Connessione, dati, piattaforme e abbattimento del digital divide. La smart city non esiste ma è solo il punto di arrivo di molti smart services. Primo requisito sono i cittadini “smart” per costruire un nuovo equilibrio fra innovazione digitale e sostenibilità. Alla tavola rotonda hanno partecipato: il dipartimento della Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, A2A, Almaviva, l’Università di Cagliari, ACI Informatica, il Comune di Segrate, Sorgenia, TIBCO e Telepass
I dati sono al centro della relazione tra città e cittadini. La città smart come catalizzatore di dati, oggetto di un nuovo business-case fondato sulla sinergia tra cittadini, infrastrutture pubbliche e imprese private. La popolazione mondiale crescerà di oltre due miliardi e mezzo entro il 2050, con un tasso di urbanizzazione del 70 per cento. Secondo i dati dell’International Energy Agency, la domanda di energia a livello globale è in continuo aumento con l’80 per cento di gas serra generati dalle città. Da una parte bisogna modernizzare il funzionamento interno e stimolare lo sviluppo degli ecosistemi locali, e questo significa ottimizzare la gestione dei servizi urbani, garantire la sicurezza delle persone e delle infrastrutture proteggendo l’integrità di dati e servizi, monitorare la qualità dell’ambiente, tracciare l’efficienza dei trasporti, ridurre il consumo di energia. Dall’altra parte occorre aumentare il coinvolgimento dei cittadini. I servizi per la smart city abbracciano l’intero spettro delle tecnologie informatiche, dal microscopico sensore al data center che ospita le applicazioni. Un mercato che nel 2023 – secondo IDC – arriverà a un valore stimato di 189 miliardi di dollari, un decimo del mercato complessivo dell’ICT.
Le amministrazioni centrali e locali devono quindi fornire da un lato infrastrutture abilitanti e dall’altro servizi adeguati. I cittadini vogliono poter vivere in modo “smart”. Ma cosa significa realmente la parola “smart”? Quali sono i punti cardini su cui si fonda il concetto di smart city? Quali sono le infrastrutture abilitanti e quale ruolo rivestono le amministrazioni locali nel rendere una città smart? È vero che una città intelligente è più attenta all’ambiente, consuma meno, fa vivere meglio perché utilizza meglio le risorse economiche a disposizione, rende la vita migliore e più sostenibile? La tavola rotonda di Data Manager dedicata al tema della città intelligente ha provato a rispondere a queste domande con l’obiettivo di fotografare l’as-is in un’ottica prospettica e interdisciplinare, analizzando le ricadute reali dell’adozione di tecnologie digitali a supporto dello sviluppo sostenibile delle città. Una città diventa smart quando tutti gli attori, privati e pubblici, cittadini, imprenditori e istituzioni lavorano assieme per costruire servizi efficienti, facili da usare, alla portata di tutti, sostenibili sia a livello economico che sociale e ambientale, e in grado di semplificare la vita dei propri cittadini. Alla tavola rotonda hanno partecipato: il dipartimento della Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, A2A Smart City, Almaviva, l’Università di Cagliari, ACI Informatica, il Comune di Segrate, Sorgenia, TIBCO e Telepass Pay.
PARTIAMO DAI CONCETTI BASE
I cittadini vogliono poter vivere in modo “smart”. Ma cosa significa realmente la parola “smart”? Quali sono i punti cardini su cui si fonda il concetto di “smart city” da un punto di vista architetturale e ingegneristico? Per ragionare sui diversi significati, occorre partire dal contesto nel quale l’aggettivo è diventato più famoso ovvero l’abbinamento con la città. Il concetto di smart city non è nuovo anzi forse è uno dei più acquisiti. All’inizio è stato associato al concetto di efficientamento energetico e poi via via si è allargato. Una ricerca del 2007 dell’università di Vienna ha formalizzato i sei punti saldi di una smart city. Ma se guardiamo indietro vediamo che tecnologia e innovazione sono sempre stati i motori di crescita, ben prima delle smart city. Poi è arrivata l’etichetta! Spesso associamo alla parola “smart” un cambio di paradigma ma non c’è nessun cambio dal punto di vista economico se non il ribadire il concetto di crescita. Da poco – per fortuna – stiamo associando il concetto di smart a quello di sostenibilità e quindi finalmente non parliamo più solo di sviluppo di una città ma di sviluppo sostenibile di una città. Quindi non solo riempire le città di tecnologia ma farlo tenendo presente il raggiungimento di uno scopo, cioè quello della sostenibilità – ambientale, economica e sociale. Inoltre il concetto di smart city si sta espandendo a quello di smart land. Come spiega Luigi Mundula, professore aggregato di Geografia Economica all’Università di Cagliari, la smartness sta diventando funzionale al raggiungimento del benessere dei cittadini usando le tecnologie, non solo le più avanzate ma le più appropriate. «E così ci si accorge che tecnologie più “datate” talvolta risultano anche le più appropriate. L’innovazione è fondamentale ma la tecnologia per innovare non è detto che debba essere sempre l’ultima apparsa sul mercato. Il problema nasce nel momento in cui si deve definire una politica di smartness. Infatti, non esiste una definizione unica. In letteratura ce ne sono oltre 120» – continua Mundula. «Ma se non c’è definizione unica e corretta, allora non possiamo misurare il fenomeno. E se non riusciamo a misurarlo non possiamo comprendere se i soldi investiti sono stati spesi bene o male. Talvolta – commenta il professore – si fanno investimenti per così dire un poco alla cieca o per accedere ai fondi, ma senza una visione strategica o una analisi delle priorità».
LA RIVOLUZIONE DI SENSO
L’innovazione è elemento abilitante della smartness. Dobbiamo mettere in campo due elementi. Il primo è quello di approntare infrastrutture abilitanti senza le quali l’innovazione e la trasformazione di senso, in una logica di sostenibilità, non possono avere luogo. Secondo Mauro Minenna, capo dipartimento della Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per parlare veramente di smart city bisogna ragionare in una logica di insieme. «Se non c’è connettività sufficiente, se non c’è sicurezza adeguata, se non c’è un progetto per la migrazione sul cloud dei servizi della PA, se non si cambiano gli elementi normativi per facilitare la condivisione di dati privati e pubblici non si abilitano momenti di innovazione». Il dipartimento guidato da Minenna sta lavorando con investimenti importanti per portare una connettività adeguata a tutti i cittadini che sia innanzitutto sicura. Il secondo punto è abilitare le trasformazioni di senso. Si stanno sperimentando a Torino veicoli a guida autonoma che prevedono cambi normativi (oggi, si lavora con una sospensione normativa all’interno della sand-box relativa alla sperimentazione).
«L’innovazione c’è – commenta Minenna – ma poi portarla a regime implica non solo la rimozione di vincoli normativi ma anche la formazione per aumentare il livello di consapevolezza culturale del cittadino. Per una rivoluzione reale occorre coltivare l’attitudine del cittadino per un utilizzo appropriato della tecnologia. E serve puntare sui dati per avere una visione di insieme del sistema nel verso della sostenibilità». Oltre alla trasformazione tecnologica bisogna agire su una trasformazione di senso perché la tecnologia da sola non aiuta a compiere il salto necessario. Coordinare le attività di tante realtà pubbliche e private in un cammino di trasformazione digitale che sia coerente e con l’obiettivo di migliorare la vita al cittadino, usando la tecnologia per far parlare i vari sistemi compartimentali tra di loro – non è sicuramente facile. «Dobbiamo fare sistema al centro – continua Minenna – e superare la logica del “si è sempre fatto così”. Siamo chiamati a mettere in pratica alleanze e partnership. Ma anche trasparenza. Inoltre è necessario creare le competenze dove servono. E più le realtà locali sono piccole più il problema è sentito. Quella della formazione è forse una delle sfide più grandi che abbiamo davanti».
AZIONI LOCALI PER LA CITTÀ SMART
Già nel decennio scorso – come ricorda Paolo Micheli, sindaco di Segrate (Mi) – l’Unione europea aveva stanziato 12 miliardi di euro per lo sviluppo “smart” delle metropoli europee. «L’UE allora fu molto chiara. Lo sviluppo delle città doveva partire dal miglioramento dell’ambiente urbano» – spiega Micheli. «Ma questo obiettivo si può raggiungere seriamente solo se l’amministrazione comunale fa una rigorosa programmazione urbanistica in grado di salvaguardare l’ambiente, azzerare il consumo di suolo, favorire la mobilità che privilegia i mezzi pubblici e quelli non inquinanti». A Segrate, l’amministrazione comunale sta lavorando per realizzare questo obiettivo mettendo in campo diversi progetti, tra cui quello di miglioramento ambientale denominato “Km verde” che è stato presentato lo scorso novembre a Glasgow in occasione della COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. «Il miglioramento dell’ambiente cittadino e della sua vivibilità – spiega Micheli – è il punto di partenza per rendere una città “intelligente”. Il miglioramento della qualità della vita parte dalla salvaguardia ambientale attraverso azioni pratiche: piantando tanti alberi, riducendo i consumi degli edifici pubblici, cercando i percorsi adatti o migliori per l’uso della mobilità alternativa. Ma anche smontando, con molta fatica per via della burocrazia, atti che prevedevano il completo utilizzo a fini edificatori delle residue aree a destinazione agricola del territorio comunale. Stiamo realizzando la “ciclopolitana”, cioè percorsi protetti che collegano i quartieri di Segrate, con percorsi differenziati. Si tratta di piste ciclabili o di “zone 30” con viabilità a misura di bicicletta. Segrate Città dei 3 parchi non è solo uno slogan, ma è la realtà che stiamo sviluppando» – conclude il sindaco Paolo Micheli.
«I parchi esistenti vengono riqualificati e connessi tra loro, riqualificando e rinaturalizzando le aree degradate. Gli alberi e il verde sono al centro delle politiche ambientali cittadine. Abbiamo catalogato il patrimonio verde esistente sul territorio comunale e nell’ambito del piano ForestaMi verranno messi a dimora 36mila nuovi alberi entro il 2030». Cosa c’entra questo con la città digitale? In realtà tutto. Dal monitoraggio alla geolocalizzazione degli alberi messi a dimora. Per non parlare degli aspetti relativi al consumi energetici, al trasporto locale, alla viabilità e alla sicurezza del territorio. A Segrate, è stato appena rinnovato il software della centrale operativa della Polizia Locale, nell’ambito di un progetto finanziato dalla UE, che permette anche il monitoraggio dei veicoli ai varchi d’ingresso del territorio comunale, attraverso la lettura automatica delle targhe. «Nel quartiere San Felice, c’è un telecamera di vigilanza ogni 35 abitanti» – spiega il sindaco Micheli. «La messa in rete dei risultati migliora la percezione della sicurezza molto più delle statistiche che pure sono in continuo miglioramento. Giudicando dagli interventi sui “social”, siamo soddisfatti dei risultati raggiunti. Inoltre, facendo salvo il diritto alla privacy, il Comune ha divulgato anche le immagini catturate dalle telecamere dei comportamenti meno virtuosi, come lo scarico abusivo di rifiuti nelle zone periferiche.
I cittadini apprezzano la possibilità di relazionarsi in rete con la PA e la digitalizzazione è uno dei mezzi per rendere la città più vivibile e sicura». La pandemia ha accelerato la trasformazione digitale della PA. Almeno tre sono state le aree che hanno subito questa spinta: la comunicazione, l’accesso a banche dati e servizi, e il lavoro da remoto. All’inizio, a marzo 2020, quando l’Italia è bloccata in casa, tutte le famiglie hanno bisogno di notizie. Tantissimi sindaci hanno usato la Rete per dare informazioni e istruzioni. Segrate ha poco più di 35mila abitanti. La pagina Facebook istituzionale del Comune ha oggi 12mila followers e quella ufficiale del Sindaco ne ha più di novemila. Il periodo del lockdown ha portato le persone, soprattutto quelle non giovani, a utilizzare la rete. La seconda area è quella dell’accesso digitale alle banche dati e alle pratiche burocratiche: iscrizioni, pagamenti, istanze anche urbanistiche, consultazioni.
Per finire il lavoro da casa. Un po’ di anni prima che diventassi sindaco nel 2015 – racconta Micheli – Segrate aveva ricevuto un finanziamento per incentivare il telelavoro del personale femminile. Il progetto non fu un successo: tutte le impiegate preferirono la socialità del lavoro in presenza. Al contrario, negli anni successivi, ci furono dipendenti che chiesero il telelavoro, anche parziale, ma in questo caso fu l’Amministrazione a essere restia a concederlo – continua Micheli – non solo per i timori sulla sicurezza dei dati che fuoriuscivano dalla intranet comunale ma anche perché il lavoro remoto era considerato come una scappatoia alla produttività. Anche qui, la pandemia ha cambiato tutto. Ancora oggi, facciamo i Consigli Comunale in modalità mista sia in presenza in Sala Consigliare che in collegamento e la seduta viene diffusa in diretta su Youtube». Attualmente, il Comune di Segrate permette a gran parte dei dipendenti di alternare il lavoro in sede allo smart working, con una programmazione in grado di garantire continuità ed efficienza operativa.
I DUE PILASTRI DELLA SMART CITY
Più la quantità di servizi digitali aumenta e più cresce la necessità di interagire con informazioni che arrivano da fonti diverse. La gestione efficiente dei dati in sicurezza non è semplice né immediata. Ci vuole conoscenza approfondita sia degli aspetti tecnologici che di quelli normativi. Il patrimonio informativo della PA è molto importante. Molte amministrazioni stanno avviando un percorso di digitalizzazione dello storico per poter attingere al patrimonio informativo accumulato per fare analisi e prendere decisioni. Non è solo una questione di burocrazia ma anche di dominio: il dato va localizzato e interpretato.
È importante gestire il dato sapendo estrarre il dato corretto per l’applicazione corretta. In questa ottica, si comincia a parlare di ecosistemi che devono restituire un servizio adeguato su un ambito definito e specifico. «Gli ecosistemi – spiega Vincenzo Pinto, client executive health & local public sector di Almaviva – sono visti da Almaviva come piattaforme data-driven o data hub centrali, dove il dato è univoco e rappresenta la base per l’ideazione di servizi su domini differenti: ambiente, protezione civile, turismo, salute e così via». Basti pensare, a titolo di esempio, al data hub della Regione Veneto che raccoglie dati dal territorio, come quelli della mobilità, a scopo di monitoraggio, oppure all’ecosistema della cultura della Regione Campania che mette a disposizione i dati derivanti dalla digitalizzazione di tutti i beni culturali al fine di creare servizi per i cittadini e per i turisti. In ambito metropolitano, a Cagliari è stato definito un data hub centrale per costruire i servizi del Comune, e a Messina il dato raccolto a livello centrale serve per indirizzare i servizi per la sicurezza del territorio e dell’ambiente, come il controllo di frane e smottamenti e la sorveglianza proattiva contro l’inquinamento ambientale e l’abbandono dei rifiuti. «La centralizzazione dei servizi legati alla corretta gestione del dato – continua Pinto – può garantire univocità e qualità, oltre a essere garanzia di sicurezza e salvaguardia degli investimenti».
I dati sono sempre più importanti, eterogenei e provenienti da fonti disparate. La capacità di fornire servizi di qualità è inscindibile dalla buona gestione dei dati. Questo è tremendamente vero in una smart city, dove i “creatori” di dati sono molteplici e i possibili sviluppatori di applicazioni altrettanto numerosi, e con l’esigenza di fornire al cittadino una esperienza di qualità (dato certificato) e in modo sicuro (garanzia della interconnessione). La smart city si regge su due pilastri: «L’interconnessione tra i sistemi e le applicazioni e l’analisi fast e smart dei dati» – afferma Piergiorgio Cimmino, senior director di TIBCO South Europe. «La piattaforma di TIBCO permette la gestione del dato in tutto il suo percorso, partendo dalla raccolta e dalla integrazione mediante API sino alla sua gestione, dove “gestire” vuol dire integrarlo ma anche poterlo aggregare e rendere consistente. L’importante è avere dati affidabili e sicuri, perché altrimenti le decisioni che verranno prese potranno non essere corrette». Per ottenere degli insight efficaci dai dati, le analisi e gli algoritmi devono essere costruiti a partire non solo dai big data, ma devono essere continuamente aggiornati e utilizzati combinando questi ultimi con dati real-time. La piattaforma di analytics di TIBCO, oltre che la semplice visualizzazione del dato, consente di effettuare analisi “what-if” alimentate da algoritmi di AI e ML permettendo di elaborare scenari nell’ambito di molteplici use cases tipici delle smart city, come la gestione intelligente dei trasporti e del traffico, la videosorveglianza per la prevenzione dei crimini, o la manutenzione preventiva delle infrastrutture».
LA CENTRALITÀ DEL CITTADINO
Alcune città – normalmente le più grandi, in primis le città metropolitane – hanno lanciato progetti di smart city secondo modelli che differiscono in parte per tipologia di servizi e modalità di accesso. Le città però sono vissute da una eterogeneità di cittadini: residenti, turisti, pendolari, uomini di affari provenienti da tutta Italia. Spesso quindi ci si trova di fronte a modalità differenti per usufruire di servizi analoghi. Questo causa disorientamento e una fruizione non ottimale delle opportunità disponibili. «Il cittadino è colui che vive la città in diverse modalità» – esordisce Luca Daniele, chief financial officer di Telepass Group & chief executive officer di Telepass Pay. «Ci sono poi attività che travalicano i confini urbani e i servizi locali. Questa esperienza però non può essere realizzata fornendo al cittadino una miriade di app che offrono gli stessi servizi, generando disorientamento. Quindi è auspicabile una cooperazione tra i vari soggetti. Semplicità e la facilità d’uso sono le parole chiave. Bisogna costruire un servizio il più possibile unificato – pur nella diversità di ogni proposta – che sia un valore per il cittadino. Bisogna costruire una offerta basata sulla qualità del servizio reso e non sulla “proprietà” del dato» – conclude Luca Daniele. «Mettendo il cittadino al centro per semplificargli la vita».
I SERVIZI SMART DEFINISONO LA CITTÀ
La smart city come punto di arrivo di tanti smart services. «Chiedere se i clienti vogliono una energia pulita è come chiedere se vogliono bene alla mamma» – dice Alessandro Bertoli, customer service & ICT director di Sorgenia. Il numero delle ricerche Google relative all’energia pulita è più che raddoppiato dall’inizio dell’anno. Inoltre, c’è il fattore contingente del costo elevato dell’energia. Quindi la scelta di una energia “alternativa” riveste anche un fattore importante di economicità e resilienza: autoprodurre e consumare la “propria” energia – tramite per esempio il fotovoltaico – è conveniente sia per l’utente finale che per le comunità energetiche, distretti industriali compresi. «L’energia non è più solo una bolletta ma è un valore che condividiamo» – spiega Bertoli. «Il paradosso è insegnare ai nostri clienti come spendere sempre meno con l’energia che vendiamo loro. È su questo che ci giochiamo la partita con gli altri attori di questo mercato». Questa innovazione di significato è molto importante per Sorgenia. «Le smart city come concetto non esistono ma sono solo il punto di arrivo di molti smart services» – continua Bertoli.
«Esiste grande differenza tra grandi comuni e piccoli comuni. I piccoli Comuni utilizzano parecchio le cosiddette “comunità energetiche” che prevedono che ci sia un produttore di energia, in molti casi fotovoltaica, e una comunità di cittadini che utilizzano tale energia come se la producessero loro. In questo modello, Sorgenia è abbastanza attiva e spesso le viene chiesto di fornire anche altri servizi che non sono proprio nel suo core business. Questo implica l’apertura ad altri operatori e la collaborazione per definire ecosistemi a sostegno di tali esigenze. Oggi, la smart city ha come elemento fondamentale la sostenibilità. In una smart city, che secondo il nostro osservatorio e ascolto sul territorio dei nostri stakeholders, vuol dire la città innovativa e sostenibile, l’elemento chiave è l’integrazione orizzontale tra le diverse “filiere” come per esempio la smart mobility, la smart security, la smart energy e gli smart building per raggiungere un miglioramento della qualità di vita che dal cittadino è vista spesso in sintonia con la sostenibilità. In una smart city, in particolare quando parliamo di smart mobility e mobilità sostenibile, sicuramente tutti pensano prima di tutto alla mobilità elettrica, che è sicuramente un’innovazione trasformazionale del settore che sarà chiave nel futuro, soprattutto come contribuzione alla decarbonizzazione del settore e che ci vede come protagonisti come operatore ormai nazionale. Tuttavia, oltre alla mobilità elettrica – spiega Marco Moretti, CIO & Digital Enablement di A2A e founder di A2A Smart City – vediamo anche passi avanti nei biocarburanti o nell’idrogeno. Un esempio di applicazione di quest’ultimo è l’alleanza di A2A allargata a Ferrovie Nord Milano, Trenord, Enel e Snam per la conversione a idrogeno della tratta ferroviaria Brescia-Iseo-Edolo, che rappresenta un primo passo concreto in questa direzione.
In particolare, considerando l’evoluzione delle fonti energetiche alternative (idrogeno, eolico, fotovoltaico e biogas), l’energia va utilizzata quando e dove è prodotta. Oppure va immagazzinata. Il massimo si ottiene nell’ottimizzazione dell’energia prodotta “in proprio” e su questo fronte il digitale avrà un ruolo fondamentale. Nel caso dell’idrogeno, potrebbe svolgere anche un ruolo nell’immagazzinamento dell’energia a livello stagionale anche per la sua trasportabilità senza perdita di capacità. Il futuro dell’idrogeno si giocherà nei prossimi anni anche sull’economicità della sua produzione. Energia e trasporti sono settori legati a doppio filo. Inoltre – come afferma Francesco Castanò, deputy general manager e vicedirettore generale di ACI Informatica – la mobilità dovrà diventare più “intelligente e sostenibile”. «I servizi legati alla mobilità dovranno essere ripensati e semplificati nella logica MAAS (Mobility As a Service). Il problema non è tecnologico ma amministrativo e burocratico. Per trasformare un esperimento in un sistema consolidato, bisogna puntare su dati condivisi e ridisegnare i processi mettendo al centro l’esperienza del cittadino».
CITTADINI SMART SI DIVENTA
Nel percorso di “smartizzazione” del cittadino che è appena iniziato e che vedrà in modo rilevante crescere la domanda di alfabetizzazione informatica, anche le istituzioni delegate alla formazione dovranno svolgere il loro ruolo. Parafrasando la più citata frase del Risorgimento italiano, se le smart city esistono solo sulla carta perché prima bisogna fare i cittadini digitali, il percorso per diventare smart citizens è pieno di ostacoli. Il sindaco di Singapore ha nel suo ufficio una smart control-room in cui sono visualizzati tutti i dati che arrivano dalla miriade di telecamere e sensori sparpagliati sul territorio. Questo flusso di dati gli consentono di prendere decisioni in tempo reale. Torna quindi centrale il tema del dato e quello della cultura del bene comune. «Non esiste una sola smart city ma esistono tante smart city diverse tra loro senza cadere nell’inganno dell’omologazione» – spiega Luigi Mundula dell’Università di Cagliari. «La competenza del cittadino nell’accesso ai sistemi che sono a sua disposizione fa la differenza, quindi colmare il digital divide è una esigenza improcrastinabile. In questo contesto, il ruolo del mondo della formazione diventa essenziale. Bisogna innanzitutto formare il corpo docente perché sia in grado di usare gli strumenti nella loro pienezza e di trasmettere questo utilizzo del digitale ai propri studenti, implementando anche il concetto di interdisciplinarietà alla base dei lavoratori del futuro.
L’università dovrà tenere conto della richiesta di nuove competenze maggiormente trasversali e quindi dovrà lavorare su flessibilità e competenze di alto profilo per non avere alla fine una divaricazione tra le competenze richieste dal mondo del lavoro e quanto attuato nei percorsi accademici». Anche le singole aziende e istituzioni possono collaborare alla creazione di questi percorsi formativi. Per esempio, coniugando gli aspetti di sostenibilità con quelli del digitale. In questa prospettiva, ACI Informatica insieme alla Fondazione per la Sostenibilità Digitale ha creato un progetto chiamato ROLS – “ROmpiamo Le Scatole” – che invia persone con competenze digitali nelle scuole superiori per supportare lo sviluppo di consapevolezza e competenze di base sui temi del digitale negli studenti delle scuole superiori. L’uso delle piattaforme e dei social media privo della necessaria consapevolezza rischia di rinchiuderci in scatole comportamentali. E il progetto ha proprio l’obiettivo di “rompere” queste scatole.
ECOSISTEMI APERTI E CHIUSI
Parliamo sempre di smart city ma ci dimentichiamo quasi sempre che esistono degli ecosistemi, per così dire “chiusi”, che hanno le stesse necessità verso i propri utenti di quelli di una città verso i propri cittadini. Se ci fermiamo un attimo a riflettere per esempio sulle necessità e i servizi disponibili di una nave da crociera o di un aeroporto ci rendiamo conto come le esigenze non siano molto diverse da quelle di una smart city. Anzi, talvolta queste esigenze sono anche più complesse, basti pensare alla tematica della sicurezza o alle implicazioni del riconoscimento biometrico. Oppure, alle informazioni sui “possibili clienti” da fornire alle attività commerciali presenti in questi ecosistemi chiusi.
Il sistema degli aeroporti di Roma è uno dei casi più noti perché è di fatto una vera e propria “piccola smart city” con molte delle peculiarità tipiche di una smart city “classica”. Il tutto è nato dalla consapevolezza di un rating molto basso nell’apprezzamento dei servizi aeroportuali che ha portato a cambiare il paradigma, mettendo al centro il “passeggero”. La piattaforma TIBCO ha permesso di correlare in tempo reale gli eventi e i dati provenienti dai vari sistemi dell’aeroporto (es. check-in, sicurezza, gates di imbarco, logistica bagagli, etc..) per prevenire le criticità operative e aumentare il livello di servizio e la customer experience offerta ai passeggeri. «In pratica – come spiega Cimmino – è stata messa a punto una control room in grado di dare una visione a 360 gradi e real-time di ciò che accade, automatizzando e ottimizzando la gestione operativa, dentro e fuori l’aeroporto».
Tuttavia, sappiamo che per vari motivi è presente una forte resistenza da parte degli operatori alla condivisione di dati dei clienti (anche se solo inerenti al servizio reso). Questo implica quindi la proliferazione di applicazioni diverse per la fruizione di servizi con le stesse caratteristiche. E alla fine, forse il cliente lo si conquista più sulla “fruibilità” dell’applicazione che sul servizio reso. Si perde così forse il concetto di “concorrenza” sulla qualità del servizio reso. Ma – come dice Luca Daniele di Telepass – partendo dalla piattaforma, si può guidare il fruitore a usare bene i servizi anche grazie alla restituzione di una premialità che ne indirizzi l’utilizzo corretto. Allora il valore del singolo servizio si sposta dal possesso del dato al servizio reso e alla eterogeneità del servizio atteso, abbattendo in tal modo la resistenza alla condivisione del dato. Riprendendo quanto suggerito da Mundula che si chiede perché non rendere smart anche gli spazi cittadini – pubblici e privati – che spesso sono usati solo per una parte del tempo, Luca Daniele si pone la questione del perché, per esempio, le colonnine di ricarica di auto elettriche presenti nei parcheggi privati di aziende o di enti pubblici, normalmente usate solo di giorno, non possano essere messe a disposizione di notte anche ai cittadini del quartiere al fine di aumentare il numero di punti di erogazione disponibili e quindi incentivando l’utilizzo di auto elettriche. Una maggiore collaborazione e apertura potrebbero risolvere una serie di problematiche, che spesso invece vengono affrontate con soluzioni verticali e per così dire “a silos” e permetterebbero, una volta per tutte, di mettere il cittadino al centro – come sottolineato da Paolo Micheli, sindaco di Segrate. Perché – conclude Luca Daniele – «il cittadino è contento quando ciò di cui ha bisogno accade facilmente».
Quando parliamo di smart city pensiamo sempre a grandi città, a città metropolitane. Sicuramente da un lato perché hanno più fondi, dall’altro perché hanno più risorse tecnologicamente e concettualmente pronte a pensare in modo diverso dal passato nella progettazione e gestione dei servizi al cittadino. Non è sempre vero. Fortunatamente ci sono delle eccezioni. Ma la realtà è questa. «È necessario – spiega Pinto di di Almaviva – che le amministrazioni che hanno già affrontato problematiche strategiche nella creazione di smart city si mettano a disposizione di altre realtà del territorio per non reinventare per così dire l’acqua calda, ma creando per esempio gruppi di Comuni che lavorino allo stesso obiettivo sinergico senza ripensare ogni volta gli stessi servizi». In questo percorso, vanno definiti tre modelli: il modello della comunicazione ai cittadini dei servizi presenti; il modello partecipativo nei confronti del cittadino per renderlo parte del percorso; il modello di engagement e di premialità. Quest’ultimo è stato realizzato a Roma, grazie a una forte partnership tra operatori privati e istituzioni pubbliche, creando una specie di fidelity card che premia il cittadino che utilizza certi servizi.
MIX FRA DIGITALE E SOSTENIBILITÀ
I servizi energetici sono sempre più ottimizzati grazie all’utilizzo di oggetti e applicazioni smart: sensori di luminosità, lampadine intelligenti, applicazioni di smart metering per il controllo del fabbisogno energetico aziendale e famigliare, e così via. Il digitale quindi se ben progettato e utilizzato può veramente essere una leva per indirizzare un uso più efficiente delle risorse energetiche. «I bit e gli elettroni vanno sempre più a braccetto» – spiega Bertoli di Sorgenia. «La catena del valore non è più verticale ma esistono flussi orizzontali. Per esempio in Sorgenia, i flussi dei materiali che popolano le centrali a bio-massa sono certificati grazie alla implementazione di una blockchain che tramite analisi bio-molecolari verifica la provenienza corretta della materia prima». Il digitale recupera tutti questi dati e attraverso algoritmi di analisi supportati dalla intelligenza artificiale può restituire valore ai clienti sia come insegnamento all’utilizzo corretto delle risorse sia come impatto sulla sostenibilità. Sappiamo che alcune città a livello mondiale hanno provato a definire applicazioni a supporto di vari filoni del digitale: efficientamento dell’energia degli edifici, riscaldamento, diminuzione delle emissioni in generale, sicurezza, illuminazione, elettrificazione, e così via. In A2A, nel piano dei prossimi anni sono presenti oltre 180 progetti e di questi circa la metà impatta almeno uno degli obiettivi di sostenibilità.
«Quando invece parliamo di digitalizzazione e sostenibilità, a livello Paese, è evidente il legame tra i due concetti (oltre il 50% dei nostri progetti di digitalizzazione danno un contributo agli SDG), da qui il termine “digitability”; il problema più rilevante è la mancanza di competenze rispetto alla domanda; servono persone con competenze e “curiosità” STEM e che abbiano un giusto mix per creare la “digitability” – commenta Moretti di A2A – ossia un mix fra innovazione digitale e sostenibile per costruire un nuovo equilibrio fuori e dentro la smart city».
Point of view
Intervista a Vincenzo Pinto, client executive health & local public sector di Almaviva: Il digitale assoluto Made in Italy
Intervista a Piergiorgio Cimmino, senior director di TIBCO South Europe: La centralità del dato