Tecnologie e sostenibilità per un’esperienza senza confini. Il fashion retail si adatta ai cambiamenti del mercato globale ridisegnando la supply chain e puntando sull’integrazione tra fisico e digitale. Ancora lungo il percorso verso la maturità omnichannel

Il 2022 ha portato nuove sfide per il settore della vendita al dettaglio, con i consumatori che hanno ridotto la spesa a causa dell’aumento dell’inflazione e i marchi in difficoltà per i noti problemi alla catena di approvvigionamento. Secondo l’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano, in Italia nel 2022, l’e-commerce di prodotto ha rallentato, con un +8% ottenuto nell’anno rispetto al +18% del 2021, mentre le aspettative dei merchant risultano meno rosee del previsto, con stime di fatturato al ribasso. Non è diverso, rispetto al contesto internazionale, lo scenario in cui l’e-commerce italiano si trova a operare. Il calo del potere di acquisto rischia di impattare anche sulla crescita del commercio online. Sempre stando ai dati dell’Osservatorio, un merchant su due ha rivisto le stime a chiusura del conto economico per accogliere modifiche al ribasso del proprio fatturato e al rialzo delle spese. Già ad aprile 2022, l’88% del campione dichiarava l’incremento dei costi di energia e trasporto, il 65% l’aumento dei costi delle materie prime e l’11% una diminuzione dell’export, soprattutto verso i paesi più coinvolti nelle tensioni socio-politiche.

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Al di là di questi cambiamenti di equilibrio tra online e offline, quello che si nota è una maggiore integrazione tra i diversi canali di vendita. Non vi è più spazio per un retail “solo fisico” così come per uno “solo digitale”. In ascesa, dunque, i modelli che coniugano i punti di forza delle diverse alternative. Ecco allora che i retailer ripensano il negozio in ottica omnicanale tra chioschi digitali in store per abilitare l’acquisto online di articoli non disponibili a scaffale, punti vendita che svolgono la funzione di magazzino per l’evasione degli ordini di e-commerce e formule di click and collect. Per dar vita a nuove iniziative, gli attori in essere devono lavorare sull’intera catena del valore (marketing, customer care, pagamenti, logistica, tecnologia) per migliorare i ricavi, ma soprattutto contenere i costi con obiettivi di breve, medio e lungo termine. Il ripensamento dei processi si traduce nell’implementazione di soluzioni tecnologiche in grado di abilitare un modello di commercio omnicanale. Un processo di trasformazione che coinvolge tutte le attività che girano intorno al mondo del retail: dalla raccolta e utilizzo del dato (CDP), fino alla gestione delle informazioni (PIM, DAM) e degli ordini (OMS).

IL RUOLO DEL NEGOZIO FISICO

Stando al sondaggio di Shopify e Ipsos, l’82% delle aziende è fiducioso che i negozi fisici continueranno a svolgere un ruolo importante nella futura crescita del commercio. In effetti, da quando i blocchi per la pandemia sono stati revocati, la vendita al dettaglio fisica si è ripresa, crescendo a un ritmo più rapido rispetto all’e-commerce. Il ruolo del negozio fisico non è più quello di una volta ma continua a essere determinante nella scelta dei prodotti. Online e offline sono effettivamente diventati un’esperienza continua, così come racconta l’indagine Connected Retail 2023 di C&IT, secondo cui i consumatori sono oramai abituati ad acquistare su canali digitali e fisici a tariffe quasi identiche e, di conseguenza, si aspettano esperienze simili ovunque essi si trovino. Come cambia questo rapporto? Ordini online e resi nei negozi, priorità per chi ha già pagato via app e una struttura interamente dedicata al canale digitale. L’inflazione ha avuto un impatto negativo sul commercio al dettaglio durante il periodo post-pandemia e allora i consumatori si rivolgono sempre più a rivenditori di valore o focalizzati sugli sconti, nel tentativo di spendere meno. Un dato interessante è che le vendite di B&M European Value Retail (il principale rivenditore del Regno Unito di prodotti alimentari e generici) sono aumentate del 6,4% nel quarto trimestre del 2022, evidenziando l’attuale ascesa del mercato fashion del “risparmio”. I retail, in tutte le fasce di prezzo, si stanno concentrando nuovamente sulla fidelizzazione, elevando o rinnovando i programmi omnicanale per offrire valore aggiunto ai clienti e impedire che si rivolgano altrove. Fedeltà significa ovviamente più che semplici sconti tradizionali; un programma di fidelizzazione omnicanale mira a offrire valore durante l’intero percorso di acquisto, con una maggiore personalizzazione in fase di scelta e di post-vendita. Un esempio è Petco, che ha recentemente unificato i suoi due programmi fedeltà esistenti sotto un’unica offerta Vital Care, per consentire a tutti i membri (sia gratuiti che a pagamento) di accedere a vantaggi e premi attraverso il suo sito web, l’app e i centri Petco per la cura degli animali domestici negli Stati Uniti. Una mossa che segue l’espansione del marchio nel tentativo di conquistare i clienti dei rivali negli USA, come Walmart e Target. Circle di Target è un altro esempio di programma fedeltà omnicanale che ha già riscosso un enorme successo, avendo raccolto più di 120 milioni di membri dal suo lancio nel 2019. Il programma fa parte della strategia di “personalizzazione su larga scala” di Target, che offre promozioni su misura, servizi e vantaggi in base alle esigenze e alle preferenze individuali.

Esempi oltreoceano certo, che però trovano riscontro, in Italia, in una ricerca di Manhattan Associates. Stando all’analisi, c’è una stratificazione delle abitudini d’acquisto che si traduce nel consolidamento di un commercio ibrido, dove le iniziative, come quelle di fidelizzazione, devono andare di pari passo con la risposta a esigenze concrete dei consumatori. Ecco allora che l’84% degli intervistati italiani ritiene che il servizio di consegna a domicilio sia il più importante al momento dell’acquisto online; seguito dal 46% che desidera una delivery il giorno dopo, e dal 34% che predilige il servizio click and collect. Questo risultato evidenzia quanto sia importante che i retailer offrano ai consumatori la possibilità di scegliere tra le opzioni di delivery e quanto sia necessaria la miglior gestione dello stock. A tal proposito, Manhattan Associates mette in luce i punti da tenere a mente per orientare le scelte in materia di retail nel 2023. Prima di tutto, l’importanza della “visibilità”, destinata ad aumentare ed estendersi non solo ai prodotti pronti alla spedizione ma anche alla merce in stock. Nel mercato odierno, i retailer devono saper rispondere alle criticità il prima possibile. Per questo, sapere esattamente dove si trovano i prodotti in stock in qualsiasi momento è fondamentale per il loro successo. Infatti, i consumatori si aspettano che i dipendenti dei punti vendita conoscano la disponibilità della merce in stock in modo da poter operare efficacemente. Inoltre, se la manodopera rappresenta un limite per determinate attività, gli analisti vedono una crescita del modello Robot as a Service, con le aziende che si adeguano sempre di più a strategie di automazione, che portano anche a una modernizzazione degli store.

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Nel 2023, il punto vendita tradizionale e la sua nuova concezione sono protagonisti di una rinascita. Punto vendita non solo pensato come spazio di acquisto ed esposizione ma anche luogo di microfulfillment, con aree dedicate ai resi e persino un customer care. Per esempio, la modalità di fulfillment BOPIS (Buy online pickup in store) è destinata a diventare una soluzione agevole per i consumatori, ma anche per i retailer. Gli store si occuperanno di un numero maggiore di resi online, poiché i retailer cercano sempre più di ottimizzare i costi lungo le proprie supply chain. Inoltre, con la crescita della percentuale complessiva dei resi, è possibile che aumentino le tariffe di spedizione associate ai resi degli articoli acquistati online, cercando di sfruttare gli store fisici come punto di consegna.

EFFICIENZA E INTEGRAZIONE

«Negli ultimi anni, i rivenditori si sono confrontati con la crescente domanda di acquisti omnichannel da parte dei clienti, ai quali è stato chiesto di soddisfare l’esigenza di navigare, acquistare e ricevere prodotti in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo» – spiegano Sofia Poggi, analista di ricerca e Ornella Urso, research manager di IDC Retail Insights. «Lo shopping omnichannel è un imperativo e i clienti stanno diventando sempre più agnostici rispetto ai canali, aspettandosi un’esperienza di acquisto coerente e personalizzata, indipendentemente dal canale fisico/digitale con cui interagiscono». I risultati dell’indagine IDC Retail Global Operating (2022) evidenziano che, anche se al momento il brick-and-mortar rimane il canale principale dei retailer della moda per la generazione di ricavi, l’adozione e il potenziale di crescita dei ricavi dei nuovi canali digitali emergenti dovrebbero decollare nei prossimi due anni (per esempio, social media, eCommerce, marketplace, pubblicità, live streaming). Certamente, la proliferazione delle sedi digitali attraverso le quali avvengono le interazioni con i marchi e i rivenditori consentirà ai modelli operativi dei rivenditori di diventare completamente omnichannel, ma inevitabilmente comporterà una nuova e maggiore complessità, richiedendo una profonda orchestrazione dei dati dei clienti, delle operazioni di negozio, dell’adempimento e degli sforzi di marketing. «Dopo aver raggiunto l’apice nel 2022, l’entusiasmo per il metaverso si è già raffreddato in molti settori, compreso quello della moda. In effetti, la promessa iniziale di un nuovo canale virtuale per viaggi d’acquisto altamente coinvolgenti, “un metaverso aziendale”, si è rivelata tardiva a causa della mancanza di maturità tecnologica e di adozione da parte dei clienti, tra gli altri fattori. Tuttavia, il clamore suscitato ha aumentato la consapevolezza dei potenziali casi d’uso delle tecnologie di miglioramento dell’esperienza immersiva per il retail, come la realtà virtuale (VR), la realtà aumentata (AR) e gli NFT. Marchi della moda e del lusso come Nike, Gucci, Hermes e Balenciaga hanno già iniziato a sperimentare queste tecnologie per colmare il divario tra l’esperienza del cliente online e offline e raggiungere nuovi livelli di ingaggio, rilevanza e semplicità. I rivenditori di moda danno sempre priorità al miglioramento del valore di vita dei consumatori e utilizzano le tecnologie immersive per rafforzare la relazione con il marchio». Per esempio, il rivenditore italiano di moda Pinko ha recentemente lanciato la sua prima collezione NFT Meta Love Bag. I titolari non solo hanno accesso alla proprietà digitale di Pinko Meta Love Bag, ma hanno anche diritto a una serie di vantaggi esclusivi, come l’accesso VIP alle feste Pinko, agli eventi dal vivo, l’accesso anticipato alle nuove uscite di prodotti e il diritto di prelazione per le future uscite NFT. In questo modo, Pinko ha identificato una comunità di amanti del marchio che saranno disposti a sostenerlo nella sua strategia a lungo termine, con il risultato di creare una comunità fedele che aumenta il valore per il cliente.

Secondo l’IDC Retail Operating Model Survey 2022, il percorso verso la maturità omnichannel dei retailer della moda è ancora lungo. In realtà, a livello europeo, meno di un quinto dei retailer di abbigliamento e calzature ha raggiunto un’offerta integrata di acquisti omnichannel, in grado di offrire ai clienti un’esperienza senza soluzione di continuità attraverso i vari punti di contatto. Per questo, il rinnovo degli spazi fisici, le attività di marketing e i programmi di fidelizzazione sono tra le aree principali di investimento nel mondo della moda per i prossimi due anni.

IDC ricorda che il 45% dei rivenditori di moda dell’UE prevede di implementare tecnologie AR/VR per l’esperienza del cliente nei prossimi due anni. Il 60% dei fashion retailer intende sviluppare servizi e soluzioni di economia circolare per ridurre la propria impronta ambientale e raggiungere gli obiettivi di sostenibilità nei prossimi due anni. I servizi per l’esperienza dei dipendenti, come le app mobili, sono una delle priorità di investimento per i retailer, perché consentono di fornire un servizio clienti di alto livello all’interno del punto vendita. Stando all’analisi di IDC, l’omnichannel è oramai un imperativo. «All’indomani della pandemia, i canali digitali alternativi, come i social e il commercio conversazionale, sono diventati sempre più rilevanti sia in termini di potenziale di guadagno che di coinvolgimento dei clienti. I rivenditori di moda devono ora migliorare l’interazione tra i canali per rimanere competitivi e soddisfare le esigenze dei clienti. Le tecnologie immersive sono destinate a rimanere. AR, VR e i camerini virtuali in 3D possono offrire nuovi livelli di coinvolgimento dei clienti, migliorando non solo l’e-commerce ma anche l’experience in negozio. Infine, le innovazioni di successo si ottengono attraverso la collaborazione. L’industria della moda vuole essere al passo con le ultime tendenze tecnologiche e i fornitori di servizi IT svolgono un ruolo fondamentale nell’aiutare i rivenditori a guidare l’innovazione del modello di business con una mentalità lungimirante».

COLLABORARE PER UN NUOVO RETAIL

Un rivenditore che ha accelerato la sua strategia omnicanale è Marks & Spencer, conosciuto come M&S, multinazionale britannica con sede a Londra che si occupa di vendita al dettaglio. Nel 2022, gli ordini click and collect del marchio sono aumentati del 20% mentre la crescita nelle vendite di marchi di terze parti è aumentata del 50%. Ikea è un altro esempio di retailer che sta evolvendo il proprio formato di negozio per allinearsi meglio con lo shopping omnicanale, rinnovando i suoi negozi più grandi per fungere anche da centri di distribuzione. A livello globale, circa un terzo delle vendite di Ikea avviene online, con i negozi fisici che diventano luogo cardine in questa nuova realtà omnicanale, sia per il ritiro della merce che per la consegna dei resi. Anzi, la strategia del gruppo svedese prevede, proprio dal 2023, l’apertura di piccoli centri di click and collect in luoghi strategici delle città. Notoriamente, i negozi Ikea sono infatti fuori mano, raggiungibili non benissimo con mezzi pubblici. L’idea? Aprire negozi di formato più piccolo partendo da città come Londra e Copenaghen, per consentire ai clienti di ordinare online e ritirare la merce in luoghi più vicini alle loro attività e comunque centrali. Oltre a fungere da luoghi per il click and collect, i punti vendita più piccoli permettono di individuare target demografici più specifici, sperimentare nuove direzioni e creare esperienze di acquisto personalizzate. Man mano che la vendita al dettaglio fisica cresce, l’e-commerce si normalizza sui livelli pre-pandemia. Il rapporto State of Fashion 2023 di Business of Fashion e McKinsey suggerisce che la redditività nei canali diretti al consumatore sta soffrendo, in parte a causa di assortimenti scarsi, il che vuol dire che i marchi faticano a invogliare acquisti ripetuti. In totale, McKinsey prevede una crescita globale delle vendite di moda dal 5% al ​​10% per il lusso e dal -2% al +3% per il resto del settore nel 2023. L’economia statunitense, nonostante il rallentamento, dovrebbe essere più robusta di altre: in Cina continuano le epidemie e le precauzioni per il Covid-19, mentre l’Europa soffre di una crisi energetica e di un euro indebolito rispetto al dollaro. In questo contesto, la mappa mondiale per la crescita del settore sta cambiando. I mercati che un tempo mostravano un solido potenziale di crescita si trovano ora ad affrontare una gamma di rischi più ampia rispetto al passato, che vanno da condizioni meteorologiche estreme a disordini politici o sociali. Altre regioni come il Medio Oriente possono diventare nuovi territori da conquistare, con i marchi che possono localizzare ulteriormente design, marketing e merchandising per attirare nuovi clienti. Le aziende dovranno dunque ripensare le loro operazioni. Molti aggiorneranno le strutture organizzative, introducendo nuovi ruoli o elevando quelli esistenti per mirare a opportunità di crescita chiave e rispondere in modo più efficace alle criticità.

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Mentre le famiglie a reddito più elevato saranno meno colpite dalle pressioni economiche e probabilmente continueranno ad acquistare beni di lusso, come nelle precedenti recessioni, le famiglie a reddito più basso probabilmente ridurranno o addirittura elimineranno la spesa discrezionale, compreso l’abbigliamento. Alcuni, come anticipato, faranno perno su rivenditori di valore, articoli scontati e canali a prezzo ridotto, evitando i marchi a prezzo pieno, premium e di massa. Tutto ciò rafforza l’importanza delle strategie di marketing, con la necessità di puntare maggiormente sul digitale. I budget si sposteranno su canali alternativi che potrebbero generare un migliore ritorno sull’investimento rispetto agli annunci sui social media a pagamento, come le reti al dettaglio, costruendo al contempo comunità più forti. Proprio come la vendita nei negozi fisici, il vantaggio principale dell’online è ancora una volta una maggiore visibilità. Un dato di fatto è che più la supply chain diventa flessibile e agile, più si rende necessaria l’integrazione in ecosistemi più ampi, per consentire alle aziende di sfruttare le capacità dei propri partner come parte di offerte più articolate e complete. Sinergie più che competizione, per risollevarsi e sopravvivere in un mercato molto più sfidante di un tempo.

PIÙ VISIBILITÀ SULLE OPERATIONS

Dallo studio Retail Challenges Boost Edge Technology Investment, commissionato da VMware e realizzato da Coresight Reserach, emerge la tendenza del fashion retail di puntare tutto sulla tecnologia per raggiungere meglio i clienti e aumentare i profitti. Oltre due terzi (66%) dei rivenditori prevede di aumentare la spesa per soluzioni tecnologiche basate su cloud e all’interno dei punti vendita nei prossimi anni, con quasi il 30% che stima un incremento del 10% nella spesa. In particolare, molti retailer puntano sull’implementazione di un mix di tecnologie: app dedicate e soluzioni BOPIS, ma anche chioschi contactless ed esperienze di realtà mista. I rivenditori riconoscono il potenziale delle tecnologie per affrontare le sfide legate al business. L’86% utilizza già o prevede di utilizzare tecnologie per la vendita al dettaglio. La principale è l’RFID o gli smart tag per il monitoraggio, con i tag che aiutano a prevenire le perdite e a migliorare le vendite. Per lo studio, su dieci società di vendita al dettaglio che hanno investito nella tecnologia RFID i rivenditori hanno visto un aumento dall’1,5 al 5,5% delle vendite, mentre l’efficienza dell’inventario è migliorata dal 65-75% al 93-99%. Il 52% dei rivenditori utilizza poi dispositivi di comunicazione con i clienti via app su smartphone, il 51% sensori per il monitoraggio video del consumo di energia e ancora il 51% ricorre al video digitale per arginare le perdite. Ancora, il 48% investirà su reti per l’in-store private wireless communication, il 47% su digital video for inventory management, il 46% su strumenti per l’automated-mechanized stocking fulfillment. Se i retailer del fashion hanno bisogno di una visione sempre più dettagliata della gestione delle operazioni, emerge la necessità di tecnologie volte a offrire un monitoraggio automatizzato dell’inventario e dashboard per avere maggiore visibilità delle operazioni online e offline e consentire la riduzione di costi e il risparmio di tempo.

LO SCENARIO DEI CHATBOT

Discorso a parte meritano i chatbot. Stando all’analisi di Business Insider Intelligence, il risparmio totale sui costi derivante dall’implementazione dei chatbot ha raggiunto nel 2022 circa 11 miliardi di dollari. E questo numero continuerà a crescere man mano che sempre più aziende adotteranno la tecnologia. Se guardiamo alla cifra dal punto di vista della dimensione del mercato globale dei chatbot, la crescita prevista è di 1,34 miliardi di dollari entro il 2024. Ma quanto questi strumenti possono davvero aiutare le aziende ad aumentare le vendite? Il rapporto di Business Insider Intelligence prevede che la spesa globale dei consumatori al dettaglio tramite chatbot raggiungerà i 142 miliardi di dollari entro il 2024. Non sorprende che così tante aziende vogliano unirsi al carrozzone. E coloro che hanno deciso di introdurre i chatbot sono abbastanza contenti dei risultati. Lo studio mostra che la maggior parte delle aziende, in particolare nel settore dell’e-commerce, è molto soddisfatta del modo in cui i chatbot hanno migliorato il servizio clienti e le operazioni di marketing. È vero che i chatbot possono aumentare le conversioni di vendita in alcuni settori anche del 70%, ma è difficile stabilire benchmark universali perché non è semplice monitorare tutte le transazioni e collegarle all’utilizzo di chatbot. Meglio allora discutere su qual è il tasso di coinvolgimento di tali strumenti. A fine 2022, ha fatto molto scalpore il rilascio, con un accesso poi limitato, di ChatGPT, pensato per un uso generalista e non verticale. Ma è evidente che man mano che i chatbot diventano diffusi, le aziende potranno usarli per restituire un’esperienza cliente migliore, riducendo i costi sul personale addetto e facendo sì che questo sia impegnato in compiti a più alto valore aggiunto. Per fare ciò, i chatbot dovranno essere in grado di gestire conversazioni più complesse e fornire informazioni accurate, uno scenario che, calato in un singolo segmento di riferimento, sembra molto più vicino di quanto immaginiamo.

L’IMPATTO DEI SOCIAL

Tornando al rapporto di Shopify, la considerazione è che i social media hanno trasformato il modo in cui i marchi interagiscono con i consumatori. Il cosiddetto web3 sta portando le classiche interazioni in un ambiente virtuale, anche chiamato “metaverso”. La connessione continua sarà un tratto distintivo di questi spazi virtuali, così come è diventata una caratteristica fondamentale del commercio moderno. Secondo l’84% delle aziende intervistate da Shopify, l’esperienza attraverso i canali social sarà ancora importante nei prossimi anni. Un caso limite è Fortnite, un videogame che è presto diventato un ambiente dove piantare nuovi semi di opportunità per i retailer. Roblox, che vanta oltre 200 milioni di utenti mensili, è un’altra piattaforma di gioco che crea esperienze su metaverso per coinvolgere il pubblico più giovane. Nike ha costruito uno spazio nel metaverso dell’azienda in cui i clienti possono vincere punti che si traducono in valuta per l’acquisto di abbigliamento digitale. Quasi tre quarti dei responsabili delle decisioni aziendali a livello globale, ascoltati dalla ricerca, ritengono che l’interazione con i clienti nel metaverso diventerà una prassi comune. I principali colossi tecnologici sono impegnati nel costruire la loro visione di realtà aumentata e virtuale, tanto che il mercato sta crescendo a un tasso annuale composto del 79,2%, mentre un acquirente su tre utilizza già la realtà virtuale per fare acquisti. Immaginare un futuro in cui i consumatori visiteranno negozi pop-up nel metaverso non sembra così lontano. La direzione che il retail nel suo complesso, fashion compreso, prenderà su queste piattaforme è un grosso interrogativo, con le opportunità che possono trasformarsi rapidamente in rischi, oggi difficili da calcolare e prevedere.

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