Fine anno, tempo di bilanci. Per Data Manager, novembre è il mese della Classifica per eccellenza. Realizzata con il contributo degli analisti di IDC, la nostra Top 100 rimane uno strumento esclusivo.
L’unico che permette di misurare la solidità economica delle aziende che sviluppano e commercializzano soluzioni software e servizi IT, entrando in un dettaglio rivelatore dei trend in atto nei principali ambiti verticali del mercato. Utilizzata insieme ai dati provenienti da Confindustria, la Top 100 è dunque in grado di fornire un’immagine piuttosto fedele dell’innovazione tecnologica nell’Italia che produce, mostrando anche i livelli di vitalità dei suoi comparti. Che cosa ci dicono i numeri di quest’anno?
Innanzitutto, che in cima alla classifica, nelle prime 20 posizioni, la crescita è quasi sempre positiva (solo tre segni meno), a volte con punte decisamente vistose, soprattutto considerando che in questa zona l’indice di concentrazione è alto e addirittura in leggero aumento. Solo 11 imprese superano la soglia del mezzo miliardo di ricavi complessivi e insieme rappresentano, con circa 10,2 mld di euro generati, poco meno del 60% dell’intero valore della Top 100. Guardando alla classifica del software la concentrazione è un po’ più marcata, con 13 operatori sopra i 100 mln di fatturato che cubano quasi il 75% del valore totale.
Man mano che i valori assoluti diminuiscono, si osserva comunque una buona tenuta generale nei delta di fatturato anno su anno. Neppure il secondo anno di pandemia sembra aver portato a una contrazione generale. Al contrario, la netta maggioranza di segni positivi conferma che i clienti non solo non hanno smesso di investire, ma hanno saputo cogliere la necessità di svecchiare i loro processi interni, anche per far fronte a un’emergenza che secondo molti ha fatto da pungolo, specialmente sulla virtualizzazione del workplace.
Lo scorso luglio Assinform aveva del resto confermato che il biennio 2020-21 è stato anticiclico rispetto all’andamento del PIL. Nel 2020 il valore del mercato digitale italiano (75,3 mld di euro nel ‘21) ha subito un calo di appena lo 0,6% (quando il PIL precipitava a -9), per guadagnare nuovamente 5,3 punti l’anno dopo.
Tornando alla Top 100, sebbene i primi in classifica si rafforzino ulteriormente, l’Italia del software mostra una dinamica molto positiva. Anche l’ascensore sociale, nel mercato delle tecnologie, sembra funzionare meglio di quelli che dovrebbero rimescolare le carte dell’economia o dei salari. Le due classifiche separate dei “challenger” – le aziende che si posizionano a ridosso della centesima posizione – e dei “diversificati” (gli operatori che non vendono solo software e servizi correlati ma registrano significativi risultati nei due segmenti), offrono anch’esse molti spunti di ottimismo. I fatturati di 25 sfidanti su 30 proseguono il loro andamento tendenziale in rialzo, con diversi picchi di eccellenza.
Ma come si riflettono questi segnali positivi in cambiamento a livello di processi e cultura digitale delle imprese italiane? Come fattore abilitante, la trasformazione digitale non è mai altrettanto facile da quantificare. La lettura per ciascun classificato della composizione dei ricavi per aree di specializzazione può però essere la base per ipotesi di carattere qualitativo. In questo senso si osserva, per molti fornitori di software, una buona consistenza media della voce “Industria” e una discreta presenza nella PA. È possibile, come si è detto, che si tratti dell’eco di circostanze esterne, come gli incentivi alla Industry 4.0 e la progettualità forzata in materia di smart working. Ma se questa correlazione fosse confermata, sarebbe comunque il segnale che l’innovazione può essere stimolata con una buona politica industriale e con le giuste condizioni al contorno. Perché non provare a fare di più?