Enrico Giovannini, la resilienza trasformativa

Enrico Giovannini, la resilienza trasformativa

Senza fiducia nel futuro, gli investimenti si bloccano, i governi cadono, i mercati crollano, le catene del valore si interrompono. La fiducia è un patrimonio che va difeso, protetto e alimentato. Grazie alle risorse europee e nazionali, nei prossimi dieci anni si gioca la sfida di trasformare l’Italia puntando sulla mobilità sostenibile e lo sviluppo delle infrastrutture, perché non c’è impresa che possa essere veramente competitiva in un territorio arretrato.

La sostenibilità è un framework complesso, orientato a rendere compatibili crescita del benessere per tutti e le leggi fisiche del Pianeta con risorse limitate, le quali sopravanzano quelle economiche. Per questo serve attuare la strategia globale definita dalle Nazioni Unite nel 2015 con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un “global recovery plan” che colleghi investimenti e sviluppo sostenibile. Dopo la globalizzazione, ci stiamo avviando verso un mondo più piccolo e frammentato? «Non possiamo e non vogliamo distruggere le catene del valore che si sono realizzate nella fase eroica di questa globalizzazione» – spiega Enrico Giovannini, economista e ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili del Governo Draghi. «Nei momenti di discontinuità, come quello indotto dalla pandemia e ora dalla guerra in Ucraina, abbiamo capito che le ridondanze sono importanti. Non possiamo scegliere solo in base a un criterio di efficienza. Agire sul piano dei costi immediati fa bene al conto economico, ma ci espone a nuove fragilità. E quindi abbiamo bisogno di moltiplicare i fornitori, accorciando dove opportuno le catene del valore in modo da non rischiare shock e lock-in. Shock, resilienza e sviluppo sostenibile sono concetti collegati. Ogni volta che parliamo di resilienza la assumiamo implicitamente come risposta. Nel futuro gli shock saranno frequenti e di diversa natura: economici, politici, ambientali, tecnologici, sanitari, e connessi l’uno con l’altro».

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FARE UN SALTO IN AVANTI

Ma bisogna essere preparati. ll criterio della ridondanza – continua Giovannini – già noto a chi si occupa di ICT, rappresenta una misura preventiva fondamentale. «Tutti abbiamo sperimentato che cosa vuol dire un crash dei server. E nessuno pensa ormai che duplicare i server sia un costo inutile. E lo stesso deve valere anche in altri ambiti». Siamo alla fine di un ciclo, ma la globalizzazione non è finita. «In parte ci sarà un reshoring come effetto anche dell’incertezza geopolitica. Più in generale, imprese e governi devono imparare a valutare meglio i costi-benefici di investimenti per rendere il sistema più solido e resiliente allo shock». Anche il concetto stesso di resilienza deve essere rifondato. «La resilienza trasformativa, modello che abbiamo sviluppato al Joint Research Centre della Commissione europea tra il 2016 e il 2020 e che è stato posto alla base del Next Generation EU, non è la capacità di assorbire uno shock tornando velocemente al punto di partenza, perché questo schema funziona se sei già su un sentiero ottimale. Si tratta invece di sfruttare la caduta per fare un salto in avanti su un sentiero di sviluppo sostenibile. E ciò implica anche la necessità di riclassificare le scelte dei governi, superando le classiche articolazioni tra politiche economiche, sociali e ambientali, a favore di una visione che ripensa alle politiche in base alla finalità: preparare agli shock, prevenire le crisi, proteggere da queste ultime, promuovere il cambiamento e trasformare il sistema».

«La resilienza trasformativa è la capacità non solo di assorbire uno shock, ma di fare un salto in avanti su un sentiero di sviluppo sostenibile per anticipare le sfide future»

INVESTIMENTI, PIANIFICAZIONE, RIFORME

«Quando ero alla guida del Mims – spiega Giovannini – abbiamo lavorato su tre fronti: investimenti, pianificazione, riforme. Sugli investimenti abbiamo sviluppato il piano per i prossimi dieci anni con 300 miliardi di euro di cui 220 sono già sul piatto, e di questi 105 sono stati aggiunti dal governo Draghi: 61 dal PNRR, e 44 da altre fonti. Il piano non riguarda solo la mobilità, ma anche il sistema idrico, l’edilizia pubblica e la rigenerazione urbana. Tuttavia, perché le nuove infrastrutture aumentino la capacità di sviluppo, gli investimenti senza riforme non bastano: per questo sono state già realizzate nove delle dieci riforme previste dal PNRR e sono stati fatti interventi importanti sulle modalità di pianificazione e realizzazione dei progetti, perché non ci si può mettere tre anni a fare un contratto di programma e quindici anni per fare un’opera pubblica. In questi venti mesi, abbiamo prodotto il piano strategico delle ferrovie, delle strade e autostrade, della ciclabilità, degli aeroporti, dello spazio marittimo, fondamentale per capire, per esempio, dove si allocano i parchi eolici offshore e dove invece devono passare le navi in sicurezza. E al tempo stesso, abbiamo posto le basi per un piano unitario di investimenti delle infrastrutture idriche. Ho fortemente voluto il cambio di denominazione del mistero da Infrastrutture e Trasporti a Infrastrutture e Mobilità sostenibili, perché al di là di cosa va fatto, abbiamo voluto cambiare il come, definendo i nuovi standard per realizzare infrastrutture secondo i principi di sostenibilità definiti dal G20 e dall’Unione europea».

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TUTTO È INTERCONNESSO

Cinquanta anni fa, il Club di Roma pubblicava il Rapporto “I limiti della crescita”. A distanza di tempo, le analisi aggiornate confermano che siamo sul sentiero ad altissimo rischio per il futuro dell’umanità previsto dal rapporto. Ma perché quelle curve di previsione furono non solo criticate ma anche in qualche modo rimosse? «Perché si sosteneva che i mercati si sarebbero regolati da soli – risponde Giovannini – e che la tecnologia avrebbe risolto il problema. Non è andata esattamente così, nonostante la trasformazione straordinaria che in questo mezzo secolo abbiamo avuto proprio grazie alla tecnologia. Il punto critico è che quelle curve si basavano sull’esistenza di non-linearità derivanti dall’interconnessione tra ambiente, economia e società, mentre gli economisti hanno continuato a ragionare su modelli lineari puramente economici». La crisi finanziaria nel 2008, e poi quella del debito sovrano nel 2011. Il 2015 con l’emergenza dei migranti, quando un flusso pari allo 0,5% della popolazione europea ha rischiato di mandare al collasso l’Ue sul piano politico. La crisi pandemica e adesso la guerra con la crisi del gas e l’aumento dei costi delle materie prime. «Sono tutti fenomeni che dimostrano l’importanza delle non-linearità, elemento tipico anche della crisi climatica» – spiega Giovannini. «La verità è che i nostri modelli interpretativi sono in difficoltà quando si tratta di cogliere le correlazioni e le interazioni tra fenomeni complessi e collegati». Per questo, in un Pianeta con risorse limitate, la fisica finirà per dettare le scelte all’economia e alla politica? Dobbiamo cambiare modelli e metodi di misurazione? «Da vent’anni, mi batto per andare oltre il PIL» – afferma Giovannini. «Dobbiamo ripensare gli obiettivi, in linea con l’agenda 2030 dell’ONU, e cambiare anche i criteri per misurare questi obiettivi. I fisici, in particolare quelli che si occupano di cambiamenti climatici, ci insegnano che esistono delle soglie di guardia. Quando siamo in prossimità del limite, i fenomeni interagiscono tra di loro determinando eventi estremi. L’insostenibilità ambientale interagisce con quella economica e sociale e viceversa, perché tutto è interconnesso».

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SOSTENIBILITÀ, EQUITÀ E DIGITALE

Serve una strategia globale, ma anche la volontà politica a livello locale di continuare sul cammino già intrapreso, senza scorciatoie, tattiche o scappatoie, e soprattutto senza disfare ciò che è stato già fatto sul fronte dell’attuazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza. «Il PNRR nasce  non solo per stimolare la ripresa, ma per ridurre la vulnerabilità e aumentare la resilienza del sistema» – spiega Giovannini. «In un momento delicato in cui si vorrebbe rivedere il PNRR, bisogna proseguire secondo una logica di progetto e di interconnesione degli investimenti. Si tratta anche di capire se sono stati fatti veramente degli errori nella scelta degli obiettivi, o se sia più semplicemente necessario accedere ad altri fondi per realizzare progetti per una realtà mutata, per esempio sul fronte dell’energia. Per farlo ci sono i 50 miliardi di euro del Fondo sviluppo e coesione e gli 80 miliardi dei Fondi europei ordinari per il periodo 2021-2027, oltre che i fondi del Re-power EU. Invece di scardinare quello che è stato fatto, agitando proclami con l’unico scopo di riformulare i progetti, con tutto quello che significa, dovremmo impegnarci a portare a termine la seconda fase della partita per anticipare le sfide future utilizzando questi fondi aggiuntivi. Una partita che si gioca su dieci anni. Ma in questa partita, parole come sostenibilità, equità e transizione ecologica e digitale non possono essere rimosse perché il rischio è non solo di fare un passo indietro ma anche nel vuoto. Un dettaglio non da poco, perché le parole corrispondono a una visione di sviluppo per allineare l’Italia agli altri Paesi e ai principi del Next Generation EU».

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IL VIDEO DELL’INTERVENTO DI ENRICO GIOVANNINI