trasformazione digitale e trasformazione culturale devono procedere di pari passo per gestire questa complessità. Le aziende hanno bisogno di nuovi profili con le conoscenze giuste: mobility manager, energy manager, waste manager, HSE manager. Per permettere una diffusione delle conoscenze digitali e green e centrare gli obiettivi di domani è cruciale il dialogo tra mondo dell’impresa e università. Le iniziative formative messe in campo dalla Commissione europea, con i finanziamenti collegati, servono proprio per agevolare percorsi di studio dedicati alle nuove professioni, in collaborazione con centri di ricerca, istituzioni, istituti di formazione, associazioni di categoria e aziende. Tra chi si è già attrezzato c’è la PA italiana: dalla fine di marzo è attiva la piattaforma Syllabus, per la formazione continua dei dipendenti, dedicata allo sviluppo di competenze tecniche, ma anche di soft skills. Il cambiamento in atto richiede anche competenze più “umane”, come la capacità di organizzare e valorizzare il capitale umano, il pensiero critico, la capacità di lavorare in gruppo, la comunicazione interpersonale, il problem solving.
Per rimanere competitive, le micro, piccole e medie imprese italiane che compongono in prevalenza il nostro tessuto socioeconomico dovranno trovare le risorse per investire in formazione. Perché, come conferma il Rapporto annuale dell’Istat, il livello di istruzione e competenza del capitale umano è la chiave per rispondere ai cambiamenti in modo più rapido.