Sostenibilità e digitale. Un binomio inscindibile ma spesso frainteso. People, Profit and Planet. La vera innovazione è sostenibile by design. La sostenibilità è un framework complesso che coinvolge la dimensione ambientale, economica e sociale

Sostenibilità e digitale. Due parole, tanti significati. Prima di iniziare ad analizzare le relazioni tra i due concetti occorre fare chiarezza sul loro vero significato affinché le accezioni – spesso inesatte e distorte –escano dall’immaginario comune e consolidino il loro vero significato. Si può affermare che il concetto di sostenibilità ha visto la sua genesi nella prima conferenza ONU sull’ambiente del 1972. Da allora, per sostenibilità si intende la “condizione di uno sviluppo che sia in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. Nel 1987, con la pubblicazione del cosiddetto rapporto Brundtland, viene ribadito con chiarezza l’obiettivo per l’umanità di uno sviluppo sostenibile che, dopo la conferenza ONU su ambiente e sviluppo del 1992, è divenuto il nuovo paradigma dello sviluppo stesso. Il concetto di sostenibilità, partito da una visione ambiente-centrica, si è profondamente evoluto verso un significato più globale che tiene insieme la dimensione ambientale, quella economica e quella sociale.

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Le tre dimensioni in rapporto sinergico e sistemico tra loro definiscono a loro volta un framework complesso di progresso e di benessere, con l’obiettivo di lasciare alle generazioni future una qualità di vita almeno non inferiore a quella attuale. La sostenibilità è un concetto dinamico, in quanto le relazioni tra sistema ecologico (ambiente) e sistema antropico (economia e società) possono essere influenzate in positivo o negativo dallo scenario tecnologico che, mutando, potrebbe allentare alcuni vincoli, per esempio, relativi all’uso delle fonti energetiche. A partire dalla fine degli anni 1990, si è diffusa la tendenza a valutare la sostenibilità di aree territoriali e di programmi di sviluppo. Si parla così di sostenibilità urbana, dell’agricoltura, di turismo sostenibile, e così via. In tutte le declinazioni possibili, si tende a considerare in un unico quadro i tre aspetti di un intervento di sviluppo o di un settore della società o dell’economia. La tecnologia rende possibile la convergenza tra sapere scientifico e soluzioni concrete con l’obiettivo di risolvere problemi specifici. In questa accezione il “digitale” ha fatto in modo che i quattro settori fondamentali: l’informatica, il comparto delle telecomunicazioni, il settore dei contenuti e quello dei consumers, ossia degli apparati domestici, potessero convergere in applicazioni atte a indirizzare problematiche comuni di avanzamento economico, sociale e ambientale. La cosiddetta convergenza delle 4 C (computer, communication, contents, consumers), secondo le valutazioni di Standard & Poor’s, sta realizzando un mercato di dimensioni gigantesche, forse secondo soltanto a quello dell’energia.

SOSTENIBILITÀ DIGITALE

Cosa è quindi la sostenibilità digitale? Si potrebbe dire che è quell’angolo di osservazione dal quale è possibile vedere il digitale come strumento per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità valutando ogni singola scelta in rapporto all’impatto economico, sociale e ambientale. La sostenibilità digitale è anche la verifica di come gli obiettivi di sostenibilità possano influenzare uno sviluppo tecnologico che a sua volta può condizionare in modo positivo il raggiungimento degli obiettivi stessi. Quando si parla di “sostenibilità digitale” non bisogna mai incorrere nell’errore di guardare solo in una direzione o in solo verso, perché in un sistema complesso ogni singola componente interagisce con le altre generando equilibri nuovi, senza dimenticare che la sostenibilità digitale può essere sia un concetto attivo che passivo. In agricoltura, per esempio, l’utilizzo di sensori per la rilevazione del grado di umidità o di altri parametri, congiuntamente con l’analisi statistica delle precipitazioni in un dato periodo dell’anno, permette di  ottimizzare la quantità di acqua da utilizzare per irrigare un campo o una parte di esso, migliorando la qualità del prodotto (e quindi la soddisfazione del cliente – aspetto sociale), risparmiando sui costi per l’irrigazione (aspetto economico) e infine riducendo sia lo spreco di acqua che il consumo di energia per far funzionare gli impianti di irrigazione (aspetto ambientale). Il digitale in questo circolo virtuoso svolge un ruolo essenziale per la sostenibilità. Altra cosa da sottolineare, le tre dimensioni sono legate tra di loro: il mancato raggiungimento di uno dei tre obiettivi potrebbe disinnescare i benefici degli altri due. Oppure, in altri casi il raggiungimento di un obiettivo a discapito degli altri due potrebbe creare conseguenze non accettabili. Come si vede quindi la sostenibilità digitale svolge sia un ruolo attivo (è il soggetto che fa accadere le cose: senza i sensori e l’analisi statistica dei dati non avrei informazioni su come comportarmi) che per così dire passivo (è l’oggetto che bisogna utilizzare affinché le cose accadano: devo usare il sensore e non i calli della nonna!).

PERCHÉ ESSERE SOSTENIBILI?

Fabio Rizzotto, vice president, head of Research and Consulting di IDC Italia, ci ricorda come la sostenibilità è diventata una priorità per i CEO e per gli obiettivi aziendali, ma anche per gli organismi politici e le istituzioni. Il ruolo delle tecnologie ICT e digitali è decisivo. Il legame tra modelli di sostenibilità e essenza del fare impresa sta crescendo. Il 74% delle aziende globali considera molto importante il raggiungimento in termini di valore aziendale degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) fissati dall’Agenda 2030 dell’ONU. Trasformare le organizzazioni in quest’ottica è tuttavia complesso. Nelle indagini di IDC condotte a livello globale, le priorità segnalate dalle imprese sono infatti l’allineamento delle strategie aziendali ai requisiti ESG e la trasformazione delle operations. L’obiettivo finale è dare risposte a stakeholders sempre più esigenti ed eterogenei. La quasi totalità delle organizzazioni (95%) registra cambiamenti sostanziali nei comportamenti di acquisto e crescente attenzione a prodotti e servizi sostenibili da parte delle nuove generazioni in particolare, e della società in generale. In questa cornice, è possibile vedere da molteplici angolazioni e prospettive le risposte che digitalizzazione e tecnologie possono portare alla sfida della sostenibilità. Prima di tutto, rispondendo a una delle principali richieste segnalate dalle imprese: come misurare gli sforzi e i ritorni in tema di sostenibilità? Nel 2021, stando alle indagini di IDC, solo il 54% delle imprese afferma di aver costruito metriche e KPI per misurare l’avanzamento o il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità in linea con i framework strategici. Questa situazione ha già fatto crescere la consapevolezza delle aziende.

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Secondo gli analisti di IDC è possibile affermare che entro il 2023 il 60% delle più grandi imprese (G2000) avrà integrato parametri e KPI di sostenibilità nelle proprie operation. Le imprese operano in ecosistemi complessi e le responsabilità si estendono ben oltre i propri confini. La sostenibilità in senso lato (rispetto di requisiti estesi in ambito ESG) è al centro degli sforzi della maggior parte delle imprese italiane al pari delle organizzazioni europee e mondiali. L’attenzione alla sostenibilità appare elevata anche nei processi di procurement tecnologico. Il 43% delle imprese considera come estremamente importanti i requisiti di sostenibilità nelle proprie valutazioni di acquisto di tecnologie. E il 68% inserisce obiettivi di sostenibilità nelle RFP per la selezione di un partner di innovazione. Grazie alla crescente sofisticazione – come spiega Rizzotto – le stesse tecnologie digitali saranno fondamentali per misurare e fare efficienza negli ambienti che governano risorse sempre più distribuite. Entro i prossimi tre anni, l’85% delle aziende si avvarrà di software e infrastrutture cloud-based per incrementare fino al 35% i ritorni in termini di sostenibilità (efficienza, risparmi energetici etc.). Il cloud cresce inesorabilmente come modello nell’ambito delle infrastrutture digitali. Quasi il 70% delle imprese considera l’infrastruttura digitale innovativa fondamentale per le proprie strategie di sostenibilità. Le imprese riconoscono anche le capacità dei provider che grazie alla propria mission riescono a raggiungere livelli di efficienza e sostenibilità nei propri datacenter superiori alla media delle imprese utenti (l’86% dei Tech leader mondiali ritiene che i grandi datacenter provider offrano livelli di efficienza energetica e gestionale superiori a quelle raggiunte dalle proprie infrastrutture). L’attenzione al buon governo delle risorse on premises appare comunque sempre elevata, anche nel nostro Paese. Dalla IDC’s European Infrastructure Survey 2021, emerge che il 61% delle aziende italiane considera l’efficienza energetica e la sostenibilità molto importanti per la gestione delle proprie infrastrutture IT.

UNA RIVOLUZIONE DI SENSO

Il raggiungimento degli obiettivi indicati nell’Agenda 2030 dell’ONU passano necessariamente anche per un percorso di presa di coscienza e di crescita culturale da parte di aziende, cittadini e istituzioni. In Italia, con obiettivi di formazione, informazione, advocacy e soprattutto di ricerca e monitoraggio continuo della situazione, è nata ad aprile 2021 la prima realtà che basa il suo focus primario proprio nell’ambito del rapporto multidisciplinare e biunivoco tra sostenibilità e digitale. Si tratta della Fondazione di Ricerca per la Sostenibilità Digitale che intende riunire assieme realtà del mondo accademico (di svariate discipline, non solo STEM), del privato, delle istituzioni e del mondo corporativo-associativo. Il suo presidente è Stefano Epifani, docente universitario, divulgatore e collaboratore da anni dell’ONU che ci ricorda come sia fondamentale, quando si parla di sostenibilità digitale, la dimensione definitoria. Troppo spesso si confonde questo concetto con la sola sostenibilità della tecnologia, e per di più dal solo – seppur importante – punto di vista ambientale. Il concetto di sostenibilità digitale è ben più amplio di quello di tecnologia sostenibile. «La sostenibilità digitale – spiega Epifani – definisce il ruolo sistemico del digitale rispetto alla sostenibilità, guardando ad esso da una parte come strumento di supporto per il perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, dall’altra come elemento da indirizzare attraverso criteri di sostenibilità. In questo duplice ruolo, la sostenibilità digitale riguarda quindi le interazioni della digitalizzazione e della trasformazione digitale rispetto a sostenibilità ambientale, economica e sociale». Gli studi della Fondazione di ricerca per la Sostenibilità Digitale vertono tutti in questa direzione. In sintesi, non ci può essere sostenibilità senza il ricorso al digitale, e non si può valutare l’impatto del digitale senza guardare all’intera filiera del valore.  «Tuttavia, la pur corretta attenzione verso la sostenibilità della tecnologia – afferma Epifani – rischia di far passare in secondo piano il suo ruolo nella lotta all’inquinamento. Tutti evidenziano infatti che il digitale ha un impatto carbonico significativo (il 4% circa) ma pochi ricordano – contestualmente – che grazie al digitale si ottengono abbattimenti delle emissioni di un ordine di grandezza maggiori».

GLI ITALIANI E LA SOSTENIBILITÀ

Qual è il livello di conoscenza del concetto di sostenibilità in Italia? E quale è il rapporto percepito tra digitale e sostenibilità? A queste due domande, ha provato a dare una risposta l’indagine che la Fondazione per la Sostenibilità Digitale ha portato avanti nel 2021 su un campione rappresentativo della popolazione. Ne è scaturito un dato interessante. Dai dati emersi dalla ricerca, balza agli occhi come per il cittadino italiano una  cosa sia dichiarare di conoscere un argomento – nel caso specifico il concetto di sostenibilità e cosa il digitale può fare a suo sostegno – e un’altra cosa conoscerne invece realmente il significato, e ancora di più usare tutti i giorni quegli strumenti che aiuterebbero a raggiungere la sostenibilità. Secondo la ricerca, oltre il 50% del campione dichiara di conoscere bene il concetto di sostenibilità e oltre il 65% si dice convinto che lo sviluppo tecnologico sia fonte di diseguaglianze, perdita di posti di lavoro e ingiustizia sociale. Se passiamo ad analizziare l’utilizzo delle applicazioni e dei servizi digitali in ambito sostenibilità, la ricerca evidenzia che nel 22,8% dei casi coloro che utilizzano regolarmente questo tipo di servizi dichiara di possedere una competenza digitale alta, mentre la percentuale di coloro che dichiarano una competenza digitale bassa scende all’8,8%. Chi dichiara di conoscere questo tipo di servizi ma non li utilizza ha generalmente competenza digitale bassa (70%) e chi li utilizza ma non con regolarità dichiara di avere una competenza digitale alta nel 35,2% dei casi.

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Inoltre, solo il 21,6% di coloro che utilizzano con regolarità questo genere di servizi digitali a supporto della sostenibilità considera la tecnologia una opportunità, mentre per il 13,3% rappresenta addirittura una minaccia; queste percentuali poi crescono, rispettivamente al 45,4% e al 48,9%, tra coloro che dichiarano di non utilizzare quel tipo di applicazioni pur essendone a conoscenza. Procedendo nel dettaglio, la posizione del cittadino medio italiano relativa al cambiamento climatico e all’inquinamento evidenzia dati interessanti. Nel caso degli utilizzatori delle applicazioni che prestano attenzione alla sostenibilità, non c’è differenza nelle posizioni espresse su cambiamento climatico e inquinamento tra chi utilizza questo tipo di servizi e chi invece pur conoscendoli non li utilizza. Nel caso di utilizzatori di app di prenotazione online di ristoranti e alberghi che non hanno all’interno dei servizi offerti una particolare attenzione al tema della sostenibilità, c’è una differenza: chi utilizza quel tipo di applicazioni ritiene che il cambiamento climatico e l’inquinamento siano problemi prioritari (74,9%), mentre per coloro che dichiarano di conoscerle senza utilizzarle, il cambiamento climatico e l’inquinamento rappresentano problemi secondari (41%). Dalla ricerca della Fondazione per la Sostenibilità Digitale emerge come il cittadino non abbia chiare opinioni rispetto al rapporto tra applicazioni digitali e impatti di sostenibilità sociale. L’indagine inoltre ha chiesto al panel di intervistati di chiarire la propria posizione su tre punti, di per sé aventi alcuni aspetti antitetici, relativamente all’utilità del commercio elettronico: “il commercio elettronico è una minaccia per centri commerciali e grande distribuzione”; “il commercio elettronico è una opportunità per quei piccoli negozi che sapranno adeguarsi”; “il commercio elettronico è destinato a distruggere i piccoli negozi”. Gli intervistati hanno dichiarato di essere in accordo con percentuali dal 41% al 48% su tutte e tre le asserzioni.

DOPPIA TRANSIZIONE

Dal lavoro svolto dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale, che da quest’anno si trasforma in Osservatorio permanente, emerge inoltre che oltre l’80% del panel attribuisce la massima priorità all’ambiente e alla qualità della vita, dimenticando che l’altra dimensione legata al modello economico di sviluppo (scelta solo da poco più del 16% circa) contribuisce invece in maniera importante alla definizione degli altri due ambiti. Il 45,5% degli intervistati attribuisce priorità massima all’ambiente, il 38,1% al raggiungimento del benessere e alla qualità della vita, e solo il 16,4% indica come priorità il modello economico di sviluppo. La sostenibilità però va guardata in tutti i suoi aspetti, facendo sì che il digitale ne diventi partner fondante e non solo abilitatore. Carlo Bozzoli, group CIO di ENEL, ci ricorda che in ambito energetico – «il digitale è diventato un partner fondamentale della transizione energetica, non a caso oggi si parla di “twin transition”. Raggiungere i target internazionali di decarbonizzazione senza la transizione digitale è molto difficile, se non impossibile. È quindi doppiamente importante fare in modo che il digitale di per sé sia sostenibile, utilizzando processi e metodologie di sviluppo software green, per evitare che il problema venga solo spostato. In Enel, stiamo ripensando le nostre attività digitali in quest’ottica, abbracciando anche aspetti come l’inclusività e il riuso, perché la sostenibilità non è soltanto ambientale».

SOSTENIBILI BY DEFAULT

Se ci addentriamo nel significato vero e proprio del concetto di sostenibilità, vediamo come l’abbondanza di informazione resa dai media sul tema dell’ambiente – insieme ai vari proclami politici, più o meno realmente sentiti da chi li ha pronunciati – abbia portato a mettere in secondo piano gli altri aspetti della sostenibilità – quello economico e quello sociale, che insieme al primo costituiscono quel circolo virtuoso a sostegno del raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Circolo virtuoso che deve avere come pilastro fondamentale l’uso di una tecnologia digitale che non deve spaventare ma invece infondere fiducia nella realizzazione di tali obiettivi, in quanto permette – operativamente e concretamente – di raggiungerli. Per realizzare appieno il progetto di un mondo che sia sostenibile a livello economico e sociale – senza fermarsi a considerare solo la dimensione ambientale – è necessaria una crescita culturale che fornisca consapevolezza della circolarità dei tre aspetti (ambiente, economia, società) alle generazioni presenti e future.

Massimo Rosso, CIO di RAI, vive tutti i giorni queste problematiche e ci ricorda il ruolo che può e deve assumersi la comunicazione, soprattutto quella istituzionale. «Siamo immersi in un mondo ibrido dove gli algoritmi sono alla base delle nostre decisioni, guidando e condizionando i nostri comportamenti. Assistiamo a una diffusa sensibilità ecologica ma orientata prevalentemente all’ambiente naturale. L’ecologia deve riguardare la dimensione della convivenza civile non solo in ambito naturale ma anche in quello digitale. I media digitali sono ambienti che condizionano e influenzano la nostra percezione della realtà e per natura non distinguono l’ambiente naturale da quello digitale perché li percepiscono come un tutt’uno. Nei momenti di crisi – continua Rosso – come quello che stiamo attraversando, il pubblico è più debole e la “disinformazione emozionale” ha molte più probabilità di diffondersi. Quindi la sostenibilità non deve essere declinata unicamente in ambito ambientale ma anche in ambito sociale e culturale. Oggi, le principali piattaforme sociali si basano su algoritmi che forniscono a ciascuno un racconto confermativo delle proprie opinioni e credenze e inibiscono il confronto. Dobbiamo essere tutti impegnati – soprattutto noi fautori e gestori della cosiddetta trasformazione digitale – a investire tempo e risorse non solo nell’alfabetizzazione informatica e nella diffusione delle infrastrutture tecnologiche. L’informatizzazione di per sé non crea senso critico perché vi è una profonda differenza tra avere accesso alle informazioni e farne un uso consapevole con senso critico. La cultura e la formazione devono essere poste al centro dei processi di trasformazione in corso».

IL BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ

Va compreso che il digitale è uno strumento indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità che ogni azienda si deve prefiggere. Ecco qui, il nocciolo della questione! La sostenibilità per la maggior parte delle aziende è un qualcosa che si deve “assolutamente perseguire” ed è una incredibile “rottura di scatole”. Il bilancio di sostenibilità si deve fare perché oggi gli investitori guardano quasi prima a quello che ai risultati economico/finanziari. Tuttavia, lo si affida in molti casi a chi non ha competenza e solo con una vista per così dire “retroattiva”, quindi non su progetti nuovi da realizzare ma su cose già fatte per altri scopi che possono essere interpretate come “sostenibili”. Le aziende devono invece imparare a “progettare la sostenibilità con il supporto del digitale” affinché il loro bilancio di sostenibilità sia veritiero.

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Come ci ha già ricordato Fabio Rizzotto di IDC Italia, gli investitori durante le loro analisi iniziano a guardare con sempre maggiore interesse al bilancio di sostenibilità di una azienda come garanzia di solidità per una crescita in grado di soddisfare i criteri di sostenibilità economica sociale e di impatto ambientale. Purtroppo, ancora oggi la redazione dei bilanci di sostenibilità – anche in aziende di medie e grandi dimensioni – è fatta ex-post, quindi proprio come bilancio di attività eterogenee messe in atto da varie parti dell’azienda non nate e sviluppatesi con una idea di sostenibilità. Inoltre, chi lo redige si è improvvisato nel ruolo – per sua volontà o imposizione dell’azienda – senza aver seguito un percorso di formazione adeguato. E ancora più spesso, la tecnologia non è citata come parte coinvolta dei processi che rendono una azienda più sostenibile. Bisognerebbe fare un “budget di sostenibilità” e non un bilancio. E il digitale dovrebbe avere il ruolo fondamentale di abilitatore e traino. Lorenzo Radice, responsabile sostenibilità del Gruppo Ferrovie dello Stato, sottolinea la stretta correlazione tra il successo delle aziende e la loro capacità di creare valore per la comunità e il territorio. «Per questo la sostenibilità è sempre più parte integrante delle strategie delle imprese più evolute. Questa consapevolezza nasce anche dalla crescente influenza degli stakeholder che compiono scelte di consumo e di investimento per premiare le organizzazioni più meritevoli. Il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane ha adottato un modello di governo della sostenibilità che definisce la governance e i processi di gestione tesi a favorire l’integrazione delle dinamiche ambientali e sociali nei processi del Gruppo. Per FS, “fare sostenibilità” non significa quindi rendicontare ex post i risultati ottenuti in maniera più o meno incidentale, ma – conclude Radice – pianificare ed eseguire con rigore strategie e attività che portino il massimo vantaggio per l’azionista e per gli altri portatori di interessi».

INNOVAZIONE SENZA SOSTENIBILITÀ?

Innovazione senza sostenibilità è come il progresso senza la formazione. Gli investitori stanno comprendendo che una azienda con processi e filiere sostenibili è una azienda più solida e più credibile. E il mondo accademico ha compreso che è arrivato il momento di formare gli innovatori del futuro. Non si può essere innovatori senza essere innovatori sostenibili. Pioniere in questo percorso è stata l’Università di Pavia con un Osservatorio ideato e realizzato da Stefano De Nicolai, docente di Innovation management e responsabile del master in International Business and Entrepreneurship. La dimensione innovativa della sostenibilità è sempre un tema caldo nelle agende dei top manager e si fa spazio anche nelle attività espressamente presidiate dai cosiddetti C-level. «Per questa ragione – spiega De Nicolai – nel quadro nel nostro osservatorio internazionale su ruolo e prospettive del chief innovation officer, abbiamo deciso di aggiungere, in collaborazione con la Fondazione per la sostenibilità digitale, una sezione integralmente dedicata al rapporto tra sostenibilità e il digitale. L’innovazione, quella vera, è sostenibile by design. O viene pensata a monte per reggere alla prova delle 3P – People, Profit and Planet – o finisce per non creare  valore duraturo nel tempo, ma solo nel breve periodo e in casi limitati». La sostenibilità non impone un modello ma ci dice che possiamo fare qualsiasi scelta a patto che gli effetti di queste scelte non impediscano a chi verrà dopo di noi di fare altrettanto, commettendo persino gli stessi errori. La tecnologia e il digitale non sono di per sé né buoni né cattivi. Sta a ciascuno di noi farne buon uso per il raggiungimento dell’obiettivo primario della sostenibilità: lasciare alle generazioni future un mondo migliore a livello ambientale, economico e sociale.