Con l’uscita di questo numero di Data Manager, i risultati elettorali saranno ormai consolidati e la procedura di formazione del nuovo governo avviata verso una risoluzione urgente in vista delle scadenze finanziarie che il nuovo Parlamento dovrà rispettare.
In una campagna elettorale deludente sul piano della concretezza e dei contenuti – complice certamente la ristrettezza dei tempi e un quadro internazionale a dir poco ansiogeno – non è stato dato molto spazio all’innovazione tecnologica e alla sostenibilità.
La fondamentale questione energetica viene giocoforza affrontata con molto affanno, vista la situazione sul fronte dell’approvvigionamento di risorse fossili sì, ma ancora di importanza esistenziali. Sembra essersi concentrato proprio su questo l’ultima parte del lavoro svolto dal ministro per la Transizione ecologica Stefano Cingolani, che nei suoi ultimi interventi pubblici si è soffermato soprattutto sulla questione dell’indipendenza energetica dalla Russia. (Sarà il motivo per cui il suo team, distratto da tanti impegni non è riuscito a proteggere il profilo Twitter del ministero, hackerato a settembre con il volto del fondatore di Ethereum, Vitalik Buterin?)
Dal suo canto, il collega Vittorio Colao si è detto soddisfatto dei risultati ottenuti in 18 mesi di mandato come ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, citando i passi avanti compiuti dalla PA nei suoi rapporti con i cittadini (il periodo 2021-22 ha visto un boom nell’uso di documenti e identità digitali), dall’industria aerospaziale italiana e dalle aziende impegnate in un percorso di trasformazione digitale sostenuto dalla disponibilità dei fondi PNRR.
Nel corso della campagna è emerso, senza scatenare discussioni particolarmente approfondite (fatto comprensibile, ma non esattamente di buon auspicio per un futuro che su questo terreno non dovrebbe assistere ai consueti attendismi all’italiana), il tema dell’energia nucleare. Una questione cara a uno dei nostri leader più torrenziali, al quale dobbiamo anche la proposta, gettata sul tavolo della Fondazione Ambrosetti, di un “ministero milanese per l’intelligenza artificiale” da affiancare alle tradizionali strutture governative centrali.
Milano, ha rilanciato il sindaco Giuseppe Sala, è la città che concentra una buona fetta di ricerche, brevetti e imprenditoria associata all’AI. Ma soprattutto, alla sua periferia si trova MIND, MIlano Innovation District, il polo di organizzazioni sorto sui terreni che furono di Expo 2015. L’idea, da cui è impossibile dissociare qualche intento campanilistico a fini elettorali, non è in sé malvagia. Deleghe e portafogli a parte, MIND potrebbe svolgere un ruolo importante nella partecipazione italiana alle iniziative europee come Digital Decade 2030, che si prefigge il raggiungimento di importanti obiettivi nella digitalizzazione di formazione, business, infrastrutture e servizi pubblici.
Dentro al contenitore europeo, esiste sin dall’aprile del 2021 anche un “pacchetto AI” che tra l’altro include lo sviluppo di un framework legislativo per affrontare aspetti come il rischio e la responsabilità civile per un’intelligenza artificiale più sicura e sostenibile.
E ora, chiusa la campagna e le urne, che cosa succederà? La trasformazione prescritta dal PNRR, le nuove competenze, la transizione dall’energia fossile, i servizi al cittadino, la robotizzazione meccanica e “intellettuale” e il suo impatto sulla nostra vita sono tuttora le grandi sfide da affrontare. In un contesto, piaccia o meno, di globalità e collaborazione transnazionale. Buon vento, chiunque sia al timone.