Smart Industry, ritorno ai fondamentali

Smart Industry, ritorno ai fondamentali

L’informatizzazione dei processi manifatturieri per rispondere al drammatico uno-due della crisi sanitaria e geopolitica, concentrando capacità analitiche e investimenti sul concreto valore del dato. Con il contributo di Artsana, Bolton Group, Liquigas, Marelli Automotive Lighting, Hera Luce, Eni, Orange Business Services, Panasonic e smeup

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Emergenza sanitaria e conflitti geopolitici hanno determinato un clima di incertezza e pessimismo che condiziona tutte le decisioni di carattere industriale, comprese le strategie di trasformazione digitale della fabbrica. Eppure gli obiettivi e i fondi definiti dal PNRR, insieme alla crescente consapevolezza sui vantaggi dello smart manufacturing e di una nuova concezione più data-driven dei processi di produzione come della logistica, non sono venuti meno. Questa consapevolezza ormai caratterizza anche molti piani di sviluppo industriale, indipendentemente dal settore e dalle dimensioni.

Imparare a reagire in un contesto di crisi è una grande opportunità e la tecnologia della Smart Industry e dell’IoT può aiutare a individuare le risposte più efficaci. A patto di restare lucidi e non rinunciare alla capacità di sostenere certe scelte con una adeguata strategia di sostegno anche finanziario, disseminazione delle informazioni, sviluppo di nuove competenze, formazione delle persone e della cultura del lavoro.

AI E ROBOT COLLABORATIVI

Tra le tendenze individuate per la cosiddetta Industrial IoT, c’è la forte evoluzione del concetto di automazione end-to-end, di remotizzazione del controllo e degli stessi processi attraverso la sensoristica e gli attuatori, e di una maggiore collaborazione in fabbrica tra essere umano e macchine. Si parla ormai di “cobot”, robot collaborativi, oggetti che rifiutano le regole di segregazione del passato. Si rafforza inoltre l’impiego degli strumenti analitici e dell’intelligenza artificiale per dare concretezza ai dati generati dagli impianti e dai sensori. Un uso che avviene anch’esso in una modalità sempre più collaborativa tra imprese, sviluppatori di tecnologie e applicazioni, mondo dell’università e della ricerca.

Tutto l’insieme delle tecnologie e del software che ruotano intorno alla fabbrica intelligente sta chiaramente raggiungendo livelli di maturità incoraggianti e questo aumenta le aspettative sulla possibilità di gestire le attività industriali in un’ottica diversa. Con l’obiettivo di aumentare sia lo stato di salute degli impianti sia l’efficienza, la flessibilità e la marginalità dei processi, riducendo al tempo stesso i consumi energetici e l’impatto ambientale. Ma soprattutto per poter prendere le decisioni giuste, anche a livello “macro”, non solo nelle scelte quotidiane dell’imprenditore.

Nella tavola rotonda di Data Manager dedicata all’IoT e all’industria smart sono stati affrontati tutti questi temi attraverso un serrato confronto tra le esperienze accumulate dai relatori, che hanno presentato le rispettive strategie in materia. Al confronto, hanno partecipato Artsana, Bolton Group, Liquigas, Marelli Automotive Lighting, Hera Luce, Eni, Orange Business Services, Panasonic e smeup.

Si è parlato di progetti ma soprattutto di questioni sia sul fronte interno alle imprese (implementazione, organizzazione, sicurezza, ma anche competenze e change management), sia esterno con un occhio sempre rivolto ai vincoli di carattere normativo e regolamentare in cui deve essere calato ogni intervento sui processi produttivi e sul lavoro. Dal dialogo tra aziende utenti e fornitori di tecnologie e servizi, oltre a tante utili indicazioni su orientamenti e best practice, emerge un quadro realistico del potenziale – molto elevato – e del grado di adozione dell’Industry 4.0 in Italia. Un contesto dove sarebbe importante – secondo le risposte fornite al tavolo – promuovere un maggiore consolidamento delle tecnologie che possono contribuire all’innovazione del nostro sistema industriale. Forse il modo più opportuno di farlo passa attraverso il ritorno ai fondamentali dell’efficientamento e alla conquista di un nuovo assetto culturale. Al di là dei facili slogan e indipendentemente da emergenze e politiche di incentivazione contingenti.

UN ESERCITO DI SENSORI

Intorno al tavolo, Gabriele Provana, head of Digital IT Strategy & Governance di Eni, rappresenta una delle maggiori aziende per dimensioni e organizzazione. Nel definire le proprie strategie digitali – come spiega Provana – Eni ha affrontato tematiche diverse nel campo dell’high performance computing industriale, dell’integrità degli impianti, della sicurezza e salute delle persone, e delle nuove modalità di smart working. Nel suo excursus, emergono esempi molto significativi di utilizzo intensivo dei dati provenienti dalle macchine e dalla sensoristica: «In tutti i nostri impianti di power generation – spiega Provana – inclusi le più recenti bioraffinerie e i campi fotovoltaici, i dati real-time dei sensori facilitano il monitoraggio delle loro attività. In ambito HSE (Health Safety Environment) i progetti di “smart safety”, grazie all’adozione di dispositivi indossabili da parte degli operatori garantiscono al personale in sito di lavorare in sicurezza grazie al monitoraggio costante dei dati trasmessi su sofisticate reti wireless progettate in architettura “mesh”». In Eni la valorizzazione del dato si spinge fino ai confini tra impianti “reali” e virtuali. Come nell’approccio digital twin che il gruppo utilizza in vari ambiti anche di frontiera, come ad esempio nel campo della fusione a confinamento magnetico, dove i sistemi da ingegnerizzare vengono prima modellati sul supercomputer per verificarne l’efficacia. La sperimentazione per l’automazione smart prosegue senza sosta. «Attualmente stiamo per esempio studiando l’uso di robot a quattro zampe che possono svolgere funzioni di rilevamento dati in impianto, muovendosi agilmente all’interno di un percorso definito. Questo permette di estrarre in tempo reale informazioni utili dai numerosissimi sensori dislocati negli impianti. «Nel nostro Green Data Center, che ospita i supercomputer di Eni, e che ha appena compiuto i dieci anni di vita, l’attenzione all’efficienza energetica è massima: oltre a una produzione di energia elettrica da pannelli solari, per il 98% del tempo è in funzione un complesso processo di raffreddamento dell’aria interna che non fa ricorso a sistemi di condizionamento elettrici, ma si basa su un complesso sistema di canalizzazione dell’aria, monitorata attraverso 75mila punti di rilevamento della temperatura per oltre 1 milione di metri cubi d’aria».

MODELLI ILLUMINANTI

Gli algoritmi di simulazione rientrano esattamente tra le competenze di Marco Casali, responsabile modellazione ed efficienza energetica di Hera Luce, grande multiutility inter-regionale. In un momento di grande incertezza – come sottolinea Casali – i modelli possono dare un grande contributo quando si tratta di perseguire determinati obiettivi di efficienza e continuità dei servizi. «Hera Luce si occupa di illuminazione urbana ma in tutto l’ambito della smart city la definizione di “core business” si sta espandendo. Come operatore i modelli ci possono aiutare a fronte di fenomeni come l’aumento dei costi e i ritardi nelle consegne che caratterizzano i materiali che utilizziamo».

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Nel mercato di Hera Luce, molte città sono state impegnate in progetti di sostituzione dei loro sistemi di illuminazione urbana con la nuova tecnologia LED. Una vera rivoluzione in termini di contenimento dei costi energetici. Oggi, però si tratta di andare oltre, cercando ulteriore efficienza nei consumi, sempre maggiore tempestività nella manutenzione e diversificazione dei servizi. «Se i progetti si moltiplicano grazie a tecnologie sempre più mature, il vero problema è “scaricare a terra” queste tecnologie non da un punto di vista meramente elettrico bensì sul piano delle necessarie competenze e capacità realizzative» – continua Casali. «Le utility non si occupano più solo di luce. I bandi cui partecipiamo comprendono ormai aspetti come il controllo degli accessi a determinate aree delle città, il rilevamento della qualità dell’aria, e tutto quello che serve per costruire un sistema di smart city o di territorio connesso». Oltre a studiare il modo di razionalizzare ed efficientare la luce, Casali e i suoi colleghi applicano i loro modelli numerici per la prevenzione e la risoluzione dei guasti. «Integrando tutti questi modelli, puntiamo ad avere un controllo in tempo reale di questi sistemi multifunzione». La chiave sta nella conoscenza e nel dominio delle tecnologie, ma anche nel ripensamento delle strategie di sfruttamento delle informazioni. «La data strategy deve puntare a una maggiore globalità. L’obiettivo è di avere a disposizione informazioni trasversali, accessibili a tutti, in modo che chi si occupa di ricerca possa valutare nel modo corretto le correlazioni individuate tra fattori di cui in precedenza non si conosceva l’impatto».

LA TRASVERSALITÀ DEL DATO

Stefano Bosotti, offering Lob manager di smeup insiste sull’aspetto della trasversalità del dato, sottolineando come il vero punto di svolta, rispetto al tradizionale approccio basato sulle piattaforme di ERP, è rappresentato dall’ingresso, in quella che potremmo definire l’equazione del gestionale, della variabile “fisicità”. Le famose “risorse aziendali” dell’acronimo ERP non si fermano più al mero dato applicativo, quello che nasce nel gestionale stesso. «Smeup, storicamente impegnata nello sviluppo di soluzioni gestionali, è passata a una realtà che abbraccia ogni tipo di necessità di miglioramento» – spiega Bosotti. «Oggi, grazie alle competenze degli specialisti di IoTReady, società da noi partecipata, sappiamo integrare anche i punti di giunzione dei sistemi aziendali con la realtà fisica». Spesso – prosegue l’esperto – si tende a far coincidere la fisicità con la macchina utensile. Invece, la fisicità oggi permea l’intera organizzazione produttiva dalla progettazione al controllo qualità, dalla logistica al controllo degli accessi agli impianti. «Con questi nuovi apporti – continua Bosotti – il sistema gestionale dell’azienda diventa il ricettore di una miriade di dati che il software analitico aiuta a tradurre in vantaggio. Le aziende cominciano a percepire questo valore, che va ben oltre il vantaggio di natura fiscale legato all’incentivo. E lavorando con loro, abbiamo ottenuto risultati interessanti in questi ultimi sette o otto anni, in modo trasversale ai settori industriali».

Una testimonianza incoraggiante, insomma, considerata la familiarità di smeup con il fondamentale tessuto delle PMI. Tuttavia, manca una diffusa standardizzazione di una metodologia che è ancora nella sua prima fase di maturazione. «Alcune esperienze si possono in qualche modo esportare, ma la personalizzazione è molto forte. Anche nei settori di nicchia è difficile trovare due progettualità identiche». La scarsa riutizzabilità è ovviamente un freno alla scalabilità e alla crescita dei livelli di adozione. Eppure, il circolo virtuoso che va dal dato al margine di miglioramento comincia a essere capito. «Studiando i consumi misurati con i sensori installati sul prototipo di un nuovo dispositivo, un cliente ha ottenuto informazioni che hanno portato a modificare il progetto originale. Esattamente, il senso dell’Industry 4.0» – osserva Bosotti.

STESSA QUALITÀ, MENO CONSUMI

Anche la testimonianza fornita da Roberto Bresciano, Industrial director di Artsana va nella direzione di una convergenza tra IT e OT che può avere una profonda influenza sia sulla fabbricazione sia sull’ideazione di un prodotto industriale. E al tempo stesso, mette in luce l’importanza di affrontare con realismo l’inevitabile resistenza al cambiamento. «Artsana – rileva Bresciano – rappresenta una unicità nel campo della fornitura di tutta la gamma di prodotti per bambini e si rivolge a un mercato vastissimo, attraverso 30 filiali, 120 distributori e oltre un migliaio di punti vendita nel mondo». Nonostante questa complessità di prodotto e scala geografica, Artsana non smette di esplorare sempre nuovi margini di efficienza nell’intera filiera.

Tra i grandi capitoli su cui Bresciano ha lavorato c’è per esempio la piattaforma MES (manufacturing execution system) che rappresenta in un certo senso l’estensione dell’ERP nelle fabbriche. Ma l’innovazione digitale riguarda anche la sensoristica. Gli impianti produttivi di Artsana non sono particolarmente energivori, ma già a partire dal 2018 l’azienda si era mossa nel campo dei sistemi di monitoraggio capillare dei consumi. Questo ha portato Artsana a mettere in pista interventi organizzativi a costo zero, basati sulla lettura analitica dei dati raccolti, stimolando la voglia di investire ulteriormente sul tema dell’efficienza a 360 gradi, non solo energetica. Un progetto avviato quando il prezzo dell’energia sembrava molto stabile, si sta rivelando quanto mai tempestivo e felice. «Tanto che oggi – afferma Bresciano – vogliamo aumentare la capillarità dei nostri sistemi di misurazione, per arrivare fino alle singole linee». Il contesto di questi ultimi due o tre anni non aiuta chi vuole sperimentare sul software come strumento di pianificazione e previsione. «Ma la sperimentazione è imprescindibile» – continua Bresciano. «I lead time di fornitura sono schizzati verso l’alto, le materie prime scarseggiano, i clienti vogliono essere serviti. Per questo, è fondamentale accelerare il processo S&OP attraverso sistemi di pianificazione integrata che partano dall’espressione del bisogno fino all’approvvigionamento della materia prima». Se un tempo era possibile servirsi di strumenti di planning più convenzionali come il classico spreadsheet, oggi è più difficile permettersi certe latenze tra percezione del fabbisogno e reimpostazione delle linee produttive.

In Artsana, riferisce infine Bresciano, l’evoluzione degli strumenti software riguarda anche il design dei prodotti stessi. «L’aumento dei costi dei materiali induce a progettare prodotti meno cari e più sostenibili, riducendo il consumo di materiali e risorse». Il concetto di digital twin non è ancora applicato all’intero impianto, come nel caso della fusione nucleare in Eni, ma è alla base delle nuove metodologie che Artsana utilizza per progettare le linee di produzione dei seggiolini per bambini in auto. «In questo caso, i vincoli di sicurezza sono super stringenti per i livelli di certificazione che dobbiamo rispettare» – spiega Bresciano. «L’obiettivo è cercare di ridurre la quantità di materiale plastico senza incidere minimamente sulla qualità del prodotto finale».

EVANGELISTI ED ESORCISTI DIGITALI

La lunga esperienza di Stefano Faccio, head of Machinery SafetyIndustry 4.0 & Digital Manufacturing di Marelli Automotive Lighting, contribuisce a spostare la discussione verso una prospettiva ancora più vicina alla realtà della fabbrica. In un comparto che non potrebbe essere più competitivo, com’è quello della componentistica destinata all’automotive, le motivazioni che inducono a sviluppare estese strategie di digitalizzazione dell’operatività, non mancano. «Le tecnologie nell’ambito dell’automazione industriale non sono mai state così disponibili, anzi proprio questa abbondanza può creare parecchi problemi quando si tratta di definire una strategia chiara» – spiega il responsabile della digitalizzazione di Marelli LIghting. Per questo, ironizza l’esperto, insieme alla figura dell’evangelista digitale, incaricato di favorire l’adozione delle buone pratiche tecnologiche, sarebbe opportuno istituire quella dell’esorcista digitale. Ruolo che Faccio rivendica nel suo lavoro di costante analisi delle varie alternative disponibili, mirata a individuare i percorsi preferibili dal punto di vista della fattibilità e del ritorno sugli investimenti. Uno studio così accurato dei progetti è fondamentale perché il mondo della produzione è quanto mai pragmatico e richiede sempre valutazioni. Su questa base, riusciamo a decidere quali tecnologie applicare, sperimentando di volta in volta test e proof of concept che alla fine devono essere adottati come standard in oltre venti stabilimenti». Ai colleghi presenti al tavolo, Faccio presenta alcuni esempi riferiti a una serie di tecnologie che tra le altre cose abilitano lo “shop floor” di Marelli a reagire con grande tempestività alle situazioni che possono perturbare il normale funzionamento degli impianti. «Quando i lead time della lavorazione sono così stretti, basta anche un efficace sistema di messaggistica tra i singoli operatori per avere grossi vantaggi» – spiega Faccio, riferendosi a soluzioni che ricadono nell’ambito della gestione attraverso sistemi MES, ma con una marcata tendenza alla reattività in tempo reale.

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«Altri progetti su orizzonti di medio-lungo termine riguardano la predittività sul funzionamento delle macchine e sulla generazione dello scarto» – continua Faccio. «Quando parliamo di predizione dei pezzi scartati o dei guasti, le soluzioni hardware e software su cui possiamo contare oggi, con l’AI e la potenza di calcolo distribuita anche all’edge, non sono paragonabili a quanto era disponibile in passato. Gli investimenti di Marelli, inoltre, sono orientati a strumenti di pianificazione della produzione in grado di traguardare anche sui lunghi orizzonti». Ma altrettanto lunghi sono i tempi di questo impegno: «Lo sviluppo e la validazione degli algoritmi, ma soprattutto la necessità di scalare in una geografia operativa così vasta e diversificata. L’obiettivo ultimo è affrontare una strategia di life cycle management del prodotto che sia un viaggio di andata, ritorno e ripartenza dal laboratorio di ricerca e sviluppo».

TRASFORMARE LE PERSONE

Dal racconto della progettualità in Marelli Automotive Lighting, emerge nettamente un primo, fondamentale elemento: l’inerzia che caratterizza un progetto di trasformazione che coinvolge gli ambienti al confine tra IT e OT. A differenza dell’office, o di scenari di magazzino e logistica, la già citata fisicità della fabbrica non è quasi mai compatibile con soluzioni “chiavi in mano”: scelta delle tecnologie, definizione delle strategie, implementazione, adozione, scale-up, competenze. Tutti vincoli impegnativi che richiedono tempo e risorse. La stessa constatazione che Luca Visai, european key account manager di Panasonic esprime sulla base delle esperienze vissute a livello continentale dalla divisione del gruppo giapponese che si occupa di piattaforme PC portatili ad altissima affidabilità e resistenza. «Devo continuamente interfacciarmi con aziende che hanno in cantiere diversi progetti di digitalizzazione ed eliminazione delle procedure cartacee» – riconosce Visai. «Intorno alla qualità ed essenzialità del prodotto, ruota tutta la filosofia della risposta che Panasonic può dare ai suoi clienti. Le idee che questi clienti vogliono realizzare sono bellissime, ma c’è una diffusa tendenza, specie in Italia, a sottovalutare le risorse finanziarie e soprattutto umane, da mettere in campo. Certi tipi di transizione – continua Visai – hanno una forte base tecnologica, ma il successo di una implementazione risiede quasi invariabilmente nelle persone e nella loro capacità di evitare eccessive semplificazioni».

IL GAS DELL’INNOVAZIONE

L’idea della fisicità industriale in cerca di governo digitale assume l’ennesimo significato inedito quando la parola passa a Simone Cascioli, head of HSE Sustainability Innovation di Liquigas. Il suo ruolo combina gli aspetti della protezione delle persone e dell’ambiente, con quelli della ricerca delle soluzioni più innovative. «Liquigas esiste dagli anni ‘50 ed è uno dei leader più importanti nel mercato del GPL e dei sustainable fuel. La nostra mission è la distribuzione di gas liquefatto sfuso per oltre 300mila clienti dotati di serbatoio, tipicamente nel giardino dell’abitazione, e di gas commercializzato nelle tradizionali bombole» – spiega Cascioli. Stiamo parlando di un asset di 6 milioni di bombole all’anno (fonte Sodano), su un cespite complessivo di otto milioni, che vengono sostanzialmente fornite in comodato attraverso una fitta rete esterna di distribuzione che Liquigas deve gestire per le attività di ricarica, manutenzione, sicurezza e prevenzione degli illeciti, come nel caso del riempimento abusivo. «Si tratta di un problema molto serio – continua Cascioli – causato dalla presenza di stazioni di riempimento non autorizzate che fanno uscire dalla normale filiera di controllo questi contenitori». I rischi di esplosione provocati dai riempimenti eccessivi si aggiungono a ciò che equivale a un ammanco su beni di proprietà di Liquigas. «Abbiamo affrontato questo duplice problema, di sicurezza e manutenzione, cercando di immaginare nuove modalità di controllo di un bene, quale il GPL, che esiste da lunghissimo tempo ma deve prevedere l’innovazione continua dei sistemi di controllo a tutela delle persone».

Ed è su questa traiettoria di innovazione – prosegue Cascioli di Liquigas – che è allo studio di una vera e propria “Internet delle Bombole” che faccia leva sulla installazione di un chip di tipo passivo, in quanto non è possibile utilizzare facilmente componenti ad alimentazione elettrica a causa delle atmosfere potenzialmente esplosive in cui i chip devono funzionare. Nella sua semplicità, la IoT del gas liquido è un esempio perfetto dei limiti verso cui un approccio esclusivamente tecnologico può andare incontro per limitazioni di altra natura. «Sulla questione – precisa Cascioli – gravano le molte problematiche di una soluzione che deve essere estesa a cinquemila partner locali e a diversi milioni di utenti. Nei nostri proof of concept dobbiamo verificare che per entrambi esistano stimoli positivi, come la possibilità per i partner di gestire meglio i propri asset, ma anche il valore che il mercato finale deve percepire in un’ottica commerciale e che pone il cliente al centro di tutte le nostre iniziative. La gestione di un patrimonio così esteso e diffuso non è facilmente ottimizzabile dal punto di vista della informatizzazione del dato o del tracciamento, tuttavia il commitment di Liquigas su questa tematica è molto alto».

L’INNOVAZIONE CHE SERVE

La difficoltà nell’integrare le tecnologie operative nel più sperimentato contesto dell’information technology, interviene Giorgio Piccolo, ICT Supply Chain & Logistic supervisor di Bolton Group è legata all’imperativo di utilità e usabilità che questa integrazione sottende. «Il discorso della digitalizzazione della fabbrica – avverte Piccolo – è diverso perché in fabbrica l’utilità di uno strumento informativo conta molto più della sua complessità. In una realtà come Bolton Group che produce beni di consumo, l’IT rappresenta il punto di congiunzione di un sistema produttivo composto da 17 impianti sparsi per il mondo. Il nostro è un dipartimento trasversale il cui scopo è individuare, studiando ogni contesto di fabbrica, quegli strumenti che servono a produrre con più qualità, a costi più bassi, e facendo lavorare meglio le persone. Questi miglioramenti avvengono in ambienti che accettano più volentieri il cambiamento quando gli “informatici” sono in grado di dimostrare la validità e i vantaggi di una determinata soluzione, anche se questi vantaggi non arrivano in tempi immediati».

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Come in Artsana, il team di Piccolo ha lavorato molto per estendere e standardizzare il sistema di manufacturing execution sugli stabilimenti attivi in Italia. Un compito impegnativo in questi anni di pesanti limitazioni agli spostamenti, a causa della difficoltà nello svolgere quelle attività di assessment che consentono di verificare sul campo la validità di un’ipotesi di trasformazione. Il lavoro di scrematura di cui parlava Faccio, è imprescindibile quando la digitalizzazione non riguarda il cosiddetto greenfield, l’impianto che viene progettato ex novo, ma un’infrastruttura consolidata. «Da ogni progetto, deve trasparire il valore aggiunto e occorre definire con precisione le informazioni da acquisire. Il machine learning è un concetto che vogliamo introdurre negli stadi più avanzati di questa fase di digitalizzazione, ma la tecnologia innovativa non è sufficiente se non c’è usabilità» – conclude il responsabile della logistica in Bolton Group.

ALTO TASSO DI EFFICIENZA

Molti degli spunti raccolti nel corso della discussione trovano una sintesi nelle parole di Pier Giuseppe Dal Farra, smart industries business expert di Orange Business Services, che parla di ritorno ai fondamentali dell’informatizzazione anche nella fabbrica. «Dopo la grande enfasi sulla smart industry degli anni passati, corroborati da ricerche di mercato forse troppo ottimiste, oggi notiamo un bisogno di riflettere in modo più approfondito sui singoli progetti». Nell’offerta di system integration di Orange Business Services, c’è stata nel corso del tempo una progressiva rifocalizzazione su quello che deve essere il vero obiettivo della trasformazione digitale di un impianto industriale – spiega Dal Farra: «Raccogliere, concentrare, trasportare, elaborare, mettere in sicurezza il dato e utilizzarlo per fare meglio le cose o fare cose nuove utili al business».

Orange Business Services concentra la sua tradizione di grande carrier internazionale su ogni singolo passaggio, secondo una logica di ecosistema, orchestrazione e visibilità end-to-end dei dati e della connettività in sicurezza. «La cybersecurity è un tema su cui ancora non ci si siamo soffermati ma è al centro dell’attenzione di tutti» – afferma Dal Farra. «Dopo aver analizzato i vantaggi delle cose che si possono fare con i dati, la domanda successiva dei nostri clienti è: come proteggiamo questo valore?». Negli esempi forniti da Eni e altri interlocutori, Dal Farra ritrova molte sovrapposizioni con le tecnologie che Orange Business Services sta implementando in questo momento. «Lo smart tracking è una delle aree della smart industry che desta notevole interesse, anche perché si presta a essere interdisciplinare. Un grande cliente come De Beers estrae i suoi diamanti anche dal fondo marino e a bordo delle navi deve risolvere il problema del tracciamento delle persone, in un ambiente che ostacola il normale funzionamento delle reti radio». In contesti come questi, Orange Business Services può far leva sulle capacità messe recentemente in campo per Schneider Electric, specialista di energy management e automazione, che nelle sue fabbriche sta realizzando un’infrastruttura 5G a supporto della trasformazione basata sull’IoT. Il settore manifatturiero è chiamato ad affrontare molte sfide in un momento di cambiamento dei modelli produttivi e di perturbazione del mercato. Ma come? «Per trasformare digitalmente la produzione occorre partire dalle basi» – risponde Dal Farra. «Dallo studio dei propri asset e delle scelte da fare, da una realistica valutazione dei tempi e delle risorse disponibili. Ancor prima di parlare di Industry 4.0, è opportuno ripensare l’efficienza attraverso i suoi classici parametri. Solo lavorando per incrementare e consolidare il tasso di efficacia totale di un impianto (OEE), oggi non sempre ottimizzato, si può procedere verso le nuove dimensioni della data age».

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Foto di Gabriele Sandrini


Point of view

Intervista a Pier Giuseppe Dal Farra smart industries business expert di Orange Business Services: Fondamenti di trasformazione

Intervista a Luca Visai european key account manager di Panasonic: Toughbook, la flessibilità a tenuta stagna

Intervista a Stefano Bosotti offering Lob manager di smeup: L’Internet delle cose necessarie