Giulio Sapelli, l’economia della fiducia

Giulio Sapelli, l’economia della fiducia

Stiamo vivendo una fase molto delicata di passaggio dell’economia globale in cui confluiscono discontinuità sia interne che esterne, transizione energetica, trasformazione digitale e ridisegno delle catene del valore.

In questo contesto, la fiducia rappresenta un elemento di coesione immateriale ma sostanziale, di ragione non di volontà, nelle economie complesse, interconnesse e interdipendenti.  «La fiducia non è un bene come gli altri» – spiega Giulio Sapelli, economista ed esperto di organizzazione aziendale. «È un pilastro dell’economia e della società capitalistica al pari della proprietà privata ma a differenza di questa non è esclusiva, ma relazionale. È sistemica e personale al tempo stesso. Può essere verticale, orizzontale o multidirezionale come la rete. La fiducia si alimenta nella reciprocità, nutre il legame sociale e tesse il patto tra le generazioni attuali e quelle future. Tuttavia, è dannatamente fragile perché quando la fiducia viene meno, tutto il sistema comincia a disfunzionare e alla fine si blocca».

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La fiducia è un bene comune inclusivo e non competitivo. Per comprenderne la portata, ci viene in aiuto il pensiero di Elinor Ostrom, Premio Nobel per l’economia nel 2009 proprio per la teoria dei cosiddetti beni comuni che apre la strada a una terza via tra Stato e mercato per la creazione di nuovi punti di equilibrio non distruttivi e socialmente non ottimali. «Un bene comune è un bene in senso non ricardiano, ossia non in stock di capitale fisso, ma di status e di credibilità istituzionale» – spiega Sapelli. «Credibilità che non deperisce sino a esaurirsi con il suo consumo, ma invece aumenta di valore relazionale, contribuendo alla crescita della comunità. L’Europa è certamente la comunità più pluralistica che sia mai apparsa nella storia. Ma una comunità se è guidata da burocrati non può essere la stessa cosa di una comunità di sapienti».

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FIDUCIA E COMUNITÀ

La fiducia ha un valore strategico in contesti di economia relazionale come di fatto è la digital economy. «I clouster che ne derivano sono i centri di storage, elaborazione e distribuzione di montagne di dati che possono essere difesi solo con procedure transnazionali fondate sulla fiducia nei confronti delle piattaforme proprietarie di accesso» – continua Sapelli. «Come abbiamo sperimentato in questi anni, la corporate social responsibility e la good governance, su cui si è elevato un immenso castello di regole e di meta-regole internazionali, nazionali e aziendali, hanno in definitiva, posto la loro base di appoggio proprio sulla fiducia tra gli operatori. La fiducia è la chiave della governance». L’innovazione del cloud, delle reti, dell’intelligenza artificiale e della capacità di elaborare grandi quantità di dati contribuisce alla creazione di organizzazioni sempre più agili e un abbassamento dei costi di controllo. Tuttavia – avverte Sapelli – «senza fiducia e senza capacità di management trasformativo nessun successo di lungo periodo è possibile: tutti siamo chiamati a lavorare per crearla, incrementarla e difenderla dai continui saccheggi che sono alla base delle crisi finanziarie dalla caduta del Muro di Berlino in poi».

Anche la cultura del lavoro e dell’organizzazione di impresa sta attraversando una crisi profonda. «Dobbiamo preservare la dimensione umana da ogni riduzionismo» – afferma Sapelli. «Non siamo alla fine della storia come qualcuno potrebbe pensare, ma dobbiamo rifondare un nuovo umanesimo dal basso, partendo dal concetto di comunità, come diceva Adriano Olivetti, perché quando parliamo di sviluppo sostenibile non dobbiamo mai dimenticare che le persone devono essere messe al centro, sviluppando il rapporto tra conoscenza, partecipazione e crescita dei territori». La fiducia è problematica e richiede un raccordo tra consenso e conoscenza per determinare le scelte. In una democrazia in bilico tra problem solving e rappresentanza, il concetto di fiducia deve essere alla base di una nuova globalizzazione. «Dobbiamo continuare ad agire sugli investimenti diretti alla creazione della produttività totale dei fattori, con infrastrutture fisiche e digitali, supportando la crescita delle piccole e medie imprese che sono la forza del nostro Paese e che in questo momento sono sotto pressione».

«La fiducia ha un valore strategico per la digital economy. Non siamo alla fine della storia. Dobbiamo rifondare un nuovo umanesimo partendo dal concetto di comunità»

FIDUCIA E LEADERSHIP

Brescia è capitale della siderurgia, Napoli dell’ingegneria, Reggio Emilia dell’innovazione. L’Italia con l’eccellenza dei suoi distretti da Nord a Sud è un Paese che è sempre stato resiliente perché ha una capacità omeostatica di adattarsi al cambiamento. «Alla radice di questa capacità ci sono le capacità delle persone. Il problema di fondo è che abbiamo sempre commesso un errore di sottovalutazione. La storia non è finita ma adesso è arrivata la guerra» – afferma Sapelli. «Se non c’è fiducia reciproca basata sul criterio di riconoscimento dell’altro, i conflitti sono destinati ad aumentare. La grande sfida è la convivenza in un mondo con risorse limitate. La storia delle organizzazioni aziendali ci insegna che le corporate culture più forti sono quelle fondate sulla diversity. Nella società, i matrimoni misti sono l’indice della civilizzazione. Le pipeline energetiche e di dati attraversano tutto il mondo. Dobbiamo trovare il modo di stare insieme senza costruire nuovi confini o nuove barriere». Anche la leadership si basa sulla fiducia come capacità di guidare il cambiamento per trasformarsi, utilizzando linguaggi diversi. «Nessuna trasformazione è a costo zero – spiega Sapelli – ma dobbiamo fare di tutto per evitare che la velocità del cambiamento travolga le persone e le imprese, facendo fronte alle esigenze di risparmio energetico con l’intelligenza organizzativa e la tecnologia. Certo, dobbiamo fare a meno del carbone, ma senza petrolio e senza gas la transizione energetica dalle fonti fossili sarà un bagno di sangue. C’è bisogno di un nuovo mix energetico e dobbiamo diminuire il grado di elettrificazione. L’errore è stato di mettere tutto sulla leva finanziaria. Il price-cap è una misura che funziona solo se vendi a quantità fisiche. La transizione energetica deve essere meno veloce per evitare che venga distrutta l’intera filiera del motore a scoppio prima di essere pronti a sostituirla completamente. Ma questo non può essere fatto con imposizioni dall’alto e sulle spalle delle imprese e delle persone».

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LA VERA TRANSIZIONE

Di che cosa dobbiamo avere paura? «Dell’incertezza, dell’isteria concettuale, della burocrazia dei codici etici che uccidono la fiducia» – risponde Sapelli. «La vera transizione e quella verso una nuova economia della fiducia. Secondo il modello di Piero Sraffa, le variabili distributive non dipendono dalla produttività dei fattori ma dai rapporti di forza all’interno della società. L’economia è produzione di capitale fisso. La finanza non è economia, ma circolazione monetaria». Per Sapelli, l’attuale crescita dell’inflazione è dettata dall’aumento di beni fisici e non si può correggere con metodi monetari, bensì agendo sui costi e cambiando il modo di determinazione dei prezzi dell’energia. «L’economia globale non si può rompere» – afferma Sapelli. «Dobbiamo continuare a essere connessi e interdipendenti. Parlare di autonomia nazionale energetica è un illogico neocorporativo».

IL VIDEO DELL’INTERVENTO DI GIULIO SAPELLI