La pubblica amministrazione ha il dovere di scrollarsi di dosso l’immagine di arretratezza che la accompagna. Ci sta riuscendo anche grazie all’Europa e ai fondi PNRR per il digitale, puntando sui servizi abilitati dai dati. Il cloud ha un ruolo fondamentale ma servono i Poli Strategici

La Pubblica Amministrazione è costantemente sotto osservazione per quanto concerne la capacità di sfruttare le tecnologie disponibili al fine di erogare servizi rispondenti ai bisogni delle persone. Poiché le tecnologie esistono, che non si trovi il modo di usarle bene è un qualcosa che i nuovi cittadini digitali non sono più disposti ad accettare. Quello dei ministeri e delle varie società partecipate, della PAC (pubblica amministrazione centrale) e della PAL (pubblica amministrazione locale), è un mondo che ha sempre ragionato e agito a silos, con scarso coordinamento ma soprattutto senza condividere i dati. Questo ha portato cronici ritardi e inefficienze operative nell’erogazione dei servizi della PA, alti costi di sviluppo e di gestione nonché un’elevata esposizione al rischio di attacchi informatici. Se questo prima veniva accettato come “normale” e in qualche modo giustificato, oggi le cose sono cambiate e con esse il metro di giudizio dei cittadini.

Sfatiamo un mito: la farraginosità di cui la PA porta il fardello non è mai dipesa realmente dalla mancanza di figure professionali tecnicamente adeguate e nemmeno di buona volontà, ma piuttosto da garbugli burocratici difficili da districare e dalla mancanza di un coordinamento strategico. Insourcing vs outsourcing, on-premise vs cloud sono tutte scelte che se fatte in modo omogeneo portano benefici ma se decise a macchia di leopardo causano problemi nella condivisione dei dati e di interoperabilità tra applicativi. La mentalità del “campanile” è stata la causa di numerosi fallimenti nell’obiettivo di erogare i servizi efficienti che il cittadino giustamente reclama. Oggi finalmente alcuni aspetti stanno mutando e l’attenzione verso il cliente-cittadino è sempre più elevata. I silos stanno lentamente cadendo e un coordinamento a livello globale sta muovendo i suoi primi passi. Dietro le quinte c’è molto più di quello che si può vedere sul palcoscenico. Chi lavora nell’IT ha una duplice responsabilità rispetto alla resilienza delle proprie scelte: da una parte far sì che le funzionalità siano le più performanti nell’ottica del business o dei servizi da erogare, dall’altra garantire la funzionalità dei sistemi nel lungo periodo tramite scelte che non creino fenomeni di lock-in invero dannosi.

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DATI UNICI E CERTIFICATI AAA CERCANSI

L’Europa sta puntando sulla trasformazione digitale del settore pubblico. Massimiliano (Max) Claps, research director IDC Government Insights Europe, sottolinea che questo sta avvenendo per realizzare la promessa di una ripresa inclusiva, sostenibile e supportata da amministrazioni pubbliche efficienti ed innovative che trasformino i servizi in chiave citizen-centric. Il piano Digital Decade della UE ha definito chiaramente la visione: “L’Europa mira a dare maggior forza alle imprese e ai cittadini in un futuro digitale incentrato sulla persona, sostenibile e più prospero”. Nell’ambito di questa visione del futuro potenziato dal digitale, i dati assumono un ruolo strategico. Lo stesso piano UE propone di istituire progetti multi-paese per lo sviluppo di infrastrutture dati e servizi comuni europei. In combinazione con normative come il GDPR, l’imminente Digital Operational Resilience Act e Data Act, i programmi e i progetti del Digital Decade, i fondi Next-Gen EU mirano a mettere l’Europa in prima linea nel rimodellare l’economia globale dei dati. Come per il resto dell’economia, le pubbliche amministrazioni stanno cercando di capire come sfruttare i dati per migliorare l’elaborazione delle politiche, l’erogazione dei servizi e l’efficienza operativa.

Secondo una survey condotta da IDC a luglio 2022 su 230 IT e non-IT executive pubblici in Europa, per i funzionari delle PA italiane le tre principali linee d’azione per conseguire l’obiettivo di una pubblica amministrazione centrata sul cittadino sono, in ordine di importanza: la raccolta di dati quantitativi e qualitativi sull’esperienza e la soddisfazione dei cittadini; l’implementazione del principio once-only per fare in modo che i cittadini non debbano fornire informazioni personali ogni volta che interagiscono con la PA; l’utilizzo dei dati personali in modo intelligente per personalizzare i servizi.

Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha messo l’accento sul ruolo strategico dei dati da molteplici punti di vista, innanzitutto con un investimento dedicato a dati e interoperabilità di 646 milioni di euro in cui spicca la creazione di una Piattaforma Nazionale Dati che permetta, tramite APIs, di condividere dati fra pubbliche amministrazioni in modo sicuro, per rendere effettiva l’applicazione del principio once-only. Il PNRR prevede inoltre investimenti a supporto della modernizzazione dei sistemi legacy facendo leva sul cloud, tecnologia che si auspica possa ampliare su larga scala l’accesso alla condivisione e all’analisi dei dati.

SENZA INFRASTRUTTURA SI RESTA AL PALO

L’utilizzo del cloud può effettivamente risolvere gran parte dei problemi, a patto che – evidenzia Marco Balassi, direttore Area Innovazione e Servizi Operativi di Agenzia delle Entrate-Riscossione – si riesca al più̀ presto a rendere operativo il Polo Strategico Nazionale (PSN), dove trasferire i data center della maggioranza delle PA e avviare un programma di razionalizzazione e standardizzazione delle infrastrutture, delle piattaforme e delle applicazioni.

Tutto ciò consentirà di rispettare l’obiettivo di portare nel PSN il 75% dei dati delle PA italiane entro il 2026 e di abilitare una strategia data driven che metta al centro cittadini e imprese e renda possibile la realizzazione di servizi pubblici in logica cloud first e once only, assicurando sempre l’integrità̀, la riservatezza e la disponibilità̀ delle informazioni. Contemporaneamente si potrà ridurre il numero dei data center della PA e con essi i costi operativi legati alla gestione ICT della pubblica amministrazione. Mauro Minenna, a capo del dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, afferma che «il Dipartimento assiste la PA nella digitalizzazione di processi e servizi con l’obiettivo di renderla la migliore alleata di cittadini e imprese. Per quanto riguarda le infrastrutture digitali stiamo promuovendo un approccio cloud first – aggiunge – con un cambiamento che porterà a servizi più sicuri e integrati. È in atto un processo per razionalizzare e consolidare molti dei data center oggi distribuiti sul territorio, in particolare quelli delle amministrazioni centrali e delle aziende sanitarie locali che custodiscono dati sensibili».

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GLI STRUMENTI CITIZEN-CENTRIC

Un vecchio e noto proverbio ci ricorda che “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. E il mare che separa le pubbliche amministrazioni italiane dalla realizzazione dei benefici di un uso intelligente dei dati è colmo di difficoltà tecniche, ma soprattutto organizzative. Secondo la survey IDC che abbiamo menzionato prima, in Italia, più che nel resto d’Europa, l’innovazione tecnologica del settore pubblico è frenata da una serie di fattori, tra cui spiccano la resistenza al cambiamento organizzativo, mancanza di fiducia dei cittadini, mancanza di competenze digitali fra i dipendenti pubblici e la difficoltà di accesso a dati affidabili che siano interoperabili.

I dirigenti, e a cascata i funzionari e i dipendenti pubblici italiani che vogliono usare i dati per mantenere la promessa di una ripresa inclusiva e sostenibile, dovranno prima di tutto allineare l’uso intelligente dei dati a obiettivi e metriche tangibili legati al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. Sarà poi importante implementare architetture tecnologiche e modelli di governance che assicurino la conservazione e l’uso sicuro dei dati, come ha fatto per esempio Istat lavorando sui micro-aggregati per garantire la privacy nel contesto del programma RAF (Register based Analytics Software). «Uno strumento che dona certezza, sicurezza e solidità al dato è fondamentale» – afferma in un altro articolo di Data Manager Massimo Fedeli, direttore dei sistemi informativi di Istat. «La semplicità d’uso realizzata dal RAF permette di risolvere alla radice le problematiche di privacy, assicurando una vera trasparenza». Un uso intelligente dei dati permetterà di re-immaginare la burocrazia, anziché semplicemente automatizzare i processi esistenti. Lo hanno fatto ad esempio il sistema sanitario nazionale (NHS) e il ministero delle politiche sociali (DWP) inglesi, che hanno condiviso basi dati per identificare in modo proattivo categorie di cittadini che potessero avere accesso prioritario ai vaccini anti Covid. Ovviamente servirà preparare tutti i dipendenti pubblici a un uso più consapevole e sofisticato dei dati per fini sia di programmazione sia di attuazione delle politiche pubbliche. Servirà anche trovare il modo di collaborare con un ecosistema allargato, ad esempio in ambiti come mobilità sostenibile, sanità e turismo, dove le aziende private possono apportare dati e competenze a valore aggiunto. Le pubbliche amministrazioni che non abbracciano questo paradigma rischiano di sprecare l’opportunità unica offerta dal PNRR e dai piani europei per il decennio digitale. «Il gap digitale della PA italiana – afferma Mauro Minenna – si traduce ancora in ridotta produttività e difficoltà per i cittadini. Per questo motivo, come Dipartimento per la Trasformazione Digitale, cerchiamo da un lato di migliorare l’accessibilità ai servizi pubblici digitali con l’adozione di servizi uniformi di pagamento tramite pagoPA e la valorizzazione delle identità digitali SPID, CIE. Dall’altro, oltre all’introduzione della Piattaforma Notifiche Digitali (PND), che sarà usata dalle PA per notificare digitalmente atti amministrativi a cittadini e imprese con significativi vantaggi di costi e tempi, stiamo accelerando con l’interoperabilità dei dati tra gli enti pubblici, snellendo le procedure secondo il principio once only con l’adozione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND). L’ostacolo che permane è una qual certa resistenza nel mettere a fattor comune i dati, sovente con la giustificazione della sicurezza o della privacy o della titolarità. Da questo punto di vista è fondamentale ribadire che il dato è del cittadino, non della PA, e quindi abbiamo il dovere di una conservazione sicura e finalizzata unicamente all’erogazione di servizi».

PER ATTUARE LA CITIZEN-EXPERIENCE

L’economia dell’esperienza rappresenta sempre di più il futuro, ma anche il presente e in certa misura il passato prossimo. La digital customer experience, il voice of the customer, la user experience, così come il digital customer journey sono entrati nel vocabolario del marketing e dei sistemi di customer relationship management (CRM) che le aziende più innovative stanno già adottando da anni. Le imprese investiranno sempre di più e innoveranno utilizzando le nuove tecnologie, per vendere un’esperienza sempre più phygital (ibrida, sui canali fisici quando serve, altrimenti digitale) attraverso servizi a valore aggiunto e sempre più sostenibili. Di pari passo, anche la pubblica amministrazione sarà chiamata a percorrere una strada simile per contaminare e creare una cultura del servizio digitale basata sulla citizen experience. Questo anche in considerazione del fatto che l’emergenza legata alla pandemia ha comportato una maggiore propensione dei cittadini italiani all’utilizzo dei canali digitali nell’interlocuzione con la PA, innescando la necessità per la PA di velocizzare il proprio percorso di innovazione con maggiore attenzione rispetto al passato proprio all’esperienza phygital del cittadino-utente. In questo percorso, PagoPA e l’accesso unico ai servizi, attuato sfruttando l’identità unica del cittadino avviata con l’introduzione di SPID e con l’arrivo della nuova carta di identità elettronica 3.0, sono stati due passi importanti. A titolo di esempio, evidenzia Marco Balassi, Agenzia delle entrate-Riscossione che è tra i primi tre enti nazionali per numero di transazioni di pagamento pagoPA, ha visto un progressivo aumento dell’incidenza dei pagamenti digitali, incrementata di oltre il 300% nel primo anno di pandemia (passando dal 5% del totale pagamenti nel 2019 al 21% nel 2020) e cresciuta ulteriormente di oltre il 100% nell’ultimo biennio, arrivando a quasi il 50% dei pagamenti effettuati nel 2022.

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LE INTELLIGENZE TERRITORIALI

Una PA efficiente, efficace e che promuove innovazione attrae investimenti e favorisce la crescita economica e sociale di un paese. La pubblica amministrazione a livello centrale e locale diventa soggetto attivo nell’erogazione di servizi a valore aggiunto per la collettività̀. Bisogna guardare al concetto di valore della PA con gli occhi dei cittadini e delle imprese che pagano le tasse, a cui la pubblica amministrazione deve restituire servizi indispensabili per costruire un ciclo virtuoso di comportamenti sociali, nel rispetto dei diritti e dei doveri, riconoscendo il valore generato dalla PA per la collettività̀. Ampliare lo spettro dei servizi online offerti ai cittadini e alle imprese è un’occasione unica per riposizionare la PA come istituzione che mette al centro le esigenze di una collettività sempre più digitale. La pubblica amministrazione crea valore se genera servizi on line basati su dati non replicati, affidabili e certificati e processi codificati e standard. Servizi che creano un continuum digitale con cittadini e imprese basato sulla condivisione di informazioni, documenti e processi. I cittadini e le imprese devono poter dialogare con la PA attraverso modalità̀ digitali end-to- end. La pubblica amministrazione crea valore e soddisfazione per i cittadini e le imprese se condivide con gli stessi le proprie informazioni, se raccoglie dati dai gestori dei servizi pubblici locali, dalle altre PA e dai sensori che sono in continuo aumento, li integra e li restituisce per attivare processi di co-progettazione e miglioramento della qualità̀ della vita. In particolare, a livello locale attraverso la condivisione di dati, i comuni possono diventare attivatori della rete di interconnessioni delle intelligenze del territorio. Oggi più̀ che mai anche la PA necessita di automazione e digitalizzazione in una logica di trasparenza e sostenibilità̀. A questo proposito, Minenna sottolinea che «il dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, sin dall’avvio del PNRR, sta mettendo in campo le azioni necessarie per rispettare gli impegni presi in sede europea. Tale azione è portata avanti grazie a un continuo ascolto, dialogo e supporto al territorio che prevede il coinvolgimento sia delle PA locali sia delle imprese. A partire da gennaio 2022 abbiamo incontrato nell’ambito di diverse iniziative ben 12.500 referenti delle PA e delle imprese dei territori italiani, contribuendo certamente allo straordinario risultato di partecipazione raggiunto dagli avvisi pubblici. Il 99% dei comuni italiani si è registrato a PA Digitale 2026 e più del 98% ha inviato almeno una candidatura agli avvisi per la digitalizzazione». Storicamente l’informatica era focalizzata sul miglioramento dei processi interni, ma la trasformazione digitale ha avviato il superamento di questo paradigma, superamento ormai pienamente compiuto, affermando la centralità̀ di cittadini e imprese con obiettivi di efficienza, semplificazione, trasparenza e inclusione. Non resta che adeguarsi.

SINERGIE IMPORTANTI PUBBLICO-PRIVATO

Per creare le condizioni necessarie a raggiungere gli sfidanti e complessi obiettivi previsti in Italia Digitale 2026, primo fra tutti raggiungere entro il 2026 almeno l’80% dei servizi pubblici essenziali erogati online, servono azioni combinate e parallele, principalmente sul duplice fronte dei cittadini e della pubblica amministrazione, che sono due facce della stessa medaglia, attraverso una governance autorevole e un forte coinvolgimento del settore privato.Da un lato è essenziale abbattere il fenomeno del digital divide formando i cittadini a un uso consapevole del digitale e dei servizi digitali già offerti dalla PA, e incentivarne l’uso attraverso un accompagnamento continuo. Dall’altro lato risulta fondamentale attivare una partnership pubblico-privato come strumento fondamentale per l’attuazione del PNRR e occasione per la PA di attrarre non solo risorse, ma anche competenze distintive che possano migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’azione pubblica. Ricordiamo, infatti, che il PNRR attribuisce un rilievo significativo alla trasformazione digitale in quanto motore di crescita del sistema Paese, tanto che quasi un terzo delle risorse disponibili (222,1 miliardi di euro) è allocato a questo obiettivo. Per l’attivazione di questi cambiamenti strutturali, la pubblica amministrazione deve coinvolgere i soggetti privati, in un muto scambio di esperienze. Valorizzare esperienza e competenze maturate dalle imprese private nei settori dell’innovazione e delle nuove tecnologie rappresenta un patrimonio importante, una risorsa di valore che può̀ fare la differenza in un contesto competitivo regolato da sistemi di valutazione aggiornati e orientati alla qualità̀, piuttosto che schiacciati sulla componente del prezzo.

PA MODERNA IN-HOUSE PROVIDING

Le pubbliche amministrazioni non sono tutte uguali. Nel panorama italiano, a macchia di leopardo, ci sono realtà mature che già utilizzano sistemi e processi in linea con la realtà digitale e altre decisamente meno avvezze a farlo. Dicevamo all’inizio delle PA che per decenni hanno rinchiuso dati e servizi nei propri silos, manifestando una resistenza più̀ forte della volontà̀ di andare verso soluzioni interoperabili e servizi integrati. Balassi ci ricorda che a giocare “contro” è stata, in generale, anche un’incomprensibile competizione tra i diversi attori coinvolti, che ha impedito di comprendere che “se vengono fatte le cose giuste ci guadagniamo tutti e soprattutto consegniamo un Paese migliore alle future generazioni”. A questo punto, è irrinunciabile assumere la piena consapevolezza che l’unico modo affinché l’Italia possa tornare a crescere è che si metta in moto una capacità di “fare sistema” tra pubblico e privato. Ciò implica il bisogno di gestire tali complessità attraverso una governance autorevole, che metta insieme le capacità, le competenze e le esperienze già disponibili, per realizzare la trasformazione digitale del Paese nel segno della sostenibilità sociale, ambientale ed economica.Esempio di questo nuovo modo di intendere la digitalizzazione nella PA è il progetto relativo alla costituzione di una società in-house (3-I) a capitale interamente pubblico, che metterà insieme le capacità tecnologiche di Inail, Inps e Istat (da qui la denominazione 3-I), al fine di armonizzarne ed efficientarne la gestione e lo sviluppo innovativo dei sistemi informativi, nonché attrarre know-how specifico e attivare meccanismi di crescita e rivalutazione del know-how già presente. Stefano Tomasini, direttore centrale Inail per l’organizzazione digitale, afferma che 3-I può essere definita l’in-house del welfare, perché i dati in gestione, per i quali Istat fornirà un determinante supporto metodologico, influenzano in modo rilevante il sistema di welfare del Paese. La realtà 3-I nasce per rispondere a un bisogno di integrazione e semplificazione dei servizi del welfare, che cittadini e imprese ritengono ormai indispensabili. Per far questo il legislatore ha individuato il modello dell’in-house providing, che pone la funzione di governance in capo agli enti e quella di evoluzione in ottica digitale dei servizi a una struttura societaria con missione specifica. «La gestione dei dati, l’integrazione dei processi di innovazione, la messa a fattor comune di conoscenze e know-how, la razionalizzazione dei costi sostenuti per l’infrastruttura e la sicurezza, assicurando standard di prodotto più elevati agli utenti finali, rappresentano i principali obiettivi che i vertici degli enti assegnano alla 3-I», sottolinea Tomasini.

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REMARE TUTTI DALLA STESSA PARTE

Con il programma Digital Europe 2021-2027 la Commissione europea ha deciso di istituire un programma di finanziamento dedicato alla trasformazione digitale. Tale decisione nasce dalla “consapevolezza che per garantire una profonda trasformazione digitale siano necessari investimenti nelle infrastrutture digitali strategiche, nel miglioramento delle competenze avanzate e nella modernizzazione dell’interazione tra i governi e i cittadini”. Non esiste innovazione digitale senza capacità infrastrutturali adeguate. Consapevoli di questo, anche in Italia, grazie al PNRR, si procede alla costruzione di un sistema infrastrutturale moderno ed efficiente, fatto di regole chiare, risorse adeguate e tempi certi, con l’obiettivo di assicurare ai cittadini la piena modernità digitale sull’intero territorio nazionale, rendendo l’Italia un paese appetibile per gli investitori internazionali. «Per non rimanere incompiuta, la trasformazione digitale di infrastrutture e servizi della PA deve essere inclusiva» – osserva Minenna. «Italia Digitale 2026 prevede iniziative di supporto alle competenze digitali dei cittadini, sia per dare a tutti le stesse opportunità sia per completare il percorso verso un Paese realmente digitale. Lo scopo è di garantire un sostegno robusto e pervasivo al compimento del percorso di alfabetizzazione digitale. In questo ambito, il PNRR nel suo complesso prevede di ampliare l’esperienza dei centri di facilitazione digitali, punti di accesso fisici, solitamente situati in biblioteche, scuole e centri sociali, che forniscono ai cittadini formazione sia in presenza sia online sulle competenze digitali al fine di supportare l’inclusione digitale». L’infrastruttura da sola, però, non è più sufficiente. È indispensabile che lo Stato investa di più e meglio sull’innovazione digitale, in quanto strategica per la crescita dell’Italia, allocando maggiori risorse economiche e attraendo, magari tramite opportune azioni che possano livellare gli obiettivi di carriera e di salario a quelli del mondo privato, risorse umane con le competenze necessarie nella PA, facendo da volano agli investimenti privati. È poi necessario fare in modo che le sorti dei progetti di trasformazione digitale risultino separate dall’alternanza politica dei governi nazionali e locali garantendo la realizzazione, efficace e senza ritardi, di quanto già progettato e spesso anche iniziato. Il nodo strategico dolente di tutti gli sforzi sinora condotti nel campo dell’innovazione digitale è la dinamica distruttiva dello stop and go che si verifica a ogni cambio di esecutivo, causa di incertezza sulle risorse effettivamente disponibili, sui poteri decisionali, e sul completamento dei progetti. La trasformazione digitale in ottica sostenibile a livello sociale, ambientale ed economico è un obiettivo dell’intero Paese, trasversale a tutti i settori, e non deve essere sottoposta a interessi di parte e alle variazioni di maggioranze e governi. Interferenze di questo tipo si possono solo tradurre in rallentamenti nell’attuazione dei progetti e in incongruenze finali dovute ad interpretazioni nel tempo differenti dei vari passi realizzativi.