Dalla soluzione dei problemi computazionali più complessi alla simulazione di processi fisici, il computer quantistico apre la strada alla crittografia del futuro. Ecco come funziona
In questa rubrica abbiamo già ospitato dei contributi sul quantum computing e sul quantum machine learning. Negli ultimi tempi si sta facendo molta confusione riguardo queste tecnologie estremamente rilevanti, ma ancora fin troppo pioneristiche. La Cina, per esempio, sta investendo ingenti risorse per aggiornare le proprie strutture di comunicazione. Per proteggersi da eventuali attacchi cyber sulle informazioni rilevanti ha in mente di usare la computazione quantistica via satellite, che in sostanza significherebbe una protezione quasi impossibile da scardinare dagli attacchi cyber tradizionali. Questo perché l’attuale capacità computazionale non riuscirebbe a decifrare questo tipo di comunicazioni. All’inverso chi avrebbe la possibilità di usare una tecnologia di questo tipo avrebbe più facilità a penetrare negli attuali sistemi crittografici. Ma a prescindere dal tema, quantum oppure no, si fa anche spesso confusione tra supercomputer, come Leonardo del Cineca, e computer quantistico. Per fare chiarezza, Simon Garruto, quantitative analyst in Qbit scf, con una doppia laurea in fisica e in matematica, e un master in ingegneria finanziaria, ci spiega che cosa è, come funziona e quali sono le possibili applicazioni
Che cosa è il quantum computing nella maniera più semplice possibile?
«Il quantum computing è un settore di ricerca relativamente recente. Infatti, il primo articolo a descrivere il concetto di macchina descritta da proprietà quantistiche è del 1980 dal titolo “The computer as a physical system: A microscopic quantum mechanical Hamiltonian model of computers as represented by Turing machines”. Da lì, le ricerche si sono sviluppate fino a questo momento con risultati interessanti. Negli ultimi anni, anche grazie ai progressi tecnologici, il quantum computing ha ricevuto un’attenzione mediatica molto importante. In particolare, una pubblicazione di McKinsey dal titolo “Quantum computing just might save the Planet” ha messo in luce come, grazie alle possibili capacità computazionali, si potrebbero ridurre le emissioni di gas serra e salvare il Pianeta».
Quali sono le differenze sostanziali con i computer classici o i super computer?
«Spesso il quantum computing è pensato come un supercomputer più veloce, in grado di risolvere indistintamente tutti i problemi. In realtà, non è così. Un supercomputer non è altro che un grande agglomerato di processori e schede grafiche classiche, mentre i computer quantistici funzionano differentemente».
Ci puoi spiegare come?
«A differenza dei processori classici, dove l’unità di informazione (bit) viene rappresentata in un sistema binario 1 o 0 (acceso o spento, passa o non passa) l’unità di informazione quantistica (qubit) è rappresentata in una sovrapposizione dei due bit classici. Si dice quindi che il qubit è una sovrapposizione dei suoi due possibili stati. La situazione è esattamente analoga allo spin dell’elettrone che è una sovrapposizione di due stati (up e down) e solo dopo la misurazione lo spin risulta up o down (collasso della funzione d’onda). In modo analogo, il risultato della misura di un qubit potrà avere solo due possibili esiti, 1 o 0. Quindi con un qubit possiamo rappresentare due stati contemporaneamente, chiamiamoli |0> e |1> (nella notazione bra-ket tipica della meccanica quantistica). Analogamente, quando abbiamo due qubit, possiamo rappresentare tutte le possibili combinazioni dei singoli qubit: lo stato |0> del primo qubit con lo stato |0> del secondo, |0> e |1>, |1> e |0> e infine |1> e |1>. In totale quattro possibili stati, mentre con la versione classica di due bit possiamo rappresentare solo due stati. Iterando il processo, con 3 qubit possiamo rappresentare 8 stati (poiché ogni qubit può essere nello stato 0 o nello stato 1, e quindi il numero totale di possibili combinazioni di stato per 3 qubit è 2x2x2=8), con 4 il risultato è 16 (2x2x2x2=16) e con 10 arriviamo a 1024. Quindi in generale con n qubit possiamo rappresentare 2^n possibili stati, contro n stati dei bit classici. Chiaramente oltre alla rappresentazione dell’informazione esistono anche le operazioni (quantum gate) realizzate attraverso trasformazioni di qubit invertibili (operatori unitari)».
Senza andare troppo nei tecnicismi, quali sono le sfide che devono ancora superare i computer quantistici?
«Molteplici. I qubit infatti devono essere realizzati con particelle il cui comportamento risponde alla meccanica quantistica, quindi vengono usati elettroni e particelle subatomiche. Essendo particelle altamente suscettibili, devono essere dall’ambiente esterno e manipolati usando, per esempio, laser a impulsi e campi magnetici. Interferenze anche di piccola entità possono far collassare i qubit interferendo con il processo di calcolo in modo non voluto. Questo è un grande limite anche alla scalabilità. Infatti, sebbene lo spazio dei possibili stati aumenti esponenzialmente, diventa difficile tenere insieme molte particelle. Questi fattori rendono anche molto complesso la gestione dell’errore che richiede a sua volta complessi algoritmi per la correzione degli errori stessi. Un altro aspetto da non sottovalutare è quello della coerenza che rappresenta uno degli aspetti più critici per lo sviluppo dei computer quantistici. La coerenza è la proprietà di un qubit di rimanere in uno stato per un periodo sufficientemente lungo da permettere all’algoritmo di eseguire le operazioni. In altre parole, la coerenza indica la capacità del qubit di mantenere la sovrapposizione di stati senza che questo venga alterato da influenze esterne o da processi di decoerenza».
Quali potrebbero in futuro le applicazioni con maggiore impatto?
«Sono sicuro che nel mondo finanziario impatterà sia nel campo della modellazione stocastica che nelle applicazioni di ottimizzazione e machine learning».
Puoi farci degli esempi?
«La modellazione stocastica viene usata in moltissimi settori scientifici. Ogni volta che dobbiamo affrontare l’incertezza siamo davanti a un possibile fenomeno stocastico. In finanza l’incertezza sul futuro dei mercati finanziari spesso viene affrontata con i modelli stocastici, sia per decision making che per valutare i prezzi dei prodotti disponibili sui mercati. Questi fenomeni vengono governati da equazioni differenziali stocastiche. Anche se in alcune specifiche situazioni si possano trovare soluzioni analitiche, nella grande maggioranza dei casi non si conoscono soluzioni (o non esistono). E quindi, molte tecniche di modellazione stocastica richiedono la generazione di numeri casuali. I processori attuali generano distribuzioni pseudo-random basate su un seed e hanno problemi nel generare reali distribuzioni casuali, risentendone nella qualità della simulazione stessa. Il quantum computing potrebbe risolvere il problema, essendo in grado di generare reali numeri casuali».
E riguardo il machine learning, l’ottimizzazione e in generale le applicazioni di AI?
«Proprio in questi campi, il quantum computing potrebbe riservare le svolte più importanti. In particolare, alcuni algoritmi sono stati sviluppati per risolvere i seguenti problemi nel mondo della finanza: l’ottimizzazione di portafoglio, le opportunità di arbitraggio, l’analisi dei crash finanziari, le regressioni, le clusterizzazioni, la riduzione della dimensionalità, le reti neurali e il deep learning. Nonostante siamo ancora lontani da reali applicazioni pratiche, il quantum computing sembra davvero promettente in alcuni casi specifici. Probabilmente nei prossimi dieci anni, si inizieranno a vedere le prime applicazioni, in combinazione con lo sviluppo tecnologico».