Il Paese alla prova del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nel difficile equilibrio tra azioni e governance condivisa. Nessuna scusa, nessun alibi. ll PNRR è un nuovo start alla linea della ripartenza. Indispensabile, ma da solo non basta
Il 2022 è l’anno cruciale della ripresa: 102 condizioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza da rispettare, leggi delega da attuare sulle riforme (semplificazione, fisco, giustizia e lavoro) e le regole europee sui conti pubblici da ridiscutere. Il percorso di attuazione del PNRR è entrato nel vivo sia dal punto di vista dell’azione riformista che lo ispira sia per quanto riguarda l’avvio dei vari progetti che lo compongono. Il rilancio della competitività del sistema produttivo italiano rappresenta uno degli obiettivi strategici. Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Ministero della Transizione ecologica, Ministero dello sviluppo economico sono i principali gestori delle risorse del PNRR (Dati Openpolis), a cui spettano anche i compiti più difficili. Il contesto competitivo però si complica tra inflazione e costo dell’energia in aumento.
Il PNRR ha visto nel corso del 2021 la definizione normativa di un articolato sistema di governance, pensato per sorreggere un’attuazione che vedrà coinvolta una molteplicità di soggetti. Insieme alle amministrazioni centrali dello Stato, titolari dei piani di investimento e dei disegni riformatori dovranno infatti operare gli enti territoriali in qualità di soggetti attuatori e punto di connessione con il tessuto economico. Come accompagnare imprese e PA nel percorso di cambiamento per scaricare a terra gli investimenti del PNRR? Secondo EY, l’impatto delle misure contenute nel PNRR è valutato fino al +3,6% nel 2026 sul PIL. L’Italia è il primo beneficiario dei fondi del Next Generation EU, con quasi 192 miliardi di euro dal Recovery and Resilience Facility, divisi in 69 miliardi a fondo perduto e 123 miliardi in prestiti. Oltre a questi fondi, l’Italia utilizzerà 13 miliardi dal REACT-EU e risorse nazionali per una valore di circa 30 miliardi di euro. Per un totale di 235 miliardi, il piano di investimenti più massiccio nel panorama Europeo che apre uno scenario di opportunità senza precedenti.
IL RUOLO DELLE TECNOLOGIE
Le tecnologie hanno dimostrato di avere un ruolo importante nella tenuta dell’economia e del business d’impresa, dalla migrazione al cloud, alle infrastrutture intelligenti, dall’applicazione dell’intelligenza artificiale, al ruolo dei dati, fino al 5G e alla cybersecurity. E in un paese come l’Italia, a basso investimento tecnologico, queste sono opportunità che non vanno perse. Secondo IDC, alcuni settori saranno prioritari: il settore delle costruzioni e dell’energia, il settore educativo e quello pubblico più in generale, i trasporti e la manifattura, fra quelli che beneficeranno maggiormente dell’arrivo dei fondi europei. «Il Paese deve però affrontare una situazione differente rispetto agli altri paesi europei, derivante da una bassa crescita e una bassa produttività che affondano le loro radici in tempi non recenti» – spiega Carla La Croce, senior research analyst, European Industry Solutions, Customer Insights & Analysis di IDC. «Da oltre vent’anni, l’Italia è caratterizzata da stagnazione economica e produttiva in tutti i settori, accompagnata anche da un deterioramento delle istituzioni che non aiuta il rilancio del Paese. Basti pensare che la crescita dell’Italia in termini di PIL è stata sempre la più debole fra le grandi economie dell’Unione Europea». IDC ha identificato alcuni investimenti importanti derivati dal piano di rilancio, investimenti che si basano su tecnologie specifiche. Gli investimenti che rientrano nell’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione nel settore sanitario contribuiranno alla creazione di un’infrastruttura per la raccolta di dati che saranno analizzati attraverso AI e ML. Questo renderà l’infrastruttura dell’informazione interconnessa e facilmente accessibile. Circa un miliardo di euro verrà utilizzato per la migrazione dei processi della pubblica amministrazione verso il cloud, e circa 600 milioni saranno dedicati alla digitalizzazione dell’amministrazione centrale. Quasi un miliardo e mezzo sarà destinato alla creazione di infrastrutture digitali e la data interoperability. La stessa cifra finanzierà i servizi di cloud computing e Big Data/analytics per le aziende.
Inoltre, 800 milioni saranno destinati al finanziamento di progetti industriali tecnologicamente avanzati, mentre 100 milioni saranno investiti nell’innovazione dei sistemi digitali per gli aeroporti. Circa 6,3 miliardi saranno investiti in reti 5G e fibra ottica. Ancora circa 3,2 miliardi verranno destinati all’installazione di stazioni di rifornimento con maggiori capacità per la produzione di idrogeno verde da elettrolisi. L’Italia investirà 4 miliardi di euro nel rafforzamento della capacità produttiva fino a 6GW e nella digitalizzazione della rete elettrica del Paese. Inoltre, l’Italia ha stanziato 1,1 miliardi di euro per la costruzione di impianti fotovoltaici utilizzati nella coltivazione con capacità di 2GW. Infine, l’Italia investirà tre miliardi di euro nella produzione di idrogeno e 6 miliardi nella decarbonizzazione. La digitalizzazione del sistema energetico (con smart grids, smart appliances e smart demand-side management) rappresenta un passaggio necessario per facilitare la decarbonizzazione e rendere il settore energetico più forte. Si tratta non solo di spendere, ma di spendere bene questi fondi. Diversamente, il rischio è che il fiume del PNRR passi come la piena, lasciando in eredità alle generazioni future un debito pubblico più grande e un Paese ancora più diviso.
LA TASK FORCE DI CONFINDUSTRIA
Confindustria ha fin da subito manifestato un forte coinvolgimento per le sorti del Piano e in particolare per la sua attuazione. Coinvolgimento che rispecchia il desiderio delle imprese di essere protagoniste nella costruzione delle nuove prospettive di crescita per il Paese. Al fine di potenziare l’ordinaria opera di trasmissione di informazioni al Sistema associativo e di simultanea raccolta delle istanze, Confindustria ha istituito una task force interna multidisciplinare dedicata ai profili attuativi del PNRR. Lo scopo della task force è principalmente quello di agire da interfaccia unica sui temi relativi al Piano nei confronti del Sistema e delle imprese. Il PNRR, nella sua ampiezza e complessità, può sollevare numerosi dubbi applicativi e stimolare proposte di efficientamento da parte degli operatori economici, che devono essere affrontate in maniera rapida propagandosi dalla sfera nazionale a quella territoriale e viceversa. La Task Force di Confindustria intende contribuire ad assicurare omogeneità nella diffusione delle informazioni e degli strumenti utili a cogliere le opportunità offerte dal PNRR. Gli uffici nazionali e la delegazione di Bruxelles presidiano ogni sviluppo connesso al Piano nazionale, tanto nella dimensione normativa quanto in quella amministrativa, grazie a un continuo dialogo con gli uffici pubblici responsabili per l’attuazione. Tutto ciò, unito alla partecipazione al tavolo permanente per il partenariato economico sociale e territoriale – l’organismo istituito nell’ambito della Governance del Piano per assicurare un’adeguata rappresentanza delle istanze del mondo imprenditoriale – pone la struttura nazionale di Confindustria nelle condizioni di fornire un importante canale di assistenza alle imprese.
IL PNRR NON È FATTO PER I PICCOLI?
Secondo Paola Generali, presidente di Assintel, l’associazione nazionale delle imprese ICT e Digitali di Confcommercio, il PNRR è come un moderno Piano Marshall che guarda al futuro con le lenti dell’innovazione. «È la prima volta che la politica mette il digitale al centro del paradigma della crescita e della sostenibilità. Ma il banco di prova sarà la sua concreta messa a terra. Deve, cioè, essere guidato, in modo strategico e capillare, per riuscire a coinvolgere il nostro vero tessuto socioeconomico fatto di micro, piccole e medie imprese, che spesso non hanno la cultura e le risorse per uscire dalla comfort zone e attivare il cambiamento». Paola Generali, lo dice subito: «Il PNRR non è fatto per i piccoli. Da soli navigherebbero nel buio più assoluto. Ma non deve nemmeno essere fatto solo per i grandi, perché si ridurrebbe a terreno di conquista delle solite big multinazionali – non italiane – che farebbero da assi piglia tutto». Il lancio del PNRR ha generato aspettative positive per il 51% delle imprese campionate nell’ultimo Assintel Report. Ed è interessante notare che per il 45% dei rispondenti il principale ostacolo all’innovazione è proprio una generale carenza di risorse economiche e finanziarie da allocare nei progetti di digitalizzazione. Il lavoro che sta facendo Assintel, insieme a Confcommercio e al suo Digital Innovation Hub EDI, è di studiare e proporre ecosistemi digitali di prossimità, facendo in modo che le pubbliche amministrazioni locali e le MPMI della domanda possano interloquire con le MPMI dell’offerta dei loro territori. «Un processo decisamente ambizioso – ammette la presidente di Assintel – perché significa lavorare a testa bassa su ogni territorio, quasi porta a porta, disseminando progetti, parlando il linguaggio delle piccole imprese e facendo toccare con mano quelle che sono le opportunità che il digitale offre loro, creando dei ponti fluidi con le pubbliche amministrazioni, intercettando fondi, mantenendo salda la motivazione e l’obiettivo. Ma questo occorre fare, oggi, per porre le basi forti di un’evoluzione davvero organica e democratica. In questo contesto, le MPMI ICT del territorio giocheranno un ruolo fondamentale, diventando le radici forti sulle quali costruire la vera innovazione dei territori».
INNOVAZIONE E IMPLEMENTAZIONE
Italia e Germania sono il motore manifatturiero d’Europa, quasi in un’unica catena del valore. Nel confronto tra PNRR e la strategia Aufbau und Resilienz, a parte le differenze di dotazione economica, il Piano tedesco punta tutto su due pilastri: cambiamento climatico e trasformazione digitale. Secondo Jörg Buck, consigliere delegato di AHK Italien e rappresentante dell’Economia Tedesca in Italia, il rischio di dispersione delle risorse dipende più dall’implementazione che dalla progettazione. «L’Italia con il PNRR ha una chance importantissima per introdurre novità in grado di innovare il Paese, accelerando lo sviluppo di molti settori. È chiaro però che la fase di messa a terra riveste un ruolo centrale e potenzialmente rischioso, e bisogna prestare attenzione». L’ecosistema imprenditoriale italiano è notoriamente caratterizzato da un alto numero di imprese a conduzione familiare. Si contano oggi circa 206mila PMI che generano il 41% dell’intero fatturato realizzato in Italia e il 38% del valore aggiunto del Paese. La ricerca e l’innovazione sono punti chiave per preservare e rilanciare questo valore, attraverso il lavoro di trasferimento tecnologico sul territorio. Nel 2018, la Francia ha investito 51.8 miliardi di euro in R&D, l’Italia meno della metà. In Italia, esistono diversi Centri di Ricerca che nel 2018 però sono stati tutti toccati da una stagnazione della spesa, con qualche eccezione come l’Istituto Italiano di tecnologia che registra un andamento positivo. Secondo Denis Delespaul, presidente della Camera di Commercio e Industria Francese in Italia, il PNRR è una grande opportunità per provare ad aggredire i colli di bottiglia del nostro Paese: «Basso indice di innovazione nel sistema delle imprese e basso tasso di trasferimento tecnologico».
CRITICITÀ DA AFFRONTARE
Servono capacità di pianificazione, programmazione e gestione dei progetti. Occorre fare bene e fare presto, forse troppo presto per fare veramente bene, considerati i tempi di pubblicazione dei bandi e i termini di presentazione dei progetti. Qualcuno fa notare che nell’immediato, il vero business è rappresentato dall’attività consulenza che banche, soggetti facilitatori e grandi advisory stanno proponendo alle imprese per dirimere incertezze e chiarire dettagli, e si sa che “il diavolo sta proprio nei dettagli”. Dalle università agli enti di ricerca, dai Comuni alle imprese, dopo il 31 dicembre si susseguono le riunioni per capire come cogliere le opportunità del PNRR. Proprio su quelle realtà che costituiscono il cuore del tessuto imprenditoriale italiano, come rilevato dall’Istat, il PNRR rischia di passare come un fiume in piena. Pur considerando il piano di rilancio rilevante come traino delle attività riguardo alle misure legate a transizione ecologica, infrastrutture e mobilità sostenibile, molte PMI si aspettano davvero poco dal PNRR a causa di vincoli di bilancio, obiettivi di spesa o investimenti che non rientrano nel core business. La rilevanza del capitolo della digitalizzazione e innovazione inoltre resta direttamente proporzionale alla dimensione dell’impresa. Intanto, amministratori locali e rettori del Centro-Sud lanciano l’allarme sui rischi di diminuzione di fatto della quota destinata ai progetti, trasversale a tutto il PNRR e fissata per legge al 40% per il Mezzogiorno.
Tra le criticità che abbiamo raccolto e a cui diamo voce, emergono anche le difficoltà che imprese proponenti ed enti pubblici attuatori stanno incontrando sulla rendicontazione e sulla ripartizione delle spese che va effettuata con una contabilità separata ai fini della tracciabilità delle risorse, soprattutto nei casi di gestione comune del finanziamento. Inoltre, mentre la tutela dell’ambiente viene inserito tra i principi fondamentali della Costituzione, la carenza nel Piano di target qualitativi e quantitativi socio-ambientali rallenta la transizione verso un modello veramente sostenibile rispetto ai 17 obiettivi dell’Agenda 2030. Altro aspetto critico segnalato è la disinvoltura con cui si tirano fuori dal cassetto vecchi progetti lucidati a nuovo, che fanno affidamento sui controlli ex-ante di conformità e quelli ex-post di realizzazione, e soprattutto sulla mancanza di attività di monitoraggio work-in-progress, ma che restano privi però della filosofia ispiratrice del Piano. Inoltre – secondo molti – l’aggregazione di soggetti che dovrebbe concentrare la forza delle misure, scongiurando la dispersione delle risorse, di fatto favorirebbe la convergenza di cordate vincenti, penalizzando realtà e territori meno strutturati. Altre difficoltà riguardano in ordine sparso, la rendicontazione degli indicatori di realizzazione, la valutazione del principio di inclusione, l’obbligo di protezione e valorizzazione dei giovani, il coordinamento scientifico di progetto e il reclutamento di competenze tecniche a tempo determinato, oltre alla mancanza di FAQ. C’è poi la preoccupazione diffusa sulla capacità di Regioni ed enti locali di bandire i lavori. Sul fronte semplificazioni e PA, tra le priorità indicate, ci sono la digitalizzazione della pubblica amministrazione, insieme alla velocizzazione del processo decisionale per la gestione degli interventi pubblici. Quasi unanime la richiesta di accelerazione dei permessi legati alle attività imprenditoriali. Su tutti, l’ostacolo principale indicato è la burocrazia.
CATTIVE ABITUDINI E ITALICI LAMENTI
Per Beppe Carrella, partner e fondatore di bcLab, gli alibi vanno smontati subito. «Scuse clamorose, cattive abitudini e italici lamenti. Nessuno è obbligato a presentare i progetti. Le regole sono chiare ma non ci piacciono. Si discute delle regole perché ciascuno vorrebbe che i bandi fossero scritti secondo le proprie. I fondi del PNRR sono debito per le generazioni future quindi spenderli bene dovrebbe essere l’unica condizione. Le regole servono a questo. Dare una lucidata a vecchi progetti per farseli finanziare non è un’idea furba. Non ci stiamo focalizzando sulle infrastrutture a valore nel tempo. Nessuno insegnerebbe a un cane vecchio un gioco nuovo. Dobbiamo rimboccarci le maniche per scongiurare bruschi risvegli. Siamo considerati un Paese di eccellenze, ma non siamo bravi a “pensare digitale” e neppure a giocare secondo le regole. Il tema della disparità territoriale esiste: attivare un progetto in un’area disagiata è diverso che farlo in Lombardia, ma detto questo, parcellizzare le risorse sarebbe peggio, perché si perderebbero efficacia e visione di insieme. Tra l’altro per restare al settore dell’istruzione, in Italia il numero di università è enorme rispetto ai risultati. Per chi non è in grado di fare aggregazioni regionali o tra regioni diverse, esistono altre forme di finanziamento». Per Carrella, non si possono fare progetti nuovi seguendo vecchie logiche. «Bisogna cambiare mentalità, senza mettere le mani avanti per pretendere tempi di progettazione più lunghi. Se ragioniamo così sprecheremo anche questa occasione. Abbiamo capito che dobbiamo muoverci, e anche in fretta. Per certi versi, questo è già un passo avanti. Il PNRR rappresenta una occasione irripetibile per intervenire sia sui processi di consumo sia in quelli produttivi». C’è anche un “effetto alone” positivo che può giocare a favore del PNRR. E c’è un apprendimento da trauma che può dare la scossa che serve anche sul piano della riconversione energetica delle filiere. «Per un Paese bloccato come l’Italia il PNRR è una leva che scardina e ci aiuterà a cambiare. Bisogna agire subito, non c’è il tempo di allevare tutto quello che serve. Dobbiamo utilizzare una logica Agile». Non solo compliance. Serve capacità di monitoraggio continuo anche in fase d’opera. «Alla fine, si possono chiudere i rubinetti dei fondi, ma questo sarebbe negativo per il Paese perché certificherebbe il blocco del Paese a livello strutturale, da cui sarebbe difficile, se non impossibile, ripartire».
RIGENERARE IL SISTEMA PRODUTTIVO
Dopo la questione meridionale, l’altra grande questione italiana è quella organizzativa. Occorre ricominciare dai patti per il lavoro basati sulla collaborazione tra pubblico e privato, in grado di connettere il macro con il micro, centro e periferia del Paese. «Il PNRR interviene positivamente sulla rigenerazione dei sistemi produttivi. La maggioranza delle imprese italiane ha un deficit organizzativo e funzionale che il PNRR dovrebbe contribuire a superare» – spiega Federico Butera, professore emerito di Scienze dell’organizzazione Università di Milano Bicocca e La Sapienza di Roma. L’inserimento di 500 nuovi funzionari che rendiconteranno i fondi PNRR rappresenta un aspetto importante. Ma la compliance da sola non basta. Bisogna cambiare il sistema produttivo perché oltre al debito pubblico, il grande male italiano è rappresentato dalla bassa produttività, cioè la scarsa capacità di crescere. E bisogna innovare la pubblica amministrazione, non c’è governo che non abbia tentato di farlo. «Scuola, tribunali, procure, ospedali sono organizzazioni che devono essere modificate con processi di change management. Basti pensare che l’inefficienza degli uffici giudiziari da sola costa il 2% del PIL».
Il PNRR ha previsto un sistema policentrico di gestione, occorre attivare dei percorsi di partecipazione e di coesione pubblico-privato. «Il modello policentrico adottato a livello centrale definisce le strategie dentro le 6 missioni e le 16 componenti e ha il compito di rendicontare i progetti attivati e gli outcomes. Se i risultati non ci sono l’Europa si riprende i soldi che diventano automaticamente debito senza ROI. Il secondo livello è quello dell’attivazione delle strutture intermedie: regioni e comuni, che devono muoversi velocemente per coprire l’ultimo miglio». La rigenerazione di imprese e pubblica amministrazione passa da tecnologie digitali, forme di organizzazioni agili e lavoro di qualità. «Abbiamo un Paese diviso in due. Dobbiamo aiutare chi non ce la fa da solo a fare un salto organizzativo, tecnologico e culturale per mettere in sicurezza anche l’altra metà».
RECUPERO DEL DIVARIO TERRITORIALE
Il digitale permette di accorciare le distanze tra pubblica amministrazione e persone, riducendo i tempi della burocrazia. Il governo ha predisposto un sito ufficiale dedicato al PNRR e ciascun ministero ha emanato delle guide operative, oltre a una serie di iniziative itineranti. Riguardo agli investimenti previsti dal PNRR e dal Piano Nazionale Complementare (PNC), sul fronte infrastrutture e mobilità, si è proceduto a una drastica semplificazione dei processi autorizzativi ed esecutivi dei progetti d’investimento. «Per attuare i progetti del PNRR – dichiara Enrico Giovannini, ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili – servono tecnici competenti e aggiornati sulla nuova normativa in tema di appalti, sulle nuove tecnologie, su modelli di cantiere sicuri e sostenibili». Con questo spirito, da settembre è partita la PNRR Academy per la formazione e l’aggiornamento professionale in materia di appalti, promosso dal Mims per agevolare l’attuazione del Piano e promuovere la qualificazione delle stazioni appaltanti.
Nel 2021, in linea con obiettivi PNRR, il Ministero ha distribuito il 98% delle risorse a enti attuatori e anticipato due riforme previste per il 2022. In realtà, ammontano a 33,8 miliardi di euro gli investimenti destinati alle regioni del Mezzogiorno sui 61,4 miliardi delle risorse del PNRR e del PNC assegnati al Mims. Si tratta del 56% delle risorse allocabili territorialmente, una quota ben superiore al 40% da destinare al Sud prevista nel PNRR. Se poi si considerano le sole risorse aggiuntive rispetto a quelle previste a legislazione vigente, la quota per il Sud degli investimenti di competenza del Mims sale al 63%, segno della chiara volontà del Ministero di accelerare il recupero del divario territoriale in termini di infrastrutture e mobilità che ancora penalizza le aree meridionali. «I forti investimenti in infrastrutture e mobilità previsti per il Mezzogiorno hanno l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze tra le aree del Paese, sviluppare le interconnessioni ferroviarie, potenziare i sistemi portuali, ridurre l’inquinamento e migliorare la qualità della vita delle persone» – commenta Giovannini. «Si tratta di interventi senza precedenti, basti pensare ai progetti per l’Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari, Salerno-Reggio Calabria e Palermo-Catania, che confermano la volontà del Governo di rispondere alle esigenze di aree finora penalizzate da una mancanza di investimenti protratta per anni e per favorirne lo sviluppo sociale e la competitività economica, oltre che a ridurre le disuguaglianze e accelerare la transizione ecologica». Per alcuni investimenti in via di definizione non è ancora possibile calcolare l’allocazione regionale ma i provvedimenti attuativi terranno comunque conto del rispetto della quota minima del 40% per le regioni del Sud. È il caso dell’investimento sul progetto di mobilità integrata “Mobility as a Service” realizzato in collaborazione con il Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione Digitale e l’investimento per lo sviluppo della filiera industriale degli autobus elettrici. Sono in via di definizione e non ancora regionalizzati gli interventi relativi alla sperimentazione dell’idrogeno nel trasporto ferroviario.
CAMBIARE IL MOTORE
Per perseguire gli obiettivi che ci si sta proponendo serve formazione per i dipendenti della Pubblica Amministrazione. Ed è una formazione complessa da erogare, perché rivolta ad utenti di età media alta e su temi di innovazione. «Il problema della PA, in questo caso, non è come dice il Ministro Brunetta quello di “ricaricare le batterie”, ma cambiare il motore» – spiega Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la sostenibilità digitale. «Invece di guardare alla necessità di ripensare il senso della pubblica amministrazione, il ministro Brunetta si preoccupa di fornire strumenti per continuare forse a lavorare meglio, ma come in passato. E, come in passato, il ministro dei tornelli e della lotta allo smart working fa l’errore più grande di tutti: pensare che l’asset più importante, ossia la competenza, non abbia valore. Dovrebbe essere, invece, la principale fonte di spesa, che non è un costo ma un investimento».
La formazione a titolo gratuito, prevista dal programma Syllabus, indispensabile per perseguire gli obiettivi del PNRR, rischierebbe – secondo Epifani – di porre le basi per creare una distorsione che aprirà la strada alle grandi multinazionali come Microsoft o Google che, usando la leva della formazione, svilupperanno le loro strategie di marketing pre-competitivo con la conseguenza che un’intera generazione di dipendenti pubblici non si avvicini al digitale, ma alle applicazioni specifiche promosse da specifiche aziende. Così – continua Epifani – «da una parte l’Amministrazione Pubblica definisce opportunamente la necessità di scegliere soluzioni aperte, ma dall’altra favorisce lo sviluppo di strategie di lock-in che danno un vantaggio enorme a quelle aziende che possono permettersi un investimento in quella che, più che formazione, rischia di trasformarsi in fidelizzazione verso una specifica piattaforma. Il continuo ricorso “all’aiuto” delle grandi multinazionali, che abbiamo visto anche durante il lockdown e che continuiamo a vedere a più riprese in molti atti di questo Governo, genera una posizione di sudditanza tecnologica che non può essere accettata e che, se rappresenta purtroppo un punto di partenza evidente, non può essere – per una questione di sostenibilità sociale – l’obiettivo di una strategia che dovrebbe essere volta all’innovazione ma che mostra da ogni lato quanto poco chi la propone, creda nel valore dell’innovazione».
LA COMPONENTE ICT NEL PNRR
La visione dell’innovazione in una logica sistemica rappresenta un valore aggiunto che i CIO possono portare soprattutto in ottica di business continuity, sicurezza e change management. Per Massimo Marabese, Group CIO di Cellularline, la componente ICT all’interno del PNRR rappresenta la strategia guida e non una commodity. «Il contributo che CIO e IT manager possono portare all’attuazione del PNRR consiste nella continua acquisizione di competenze e conoscenze specifiche su nuove aree tematiche e di investimento, ma anche e soprattutto nella dimensione operativa e consulenziale. Nel nostro agire e mettere le mani nel motore azienda, creando direttamente e indirettamente opportunità che sappiano sfruttare il PNRR».
Per le aziende – attuare progetti di digitalizzazione – può significare anche passare attraverso l’assunzione di nuovi manager capaci, con una particolare competenza nell’ambito tecnologico e una spiccata sensibilità di business ai quali affidarsi. «Le aziende si devono organizzare con progetti focalizzati sulle aree di finanziamento previste che rappresentano una grande opportunità di innovazione e sviluppo in particolare nelle aree digitalizzazione, green e sostenibilità. I CIO e gli IT manager, per mindset, per orientamento alla gestione dei progetti e processi, per il loro pragmatismo, per la loro capacità di navigare la complessità, hanno tutte le competenze e la struttura per formalizzare piani e progetti specifici che abbiano KPI e ROI precisi». Per le PMI, c’è sicuramente una mancanza in termini culturali, di dimensioni e di internazionalizzazione che costituiscono i veri punti deboli dell’Italia rispetto ad altri paesi. «Quindi – continua Marabese – occorre da parte dell’IT un approccio maggiormente orientato alla consulenza per poter assistere le aziende e gli imprenditori in questa transizione. Al Sistema Paese, spetterà il compito di promuovere campagne di sensibilizzazione e di formazione, rivolte anche ai lavoratori, per far comprendere quanto investire in formazione, cambiamento, nuovi processi, tecnologia possa essere non soltanto una spesa, quanto un investimento necessario per poter continuare ad esistere nel futuro. E non ultimo la veloce pubblicazione di FAQ, guide ufficiali e indispensabili per avere un orientamento comune. Altrimenti – commenta Massimo Marabese – sarà l’ennesimo pasticcio all’italiana che affonda nella burocrazia ed incertezza di azione e di risultato».
Niente alibi anche per Pasquale Testa, CIO di Sole 365, presidente e fondatore di CIO CLUB ITALIA. «Molte aziende non hanno mai affrontato la digital transformation, soprattutto nelle PMI, oggi con il PNRR non hanno più scusanti per la parte economica, e non vedranno più l’IT come un costo». Certo, ci saranno fondi da investire in tecnologie e persone, ma il vero cambiamento – secondo Pasquale Testa – sarà nella possibilità di provare i benefici che l’ICT può portare alle aziende. Questo avrà un impatto positivo sul modo di considerare il lavoro dei CIO da parte sia degli amministratori delle aziende sia del business. «Durante la pandemia, i professionisti dell’IT hanno dimostrato grande valore nei modi e nei tempi di reazione. Lo stesso dobbiamo fare adesso con il PNRR. Non possiamo perdere l’occasione di uscire dalle retrovie e agire in prima linea per essere uomini e donne del cambiamento».
DAL RESTART ALL’UPGRADE
L’agenda del Paese deve mettere al centro del rilancio economico la trasformazione digitale e la sostenibilità sociale ed ambientale come prospettiva in grado di rendere il sistema produttivo più duraturo, inclusivo e sicuro. Serve una visione di sviluppo per il futuro che il PNRR può finalmente abilitare. Le previsioni di crescita da parte di analisti, FMI e OCSE promuovono l’Italia ma al tempo stesso ci inchiodano alla responsabilità delle scelte che faremo o non faremo. Per la prima volta, l’Italia non avrà più l’alibi di essere l’ultima della classe. L’Europa però deve recuperare la dimensione politica, perché la pura competizione non può essere il solo principio fondante di una comunità. Se lasciamo le cose così come sono, saremo destinati a ripetere gli stessi errori. Aggiungendo debito ad altro debito. C’è chi parla di “restart” ma occorre invece un “upgrade”, un passaggio a un livello superiore, con la consapevolezza che il cambiamento è realizzabile e che le tecnologie, opportunamente governate, possono supportare questa trasformazione. In particolare, ricominciando dal ruolo strategico della città. Il problema non è il debito pubblico, almeno non ancora – come spiega l’economista Giulio Sapelli – ma la quantità di stock accumulato, che tradotto significa infrastrutture fisiche e digitali che aumentano la produttività totale dei fattori. E qui sta il vero nodo della questione. Da ogni crisi possono nascere nuove opportunità di crescita. Che queste opportunità siano per tutti distribuite allo stesso modo non è detto. Se avessimo imparato anche una sola lezione da tutte le crisi passate, non saremmo a questo punto.
Il PNRR può avere un ruolo straordinario nel colmare il divario tra Nord e Sud, che ci trasciniamo praticamente dall’Unità d’Italia. Un gap storico che neanche l’operazione gigantesca della Cassa per il Mezzogiorno è riuscita a risolvere. Abbiamo la possibilità di cambiare il nostro Paese. Un’occasione irripetibile che non va sprecata e che rappresenta la chance per uscire dallo stallo della mancata crescita. Il rischio è che il PNRR passi come un fiume in piena, lasciando tutto com’era prima. Ma questa volta senza più alibi per nessuno. Se l’Italia vuole essere un modello di ripresa, allora occorre non solo spendere, ma spendere bene questi fondi. Tra il 1948 e il 1952, l’European Recovery Programm (ERP), il piano di ricostruzione europea, concepito da Washington per la ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, mise a disposizione del “paziente malato” 13 miliardi di dollari pari a 150 miliardi di euro di oggi, quasi tutti a fondo perduto. Passato alla storia come Piano Marshall, il programma portò l’Italia fuori dal tunnel della guerra verso la crescita accelerata del “miracolo economico”, a condizione che gli italiani ne facessero l’uso migliore e non per tappare i buchi del bilancio corrente. «Una clausola che se non ci fosse – chiosò l’allora Presidente Luigi Einaudi – gli italiani dovrebbero pretendere da loro stessi». A distanza di 70 anni, gli italiani e soprattutto le giovani generazioni dovrebbero pretendere la stessa clausola.