Due anni fa, abbiamo sperato ingenuamente che, una volta nella “nuova normalità”, le persone e la nostra vita sarebbero stati migliori. Invece, gli ultimi mesi ci hanno portato nuove inquietudini. Siamo stati vittime di forti speculazioni in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche: abbiamo vissuto un vero e proprio conflitto economico mondiale per il controllo delle materie prime, in particolare metalli strategici e terre rare, usate come armi per frenare la nostra ripresa economica.
Sui media si è parlato dei forti aumenti di gas, energia e petrolio, ma il “surriscaldamento” dei listini delle materie prime ha riguardato, tra gli altri, rame, acciaio, carta, materie plastiche, caffè, frumento, cotone. Questa nuova emergenza – che si è aggiunta a quella sanitaria – ha colpito indistintamente tutti i settori industriali: colli di bottiglia nelle catene di fornitura hanno portato a costi record nei trasporti via mare, a mancanza di diversi materiali, tra i quali chip, fertilizzanti, materiali per l’edilizia, in certi periodi addirittura prodotti comuni come i pallet di legno o il cartone per l’imballo.
In una situazione tendente al grigio scuro, con inflazione al 5% e segnali di rallentamento della ripresa economica, è iniziato in Ucraina un nuovo conflitto, decisamente più cruento: un vero e proprio smottamento umanitario, geopolitico, economico con conseguenze – sanzioni alla Russia incluse – che potranno essere valutate solo con il tempo. Abbiamo visto scene di morte, distruzione, sofferenza, milioni di profughi in fuga, assistito a una nuova impennata dei prezzi delle materie prime. Si è decisamente allungata la lista dei prodotti – alimentari e non – che scarseggiano, per i quali il nostro Paese non è autonomo per politiche miopi, intraprese decenni addietro. Qualunque scenario si concretizzasse nei prossimi mesi, una cosa è certa: il mondo non tornerà più come prima. In questa situazione, dire oggi che nei momenti di crisi si possono trovare delle opportunità può sembrare una frase da ottimista sfrenato, tuttavia non vi è dubbio che il Covid abbia accelerato la trasformazione digitale delle aziende e costretto ad analisi profonde su organizzazione, modelli di vendita, supply chain e tecnologie in uso.
Dopo aver vissuto una dimensione temporale quasi sospesa per la pandemia, negli ultimi mesi molte aziende stavano già apportando i cambiamenti necessari alla gestione della ripresa con un obiettivo minimale, ma fondamentale: sopravvivere. Purtroppo, sono a rischio in Italia decine di migliaia di aziende, un numero molto maggiore guardando all’intera Europa. Per uscire rafforzati da questa tempesta, non basta investire nuovi capitali nelle imprese: serve avere chiarezza di visione e capacità innovativa per gestire il cambiamento. Con il giusto coraggio, si devono rivisitare le pratiche utilizzate, preservando le innovazioni di processo ideate nell’emergenza e razionalizzando le risorse interne. Le organizzazioni avranno sempre più bisogno di dati affidabili e di sistemi di supporto per disporre di informazioni fruibili in tempi rapidi, effettuare analisi avanzate e prendere decisioni corrette. Per disegnare soluzioni sostenibili è indispensabile saper sfruttare le tecnologie innovative. L’innovazione digitale del business aumenta la capacità delle organizzazioni di adattarsi più velocemente ai cambiamenti, e quindi di essere più resistenti e resilienti.
Alla base di tutto, ci deve essere la valorizzazione del capitale umano. Le aziende devono curare ancor meglio la crescita e lo sviluppo delle competenze dei propri talenti, mettendo i dipendenti al centro di tutte le iniziative aziendali: condividere obiettivi e valori permette di alimentare il processo di trasformazione e di realizzare il miglioramento continuo. Con i giusti strumenti, sono le persone che fanno la differenza nei momenti difficili.