Nonostante i turbamenti del mercato legati alle restrizioni della politica monetaria per arginare all’aumento dell’Inflazione, gli investimenti diretti e indiretti sulla ricerca in ambito tecnologico rimangono robusti
L’inflazione galoppa. Il cambio euro dollaro è arrivato intorno a uno. E i mercati azionari sono andati giù. Le criptovalute hanno seguito l’andamento dei mercati e principalmente del NASDAQ. E ora dove va il capitale? Innanzitutto, c’è meno denaro in circolazione, perché in questo momento le politiche monetarie hanno come principale obiettivo quello di combattere l’inflazione galoppante. Così i settori che avevano maggiormente beneficiato dell’accomodamento monetario da Covid, quando i tassi erano molto più bassi, sono gli stessi che ora hanno subito le maggiori perdite. E i tecnologici (una buona parte) e le biotech, padroni incontrastati del periodo pandemico, sono arrivati a valori quasi pre-pandemia. Ma nonostante le “growth” – ossia le società più esposte ai turbamenti del mercato – siano state tra le più colpite negli ultimi mesi, le grandi potenze del mondo continuano a investire sulla ricerca in ambito tecnologico sia direttamente che indirettamente.
Nel 2021, per esempio, il settore legato all’intelligenza artificiale, secondo le analisi di Statista, è arrivato a toccare i 341 miliardi di dollari e si stima che raggiungerà 1,5 trilioni di dollari entro il 2030, con un aumento del 358% in soli otto anni. Nel 2022, sono stati spesi oltre 370 miliardi di dollari per annunci pubblicitari relativi all’uso di intelligenza artificiale e il numero di startup acquisite dalle Big Tech è in crescita. Le Big Tech sono le società che investono maggiormente in R&D in questo campo: Apple ne ha acquisite ben 29 dal 2010 al 2021 e Alphabet (Google) 15. Oramai, si sente parlare di intelligenza artificiale in ogni settore e si inizia a immaginare un futuro, lo chiamano metaverso, dove gli avatar potrebbero anche interagire con degli avatar non propriamente umani. Per esempio, potremmo collaborare o relazionarci con un avatar “artificiale”. Quindi, i codici – non solo le macchine – continueranno a rivoluzionare la vita reale e soprattutto quella virtuale.
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE CREATIVA
Secondo un ex dipendente di Google, l’intelligenza artificiale sarebbe addirittura “cosciente”. Ma in nessun caso, siamo arrivati a questo punto. La verità è che replicare il funzionamento di un cervello è un’impresa attualmente impossibile. E solo con lo sviluppo dei computer quantistici potrebbe essere fattibile ma davvero in minima parte. Dove invece l’intelligenza articiale è ancora molto indietro? Senza fare alcuna ricerca, e a istinto, mi vengono in mente i lavori creativi. Ma poi rifletto sugli NFT (Non Fungible Token) e sul fatto che molte opere d’arte digitali siano state create da algoritmi.
Tralasciando gli aspetti giuridici ma entrando nel campo della creatività – e non mi riferisco esclusivamente al metaverso o a opere digitali già esistenti – rifletto sulla possibilità di trasformare l’arte in qualcosa di nuovo. L’intelligenza artificiale ha replicato il lavoro dei trader, dei ricercatori scientifici, a tratti anche di un giornalista, ma può replicare il lavoro di un designer o di un grafico? Si potrebbe chiedere a una AI di prendere un’immagine su Google e di modificarla in modo tale che rispecchi o evochi qualcosa che è dentro di noi, come un’emozione? E potrebbe fare lo stesso con una canzone o con un video? La verità è che tecnologie di questo tipo già esistono e la verità è che sta cambiando – almeno in parte – sia la figura del designer che quella dell’azienda che si occupa di marketing. Le società creative si stanno reinventando proprio grazie all’uso di software che suggeriscono trend di mercato o cambiamenti repentini, andando ad analizzare il comportamento di utenti clusterizzati all’interno dei vari social.
Questi algoritmi cercano anche anomalie di comportamento, o meglio hanno come obiettivo principale quello di prevedere e interpretare comportamenti emergenti così da soddisfarli. L’intelligenza artificiale in questo caso suggerisce anche la produzione di un determinato prodotto che andrebbe a soddisfare quel determinato bisogno e così suggerisce il packaging o il disegno di un marchio. Come, per esempio, le tonalità di colori da utilizzare. Alla domanda se l’AI può essere creativa, Arvind Krishna, senior vice president di Hybrid Cloud e direttore di IBM Research, risponde così: «Solo pochi anni fa, chi avrebbe mai pensato che saremmo stati in grado di insegnare a un computer cos’è o non è il cancro? Ritengo che insegnare all’intelligenza artificiale un suono che sia melodico o meno, oppure qualcosa di bello, sia una sfida particolare perché entriamo nel campo soggettivo, ma che potrebbe essere raggiunto». In che modo? Fornendo alle applicazioni di intelligenza artificiale serie di dati di allenamento come per esempio: «Lo considero bellissimo. Non lo considero bellissimo». Quindi – secondo Krishna – «anche se il concetto di bellezza può differire tra gli esseri umani, credo che il computer sarà in grado di trovare un buon compromesso». Ma se chiedi a un computer di creare qualcosa di bello da zero – «sarebbe una frontiera più lontana e stimolante».
L’AI COME FONTE DI ISPIRAZIONE
Restando alle ipotesi più vicine a noi, sarebbe possibile usare gli strumenti guidati dall’intelligenza artificiale come fonte di ispirazione? Rob High, vicepresidente e CTO di IBM Watson sul sito di Big Blue risponde così: «Il nostro obiettivo non è ricreare la mente umana, non è quello che stiamo cercando di fare. Ciò a cui siamo più interessati sono le tecniche di interazione con gli esseri umani che ispirano la creatività negli esseri umani. E ciò richiede che passiamo del tempo a pensare a quel processo creativo». Prima abbiamo accennato ai computer quantistici e alla possibilità che essi possano cambiare le regole del gioco – in altre parole – replicare completamente il funzionamento del cervello. Il gruppo dell’Università austriaca di Innsbruck guidato da Martin Ringbauer ha pubblicato sulla rivista Nature Physics i risultati della ricerca che ha portato alla creazione di un nuovo computer quantistico in grado di andare oltre il classico sistema binario di computazione. I computer come li conosciamo oggi si basano su informazioni binarie, infatti, operano in uno e zero, memorizzando informazioni più complesse in “bit” che possono essere accesi o spenti. Questo sistema apparentemente semplice è il cuore di ogni computer. I computer quantistici hanno adottato lo stesso sistema. Usano i qubit che replicano i bit di un computer classico ma utilizzano la tecnologia quantistica. Ora però gli scienziati affermano di essere riusciti a costruire un computer quantistico che funziona in un altro modo. Può eseguire calcoli non con qubit ma invece con qudit, cifre quantistiche che potrebbero consentire una potenza di calcolo notevolmente maggiore. Ma che cosa significa? Con la potenza computazionale attuale, non è possibile osservare per esempio la molecola del caffè, ma con i computer quantistici è possibile farlo. Alla luce di questo ulteriore passo avanti, l’unione di intelligenza artificiale e computer quantistici (e la loro evoluzione) potrebbe sbloccare le potenzialità “creative” del mondo delle macchine? Probabilmente sì. Ma non supererà mai la nostra creatività, proprio perché questa comincia dall’oscurità, da una semplice emozione che un algoritmo può osservare, analizzare, replicare ma mai provare.