Nel mondo quasi 7 banche su 10 usano già il machine learning nella valutazione delle richieste di credito, mentre più del 50% vi fa ricorso anche per monitorare i finanziamenti già erogati
Il machine learning è sempre più utilizzato per automatizzare i processi di erogazione e di controllo dei prestiti concessi dalle banche. Mentre i grandi istituti mondiali investono in maniera consistente in questa tecnologia, le autorità di vigilanza si mostrano aperte all’innovazione, ma anche attente a prevenire i possibili aspetti negativi dei crediti decisi e valutati con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.
A fare il punto sul tema è stato un documento tecnico redatto da CRIF, la multinazionale italiana di informazioni e soluzioni per il credito, e da Banca Intesa Sanpaolo, il principale istituto di credito italiano. Il documento è già stato discusso con l’Autorità Bancaria Europea (EBA) e nel mese di luglio farà da sfondo a un incontro cui sono attese la stessa EBA, la Banca Centrale Europea e alcuni tra i maggiori operatori bancari del nostro Paese.
Si parla di machine learning quando un calcolatore è in grado di trovare da solo delle regole che aiutano a risolvere un problema. Ad esempio, un computer, durante il lockdown del 2020, esaminando i conti correnti dei clienti avrebbe potuto scoprire in quali settori si registravano ritardi nei pagamenti e in quali, invece, l’attività proseguiva senza particolari scosse. L’intervento della macchina non serve solo a individuare rapidamente nuove tendenze che possono incidere sulla salute dei finanziamenti erogati, ma consente di tagliare i costi e di utilizzare gli enormi patrimoni informativi reperibili negli archivi di una grande banca o su Internet.
“L’elaboratore può reperire le informazioni salienti anche quando sono disperse o annegate in una congerie di dati irrilevanti, il classico ago nel pagliaio che i modelli tradizionali faticano a individuare – chiosa Daniele Vergari, Director – Risk Analytics lead – CRIF Management Consulting – Automatizzando l’accesso ai dati e i processi decisionali, per le banche diventa possibile concedere credito in tempi ristrettissimi, presidiando nuovi canali come lo shopping online, che diversamente rischiano di diventare appannaggio di società di Fintech e di Big Data.”
Quali effetti dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale sui processi del credito?
Alla luce di uno scenario in rapida evoluzione ben si comprende perché gli istituti di credito vogliano essere della partita: una recente analisi dell’Institute of International Finance mostra, infatti, come il machine learning sia utilizzato nella valutazione delle richieste di credito da quasi 7 banche su 10 nel mondo, mentre più della metà vi fa ricorso anche per monitorare i finanziamenti già erogati.
Il trend, dopo lo scoppio della pandemia, ha addirittura accelerato: come ricorda il documento di CRIF e Banca Intesa Sanpaolo, il 50% degli istituti sondati dalla Bank of England ha dichiarato di attendersi un aumento nell’importanza di queste tecniche nella propria operatività per effetto del Covid 19.
Questo non significa che manchino dubbi e difficoltà. Un primo aspetto delicato, sottolineato nel documento prodotto da CRIF e Banca Intesa Sanpaolo, è la privacy: se è vero che il machine learning lavora su informazioni pubbliche, o volontariamente condivise dal debitore, è indubbio che la potenza delle nuove tecniche di analisi e dei moderni elaboratori consente di recuperare e utilizzare in modo strutturato anche dettagli della nostra vita personale. E se è vero che le banche si muovono con grande cautela, gli operatori non tradizionali al momento sembrano ancora essere meno sensibili al tema.
Un secondo aspetto è quello che i tecnici chiamano “black box”, ovvero il rischio che i modelli diventino scatole nere che concedono o negano il credito senza fornire al richiedente spiegazioni chiare.
Di fronte a simili rischi, l’imposizione di regole troppo restrittive rischia di danneggiare la competitività del sistema finanziario europeo e di privare le banche di strumenti utili per valutare in modo accurato i soggetti meno affidabili e, al contempo, contenere i costi delle insolvenze. A questo riguardo, il documento di CRIF e Banca Intesa Sanpaolo mostra come l’accuracy ratio (una misura di accuratezza dei modelli per la gestione dei rischi, che generalmente oscilla tra il 50% e l’80%) possa aumentare di 10 punti percentuali usando dati e tecniche di elaborazione innovativi.
Anche per questo la BCE non ha nascosto le proprie perplessità di fronte a un progetto di regolamento europeo sull’intelligenza artificiale che rischia di “ingessare” anche l’utilizzo di modelli semplici, utili e comunemente accettati: se le regole rigide non servono, allora tocca alla vigilanza controllare che il ricorso alle nuove tecnologie avvenga senza criticità e contraccolpi. Non è quindi un caso che nei mesi scorsi l’EBA abbia anticipato agli operatori la possibilità di emanare un set di linee guida minime.
“Dall’entità del rischio di credito dipende, in Europa, la quantità di patrimonio richiesta alle banche: se la prima è misurata in modo carente, anche il secondo può dimostrarsi inadeguato a reggere situazioni di stress. Non c’è quindi da stupirsi che i supervisori vogliano vederci chiaro e individuare soluzioni in grado da un lato di garantire adeguate tutele ai richiedenti credito, dall’altro di mettere gli istituti di credito nella condizione di gestire in modo efficace ed efficiente l’operatività nei processi di erogazione” – conclude Giorgio Costantino, Executive Director – Head of CRIF Global Transformation Services.